Capitolo 17 - Nuova e breve

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Capitolo 17

Mi volto e mi ritrovo a fissare due noti e profondi occhi nocciola. Come ho fatto a non capirlo subito? Le somiglianze sono evidenti. Stessi capelli scuri, la forma del viso e gli occhi: occhi da strega. Dana sposta subito il suo sguardo da me alla madre.

«Ti ho detto che non voglio nessuno, so badare a me stessa», le ripete e nel farlo stringe i pugni a sé come una bambina.

«E io, come ti ho già detto, preferisco essere sicura che non ti accada niente. Sei importante per la comunità»

«...e per tua madre, credo» aggiungo quasi senza pensarci. Il viso di Dana si era impercettibilmente intristito ascoltando quelle sue ultime parole.

«No, ti assicuro che non è così. L'unica cosa a cui pensa è a quella maledetta comunità di streghe» aggiunge lei con tono tagliente.

«Come sai faccio parte di quella comunità, quindi anche io ovviamente tengo a te»

Questo di sicuro non è amore materno. Che razza di logica è? Non riuscirà mai a convincerla così.

«Sembra non andiate molto d'accordo»

«Per niente» risponde Dana in contemporanea al «Ti sbagli» di sua madre.

«Lo prenderò come una conferma. Immagino anche che in questo momento viviate insieme»

Dana sbuffa un «Purtroppo».

«Quindi ho una soluzione che potrebbe andare bene a tutti. Permetterebbe a me di saldare un vecchio debito, a tua madre di non preoccuparsi e a te di stare tranquilla - ho l'attenzione di tutti, anche di David il cui sguardo è sospettoso - Vieni a vivere da noi. Almeno finché non troveremo questo assassino»

***

«Allora come puoi ben vedere questa casa è abbastanza grande e quella a destra è la tua nuova stanza per un periodo indeterminato, ma sono sicura che non sarà poi così lungo», mi affretto a concludere sotto il suo sguardo spaventato.

La sua camera è la più piccola tra tutte le stanze da letto, ma a lei sembra piacere, anche se non lo dà a vedere. Lo si può dedurre dal modo in cui, camminando, accarezza con leggerezza il mobile di legno antico situato sulla parete opposta al letto. Molte cose in questa stanza sono di un'altra epoca, come la lampada sul comodino, il comodino stesso e il letto a baldacchino, le cui coperte e lenzuola sono di un nostalgico bianco. Mi ricordano quelle che avevo un tempo e che tiravo su fino al collo, in particolare nelle notti in cui il vento soffiava forte fuori dalla mia stanza e muoveva i rami dell'albero più vicino, questi a loro volta graffiavano il vetro della mia finestra e mi procuravano non pochi sobbalzi.

«Può andare... Grazie». L'ultima parola non è altro che un sussurro, ma immagino si riferisca a prima, quando c'era anche sua madre. Le sorrido e la lascio da sola, così che possa disfare la borsa presa poco fa, quando siamo passate da casa sua.

Me ne torno in camera e la prima cosa che vedo è David disteso sul mio letto.

«Si può sapere perché hai deciso di portarla qui senza chiedere», mi domanda serio.

«A chi avrei dovuto chiedere? È una questione tra me e Sarah – chiarisco – la preside»

«Questa mattina ti ho rivelato che sto cercando il creatore di Ambra e ti ho chiesto di non fare nulla di stupido, niente che possa interporsi tra me e la mia vendetta. Ecco, quello che hai appena fatto è qualcosa di estremamente stupido».

«No, non lo è. È una ragazzina e a te non cambierà nulla averla qui»

«Non sono preoccupato per me, ma a lei potrebbe non andare bene nel caso ci fosse un incontro tra me e lui»

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