Capitolo 4 - Anche gli asini volano se spinti

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È una scuola abbastanza grande, ma non così tanto da perdermi. 

I corridoi sono deserti e immagino sia perché sono tutti a lezione. Svolto una volta a destra e due a sinistra ed eccomi davanti a quello che penso essere l'ufficio della segretaria. La stanza dalle pareti bianche è piena di riconoscimenti alla scuola, foto di vecchi alunni secchioni e dei dirigenti scolastici, tutti attaccati alle pareti e decisamente troppo sorridenti. Gli scaffali di vetro mostrano al loro interno i vari successi sportivi con varie coppe ordinate in base alla grandezza, dove quelle più grandi sono davanti e coprono quelle dietro più basse e insignificanti. 

In mezzo ai tanti successi di questa stanza c'è una scrivania, dietro alla quale vi è seduta una donna sulla quarantina vestita come una col doppio dei suoi anni. La trovo intenta a sistemare dei documenti all'interno di un fascicolo giallo. Non appena mi vede, lascia in un lato cuò che sta facendo e con la mano destra si sistema gli occhiali che le erano scesi sul naso.

«Buongiorno! Posso aiutarla in qualcosa?»

Sembra molto nervosa e scommetto che non è abituata ad essere trattata cordialmente. Quindi decido di essere gentile con lei e sfoggiare la mia voce più calda.

«Buongiorno a lei. Si, sarebbe così gentile da dirmi...» mi interrompo quando la vedo alzarsi di colpo. Mi guarda felicissima e tra i tanti fogli sulla sua disordinata scrivania ne tira fuori uno in particolare che mi consegna in mano.

«Lei è la nuova insegnante!»

Ah. Davvero? Guardo il foglio con i miei orari e le mie classi.

«Si. Esattamente. Sono proprio io» e le sorrido affabile.

«Sono molto contenta che abbia accettato! Sembra molto più giovane di quanto mi aspettassi! E al telefono non mi era sembrata convinta, credevo che non avrebbe accettato il posto, ma eccola qui! Forse ho sbagliato a raccontarle tutte le cose brutte che sono successe al precedente insegnante, ma volevo che fosse ben informata prima di accettare!»

Mi guarda con un misto di ansia e gratitudine.

«Ha fatto benissimo, si è comportata in modo corretto. E poi ora sono qui, quindi non mi ha spaventata»

Lei si calma e inizia a camminare, quindi la seguo.

Chissà cos'è successo al precedente insegnante, ma metto da parte il pensiero perchè vi è quacosa di più urgente che mi interesserebbe sapere:  che materia dovrò insegnare?

Le cammino accanto lungo i corridoi che ho visto in precedenza e poi ne imbocchiamo uno nuovo, mentre lei mi descrive ogni cosa, per esempio che il terzo armadietto è rotto a causa di una lite avvenuta la settimana scorsa tra un certo Mark e un certo Tyler; quello sulla destra è il bagno dei professori e per gli studenti l'accesso agli studenti; lì c'è la biblioteca della scuola; a sinistra l'aula informatica; il vecchio che pulisce in un angolo è Juan, è un po' sordo e quindi per parlargli bisogna urlare.

Infine, per fortuna perchè non ne potevo più della sua parlantina, arriviamo alla sala professori, composta da un grande tavolo di legno che occupa l'intero spazio centrale. Su tutta la lunghezza delle pareti ci sono tanti scaffali pieni di libri e alcuni armadi. Ci fermiamo davanti ad un cassetto la cui etichetta riporta il nome del signor Peterson. O meglio, riportava. Infatti, la segretaria lo strappa via con un gesto rapido e al suo posto ne mette uno bianco, poi si ferma a guardarmi con una penna in mano e uno sguardo interrogativo.

«Vania Lovec» le dico.

Mi guarda come se il nome non le dicesse nulla e la vedo intenta a ricordare quello che probabilmente era il nome della vera insegnante.

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