Capitolo trentacinque.

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28 aprile, martedì.

- Non ti azzardare White. -

Frickman mi aveva messo una mano sulla spalla, bloccandomi appena prima di uscire dall'aula. Sopirai, voltandomi, guardandolo. E mi chiesi come, e perché non capisse. Che non capisse che il mio tempo era importante, in fin dei conti. E che non lo sprecavo. Lo usavo per andare a vedere lui, Alex. In quel fottuto ospedale. In mezzo a quelle coperte, che non erano quelle del mio letto. Tra tutti quegli attrezzi, e quelle...e tutto quello che io non avrei potuto fare. Dio, e pensare che stava andando tutto bene. Ma perché? Perché ogni volta che tutto sembra andare per il verso giusto tutto deve essere spazzato via, eh? Come se la mia  vita fosse stata un uragano. Dove tutti finivano dentro.

- Senta, non è il miglior momento. -

- Povera piccola White. - sibilò lui, prendendomi il mento, sollevandolo. - È una cosa seria. -

- Ah si? Ho cose più importanti a cui penare. Tipo andare a vedere come sta il MIO ragazzo. Ne ho avuto abbastanza di sentire la sua voce. Sono già abbastanza scossa da quello che è successo. -

Lui quasi si mise a ridere. Assottigliai lo sguardo, scansandomi. Perché il suo tocco mi stava bruciando la carne.

- Riguarda Lola. E anche quel depravato che ti gira attorno. -

- Hill? Ma chi è lei? La spia della porta accanto? Dio, mi sembra di stare in una prigione qui dentro. - sospirai, passandomi una mano sulla fronte. - Mi spiega cosa vuole da me? Perché non...che ne so, perché non si cerca un'altra studentessa con cui "alleviare" i  momenti caldi? -

I suoi occhi neri si ristrinsero. La pupilla era quasi impercettibile, in mezzo a tutto quello scuro, in mezzo a tutto quel buio. Vidi i suoi muscoli della mascella serrarsi, e prendere un respiro più profondo. 

- NON uso le studentesse per alleviare i miei momenti caldi, White. Ma voglio farla pagare a Steward per avermi usato. E, carassima White, credo che ti voglia far pagare a Hill di aver quasi ammazzato il tuo fidanzatino. -

- Spero che sia uno scherzo. - dissi, ridendo. - Di sicuro non odio Lola perché l'ha usata come giocattolo sessuale. La odio perché ha pubblicato le foto della mia prima volta, perché è uscita con Alex, perché ha manipolato tutto dall'inizio. - sospirai, abbassando lo sguardo. - Quindi se sta suggerendo una " doppia vendetta", rifiuto. -

Feci un passo verso la porta, ma Frickman mi si piazzò davanti. Di nuovo. Alzai lo sguardo, facendo una smorfia. Lui abbozzò un mezzo sorriso, mezzo ghigno. Dio quanto odiavo i suoi ghigni.

- Senta, sono seria, adesso sono stanca, e soprattutto sono incazzata nera per quello che è successo. Mi può lasciar andare in ospedale a vedere il mio ragazzo, perfavore? No, non voglio aiutarla. E...e niente, adesso voglio solo pensare alla...salute...alla vita di Alex. -

- Poverina, ami proprio quel ragazzo. - sibilò, spostandosi lateralmente. - Ma tanto sai che non durerà. È stato investito. È collassato. Se si risveglierà probabilmente n...-

- BASTA! - gridai, andando velocemente verso la porta, quasi con le lacrime agli occhi. - CERCHI DI PREGARE CHE VIVA, INVECE DI SPERARE NELLA MORTE DEL MIO ALEX! E SE LO STA FACENDO SOLO PER FARMI STARE DALLA SUA PARTE, SE NE VADA A FARSI FOTTUTAMENTE FOTTERE. CAZZO. ADESSO, ARRIVEDERCI! - sbraitai.

L'uomo ghignò.

- Le regole dicono di non dire parole di un certo calibro davanti ai pr...-

Basta. Era abbastanza.

- E VAFFANCULO PURE ALLE REGOLE CHE NON CI SONO MAI STATE! -

- Sei tu che non le hai mai rispettate. -

- Ho avuto i miei motivi. Arrivederci. -

L'ospedale era bianco. Completamente bianco. Le pareti bianche. Le persone bianche. Il pavimento era bianco. Niente aveva più un colore. E i corridoi poco affollati del reparto dei pazienti critici avevano come rumore solo il rimbombo dei miei passi. Ai muri non c'erano quadri, o qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto spezzare quella monotonia che invadeva l'ambiente. Sospirai. Non mi sarei dovuta trovare lì. Neanche Alex si sarebbe dovuto trovare lì. Saremmo dovuti essere al mare, a guardare il tramonto, mentre le nostre mai si stringevano. Guardai le grandi vetrate. Il cielo era nero. E forse avrebbe piovuto quella notte. Ma tanto non avrei dormito comunque. Perché gli incubi che mi affliggevano la mente non se ne andavano. Dio, avevo perso tutto. Mia sorella, Alex, la mia migliore amica, quella grandissima stronza di Lola. E non mi sarei stupita se avessi perso anche me stessa.

- Oh Megan, sei arrivata. -

Entrai nella stanza, bianca. Troppo bianca. Alex se ne stava steso a letto, l'unica cosa che scandeva il tempo erano i "bip" della macchina a cui il moro era collegato, che gli controllava il battito del cuore.

Ma non c'era solo lui.

Hill.

Stava lì. A guardarmi entrare.

- Oh no, oh no no no no, stronzo. - dissi spazientita, camminando velocemente verso di lui, afferandogli la maglietta, allontanandolo dal moro.

- Cosa? Non posso stare vicino ad un vecchio amico che sta per morire? - chiese lui, innocente.

- Sparisci. Sei tu ad averlo ridotto così. Sei stato tu...sei....sei stato...tu. -

Abbassai lo sguardo, cominciando a piangere. Ma la faccia completamente rossa dalla rabbia non si addolciva.

- Sei un bastardo...e..hai anche il coraggio...di venire qui, sfacciato, e ti azzardi anche a...chiamarlo amico. - sibilai, singhiozzando. Lui annuì.

- Forse vorresti stare da sola con il amato morente. No? Me ne vado. Non c'è gusto a vederti così distrutta. È divertente giocare con te quando sei nel pieno delle tue forze, quando hai il carattere che adesso non hai. - disse lui, deluso. - Aspetterò il pranzo a scuola. Lì sarà divertente. -

Il ragazzo uscì velocemente dalla stanza, senza che io muovessi un muscolo per fermarlo, per menarlo, per urlargli contro. E fui lasciata sola di nuova. In una stanza troppo bianca. Troppo isolata.

- Alex. - sussurrai, andando verso il ragazzo, toccandogli una mano. - Che ti hanno fatto? -

Una lacrima mi rigò le guance. E poi le altre scesero veloci. Mi ritrovai a piangere, così forte. Lo avevo fatto solo un'altra volta, al funerale di mia sorella. Poggiai la testa sul suo petto, singhiozzando, cercando di non gridare che lo amavo, perché si, lo amavo. Lentamente, mi stesi su quel letto, proprio affianco a lui. Misi la fronte nell'incavo del suo collo, le mani sul petto.

E mi addormentai, piangendo, vicino a lui.

- Ti prego, resta. -

Amore, Bastardo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora