Capitolo 20

597 38 2
                                    

Dafne era felicissima del suo aspetto: finalmente non era più verde, anche se le vene erano più lievi; per il resto non era cambiata tanto. Aveva lo stesso fisico un po' tarchiato, gli occhi erano color nocciola, la bocca grande e larga; i capelli finissimi erano di un colore castano molto chiaro.
Diversamente da gli altri suoi compagni, la sua lezione di svolse diversamente.
La sua maestra l'aveva avvisata di venire vestita con un completo di tuta fatto di poliestere attillato verde, così raggiunto il cortile interno trovò Cloe sotto il colonnato vestita nello stesso modo.
-Seguimi, noi non utilizziamo i nostri poteri qui, ma sul monte come i dominatori della Fauna. Le spiegò prendendola per mano.
La maestra Cloe era amorevole con lei, e in fondo un po' con tutti; ciò che contrastava in lei era stata la sua istruzione coroniana, ovvero la ricerca della perfezione in un corpo. Ma la donna nonostante l'intenso allenamento era più bassa degli altri dominatori e pronunciata.
-Come mai? Chiese stupita, fino ad al giorno prima si erano sempre recate nel giardino.
-Esigiamo del vegetale attorno a noi. Le spiegò mentre camminava verso la foresta.
- E per l'aria? Chiese confusa.
-Questione di spazio, prendono l'attico.
Superarono i ginnasi ed arrivarono ai piedi della collina; Dafne stava per avviarsi verso la pavimentazione quando Cloe la bloccò con un braccio.
-Non dobbiamo andare verso i templi, ma ancora più sopra e non c'è modo di arrivarci se non usare questa via.
Con un gesto della mano affusolata, grazie ai rami si creò una scaletta di legno molto instabile, che portava ad un intricata rete di passaggi sotto le chiome.
-Wow. Sfuggì dalle labbra della discepola.
-Sali. La intimò.
Con calma giunsero su quelle banchine fatte interamente di legno e salirono la collina, fino alla meta: la cima dell'altura.
Dafne ansimò, era stanchissima.
-Dimmi tu quando ti sentì pronta di iniziare. Disse la maestra tutta composta.
Dafne fece dei lunghi respiri e si raddrizzò posizionandosi davanti a lei.
Cloe era raggiante, la guardò con fare materno e parlò dolcemente.
-Ieri eri al pieno dei tuoi poteri, oggi dovrai faticare di più per arrivare ad un quarto. Ci eserciteremo tutti i pomeriggi qui.
Il luogo era scosceso, un prato erboso ricco di margherite e girasoli ed alcuni alberi da frutto sparsi; il sole picchiava indisturbato.
-Il nostro potere si incentra su tutto questo. Siamo madri della terra. Le piante sono il nostro mondo e se vuoi comandarle dovrai cullarle.
Cloe le sorrise, si sedette per terra e poggiò una mano sul suolo mentre con l'altra invitava Dafne a imitarla.
La giovane ubbidì.
-Un seme genera un albero, che genera frutti, che genera un'altro albero. La vita è un cerchio infinto, di vita dopo la morte. Devi capire che se vuoi comandare la matura devi far parte della natura stessa.
-Come si fa? Chiese lei insicura.
- Lo capirai col tempo. Intanto devi stamparti in mente questo concetto.
Ora, concentrati. Cosa senti?
-Mi attrae. Disse sicura, riguardo al suolo.
-Perfetto.
-Perché dovrebbe esserlo?
-I sali dentro il terreno e l'acqua ti attirano. Ora dentro di te scorre linfa, così come me.
Dafne sbiancò sorpresa, subito portò la mano al polso e guardò le vene visibili: erano di un colorito verdastro.
Cloe ride. - Non è un problema, davvero. Ascoltami adesso, quando devi usare il tuo potere, devi in un certo senso creare vita. Sentirai un formicolio sotto la pelle, i tuoi occhi chiari si risplenderanno. Devi sorvolare il formicolio e concentrarti sul fine, chiaro?
La ragazza annuì, la fronte quadrata era corrugata e il naso snello arricciato.
-Prova a sentire il prato. Sentilo e basta.
Dafne si concentrò e subito sentì la mano prudere, ma fece come le era stato detto: non ci badò.
Sentì le formiche passare da un filo all'altro, il vento carezzarli.
Le iridi si acceserò in un colore fosforescente quasi. Poi lei si fermò, riprendendo il suo profilo originario.
-Brava. Ti insegnerò a riconoscere i tipi di prato e fiori cercheremo di crearli, l'anno prossimo invece gli arbusti! Le riferì felice.
Mentre le due dominatrici agivano in cima alla collina, gli altri dominatori si ritrovavano nelle aule provvisorie a fare gli esercizi comuni, eseguiti da cinque giorni di seguito.
Verso le 21 tutti erano nelle proprie stanze. Alle 24:30 vennero chiamati tutti nella mensa per la cena.
Il banchetto durò fino alla fine del giorno, poi verso il tramonto tutti tornarono nei propri alloggi per coricarsi.
Evalin seguì Stephen verso le proprie camere, ma una volta salutato l'uomo, non andò a dormire. Rimase nel salottino a guardare Netea svolazzare.
Rimanere chiusa in una gabbia le dava fastidio: odiava i posti chiusi. Poi un pensiero si insinuò nella sua mente: se fosse sgattaiolata nella camera della madre di notte nessuno se ne sarebbe accorto. Così aspettò le tre.
Poi prese coraggio e fece uscire Netea dalla stanza, era addormentata a tal punto da non riuscire a volare, così si appoggiò alla sua spalla. Erano tutti nei propri letti, a dormire in una notte comune.
Ma per Iael ed Angelos quella notte cambiò loro le sorti.
Febe venne a svegliare Iael alle 2 di mattina quando la luna era appena sorta.
Il ragazzo si svegliò di colpo.
La vecchia signora portò un dito alla bocca e gli fece gesto di seguirlo. Lui la seguì nel silenzio, a torso nudo, vestito di soli pantaloni fini al salotto, cercando di non svegliare il cervo.
La sua stanza era posta al terzo piano, sopra le aule di musica. Era una casetta pittoresca; munita di pavimentazione in legno, con un grande tappeto di pelle di orso. Il salotto era sobrio aveva quattro poltroncine imbottite ed un tavolo con un apparecchio elettronico che consentisse di attivare l'ologramma. C'era un arco d'oro sulla parete di destra e tre frecce di dimensioni diverse; due corna di cervo sull'altra, sotto di esse una credenza di legno antica con le più rare conquiste di caccia, come il corno di un rinoceronte oppure pezzi da mausoleo come un servizio di tazze di cocchio dipinte.
Poi sorprendentemente, attraversata una porta c'era la camera da letto, anche se assomiglia di più ad un giaciglio circondato dall'erba. Il legno lascia posto ad uno strato di terriccio, il letto a baldacchino era abbellito da dell'edera che cresce lungo una gamba di legno. Sopra al letto c'era una finestra sottile ma estremamente lunga, che proseguiva in modo semi-circolare, sopra al vetro però vi erano le raffigurazioni di tutte le fasi della luna, con quella piena al centro. Il cervo di Iael dormiva con lui in quella stanza, brulicando di tanto in tanto. Al muro c'era un vecchio armadio alto fino a soffitto.
Vi era un albero anche nel bagno. Quello era sulla destra, era una betulla piccola che copriva la grande vasca, posta dentro nel pavimento. Pareva un laghetto.

Accademia elementi  Libro 1. AriaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora