Capitolo uno.

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11 dicembre, giovedì.

È strano vero? Come un evento ti possa cambiare la vita. Come la vita possa essere cambiata da un singolo episodio, su tutti quelli che la compongono. Ormai è fatta, dicono, ma tu ci speri, fino a quando non capisci che nonostante tutti i tuoi sforzi niente cambia. La mia vita era cambiata e non sarebbe più stata felice com'era una volta. L'unica cosa che mi resta adesso sono i ricordi, sfogati e sofferenti, delle giornate di sole d'estate, con il suo sorriso. Non sto parlando di ragazzi se è quello che pensate, sto solo parlando di qualcosa di più bello, di più unico. Il rapporto con mia sorella era così solido, così duraturo, che si sa, alla fine doveva finire. Quando è scomparsa ha fatto male. Ma con le consolazioni degli amici e la poca forza che mi era rimasta in corpo, sono andata avanti.

E poi sono arrivata qui, nuova scuola, nuovo quartiere di New York City, la città più conosciuta dell' America.

Il degrado.

La nuova casa si trovava in Norfolk Street, Coney Island, la scuola a 5 minuti a piedi, la vista su Oriental Boulevard, l'oceano dalla parte opposta della strada. In due mesi mi ero ambientata, avevo conosciuto ragazze nei corsi, ragazzi fuori dal cancello, troie nei bagni, professori nei corridoi. Potevo addirittura dire che andava "tutto bene", senza considerare le angherie di Sammy Cesly, Jacques Black e Bill Hill. Magari potevo anche non considerare le occhiate maligne di Alex Allen, oppure i suoi sorrisi da pervertito cronico, o le sue mani lunghe durante le lezioni di fisica.

Scossi la testa, sbadigliando. Le lezioni della Stephan erano peggiorate nelle ultime settimane. Lei aveva settantadue anni, da non sottovalutare questo dato, ma adorava la sua materia, si vedeva da come le brillavano gli occhi quando descriveva gli artisti europei, o quando interpretava ogni particolare dei quadri di Van Gogh, o di Munch, o di Monet. Posai la testa sul banco e soffiai i capelli via dal viso, cominciando a giocherellare con la penna della rossa al mio fianco. Alyssa si chiamava, gli occhi verdi, il volto pieno di lentiggini, i capelli rossi, naturali, bellissimi. Sbadigliai ancora, volgendo il mio sguardo sul moro, all'ultimo banco, affianco alla finestra. Se ne stava lì, a smanettare con il cellulare. E Dio, era meraviglioso.

- Meg? Meg? - sussurro Alyssa, tirandomi la felpa. - Non sto minimamente seguendo, ma ho sentito la parola "compito in classe". -

- Lo sai che sono tre parole no? - scossi la testa. - E poi non stavo ascoltando nemmeno io...stavo guardando.....la finestra. -

- Da quando in qua ti piace guardare le finestre? - ridacchiò lei, alzando un sopracciglio. Le sorrisi, tornando a guardare Alex. Non gliene fregava proprio un cazzo della lezione. Un leggero spostamento delle mie labbra mi fece pensare che stessi per sorridere al mio pensiero.

- Sono una ragazza complicata. -

- Amore, quello si era capito. - sorrise lei, tornando a poggiare la testa tra le braccia. Le misi una mano tra i capelli, scompigliandoli. Emise un grido strozzato, giusto per noia. Sospirò ancora, alzando gli occhi tra i capelli rossi, fissando la lavagna. Poi tornò a dormire lasciando che il tempo passasse, lento, ormai quasi fermo. Gli occhi lucidi dagli sbadigli cominciano a chiudersi.

E poi la sua maledetta voce, abbassa ma non troppo, delicata, a volte dura, strafottente. Quel bastardo era un bel bastardo, nulla da dire.

- Ma se si dorme in classe che succede? - chiese, guardando me e Alyssa. Alzai il dito medio, assottigliando lo sguardo. La Stephan tese l'orecchio, ma non colse le parole, lasciando senza risposta la domanda. Lui ghignò, girando l'indice, come per indicare che mi volesse parlare. Lo evitai, ma in realtà la curiosità mi stava distruggendo. Come un fuoco che bruciava un bosco dall'interno, la mia voglia di sentire la sua voce era così tanta. Non solo perché era fottutamente meravigliosa, ma perché il suo suono era afrodisiaco. Nonostante le cose che dicesse, nonostante gli insulti che ci eravamo lanciati negli ultimi mesi, non potevo non ammettere che, in fin dei conti, le sue attenzioni non mi dispiacessero. Roteai gli occhi, sporgendo il labbro inferiore in avanti.

- Che vuole quel coglione? -

- E io che ne so. - risposi, guardando l'orologio appeso sopra la lavagna. - Però non so perché non vedo l'ora di sapere cosa voglia dirmi. -

- Secondo stareste bene insieme. - se ne uscì all'improvviso la rossa. Le lanciai un'occhiataccia, colpendole la spalla. - Ahia. -

- Ma come ti viene in mente? Il puttaniere con la sfigata? -

- E che ne sai? Non li leggi i libri? Alla fine va sempre così. - spiegò la ragazza, sorridendo. - Non ti sto dando della sfigata comunque. -
- Alyssa, zitta. - dissi, tagliandola fuori da ogni discorso. Lei sbuffò e riappoggiò la testa sul banco. Guardai ancora l'orologio. Le 9:57

Tre minuti.

Tre fottuti minuti.

Lui ghignava, intanto. Non volevo sapere cosa avesse in testa, ma semplicemente l'attesa mi uccideva. Non capivo se mi avesse voluto far fare una figuraccia davanti a tutta la classe, oppure se aveva davvero intensione di dirmi qualcosa.

Due minuti.

Cominciavo ad innervosirmi. Mi toccai i capelli marroni con la mano sinistra, portandone una ciocca dietro l'orecchio.

Un minuto.

Il suono della campanella. Presi libri, smuovendo Alyssa, che intanto si era completamente sbracata sul banco. Roteai gli occhi, mettendo lo zaino nero sulla spalla destra. Alex continuava a ridacchiare, lanciandomi occhiate divertite. Sospirai, uscendo dall'aula, appoggiandomi sullo stipite della porta. Le braccia incrociate, il piede sinistro che batteva a terra, le labbra serrate, gli occhi freddi. Poi si avvicinò disinvolto, guardando il sedere delle ragazze che uscivano dalla stanza. Il movimento fu talmente veloce che lui non fu in tempo a bloccarmi. Uno schiaffo potente gli colpì la guancia, facendolo voltare verso di me.

- Mi hai fatto male. - disse lui. - Adesso non posso più neanche guardare le altre, la gelosia ti ha consumata. -

- No, mi metto nei loro panni. - precisai. Un sorrisetto di sfida mi comparve volto. - Cosa vuoi? -

- Io? Nulla. - rispose. - Vedevo che stavi dormendo durante quest'ora, volevo chiederti se stanotte volevi dormire con me. -

- Mi fai schifo. - sibilai, facendo per andarmene. - Hai tutte le ragazze della scuola che ti si vorrebbero fare, vai con loro, io ho altri interessi. -

- Lo so che in realtà hai una cotta. - sorrise lui. Alzai un lato del labbro superiore, scuotendo la testa. - Sammy Cesly è sempre aperta, nel vero senso della parola, scopati lei se hai una carenza, ma di sicuro non sarò io il tuo giocattolino per una notte. -

- Solo perché sei ancora vergine. -

- Io aspetto la persona giusta, non la do al primo sconosciuto per strada, adesso, scusami, ma vorrei andare. - mi voltai dall'altra parte, facendo muovere i capelli in un'unica onda. Proprio quando gli diedi le spalle, sentii lo schiaffo delle sue mani sulla mia schiena. Mi voltai di scatto, fulminandolo. Lui alzò le mani, con fare innocente, poi il ghigno da stronzo gli ricomparve sul viso.

- Adesso siamo pari. -

Anche le ore di tecnologia inglese erano andate, e sui gradini delle scale erano seduti i due fratelli, Lola e Loris Stewart, mentre affianco a me, la rossa si faceva consolare da Jonathan per la sua insufficienza in fisica. Lui le lisciava capelli, mentre lei continuava ad urlare mandare le peggio maledizioni contro il pazzo dai capelli bianchi del laboratorio. John le sorrideva, tentando di calmarla, inutilmente. "Almeno una C" sbraitava la rossa, gesticolando. Loris, intanto, aveva offerto a me ed alla sorella una cioccolata calda, ma entrambe rifiutammo. A quell'ora, Alex ed il suo gruppo occupavano il bar, e non me la sentivo di prendere a parolacce Jacques o Bill di nuovo. Non mi sentivo neanche in grado di vedere quell'altro coglione del bruno.

Perché sapevo che i suoi occhi verdi avrebbero distrutto tutti i miei più fragili presupposti.

Ciao a tutti...volevi dirvi che questa è la mia prima storia qui su wattpad, quindi mi scuso in anticipo per eventuali errori.
Passate una buona giornata.💙

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