Capitolo quarantatré parte uno.

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16 luglio, giovedì.

Mia madre si coprì la bocca con le mani tremanti. Quel cappello blu che da cinque anni attendevo, quella tunica così bella, che indossavo fiera. Mi guardai allo specchio, mordendomi il labbro. Era passato. Era passato tutto. Tutti quei momenti che quando ci sei dentro credi non passano più. Tutti le risate, e tutti i dolori, e tutte le delusioni. Sembravano come un vecchio film che mi veniva girato davanti. Sorrisi. Dio, e credevo di non farcela. E invece ce l'avevo fatta, con quegli errori madornali e le cose giuste, con le scelte fatte mentre il mio cuore ribolliva, e con le emozioni provate, che si sono insinuate dentro di me come una cicatrice sulla pelle. Fu così difficile cominciarsi a svegliare tutte quelle mattine e pensare di non avere niente di cui preoccuparsi. Sembrava tutto facile, tutto senza problemi. Forse qualcun da lassù non mi stava più mandando maledizioni, ma forse mi stava aiutando. Scossi la testa. Non ero mai stata credente. Sospirai, guardando l'ora. E il discorso? Chi se lo era imparato? Io no di certo. Quei discorsi finti e organizzati come un compito in classe. L'unica differenza era che il compito ti terrorizzava, e ti abbassava la media. E incominciare ad imprecare era lecito. Ma un discorso fatto davanti a tutte quelle persone era diverso. Poi ti avrebbero scambiato per un'altra persona. E non volevo. Gonfiai le guance, cercando di trovare le parole giuste per un discorso decente, ma nulla mi veniva in mente. Stupida Meg, stupida. Come pensavo di andare lì sopra a vincere la timidezza? Stupida, stupida. Guardai mia madre. Erano belli i suoi occhi. Lucidi, azzurri, puri. La presi in un abbraccio, poggiando la testa sulla sua spalla. La bionda mi strinse, forte, forte. Il suo calore non mi dava fastidio, nonostante l'afa che c'era lì fuori. Perché? Non lo so. Ma in quel momento lasciai andare tutte quelle arrabbiature. Sorrisi. Dio, se non ci fosse stata lei.

- Mamma...non so che portare come discorso. Tra poco Loris passa a prendermi e non so che dire...sto andando nel pallone. -

- Dì solo quello che provi. - disse lei, accarezzandomi i capelli. - Perché il miglior discorso non è quello scritto, ma quello che senti. Mancano due ore, puoi benissimo inventarti grandi cazzat...ehm, cose. -

- E se poi esce una schifezza? - chiesi, abbassando lo sguardo. - Me lo rinfaccerebbero a vita. -

- Te ne andrai in Inghilterra, pensi che le voce arriveranno anche lì? -

- Lola e Bill sarebbero in grado di fare di tutto. -

- Lola è una piccola stronza, l'altro non sa neanche mettere il muso fuori di casa. Devi stare tranquilla. E poi sei meglio di loro. Alex verrà a vederti, cerca di essere presentabile e di non balbettare. Ma sei bellissima lo stesso. - sorrise lei, dandomi uno schiaffetto sulla guancia.

- Mamma! - urlai, mettendomi a ridere. Lei alzò le mani, con quel suo sorriso meraviglioso inciso tra le labbra.

- Io sarò lì per le undici. Tu devi sbrigarti, sono già le nove meno un quarto. -

- Si, si, adesso vado. -

Lei annuì, uscendo dalla stanza. Mi guardai allo specchio, sforzandomi di sorridere. Alex sarebbe venuto. Pazzo, pazzo, pazzo. L'impulso di chiamarlo per dirgli di restare in quell'ospedale troppo bianco fu improvviso. Ma un po' di libertà se la meritava. Abbassai lo sguardo. E sentii come se tutto fosse perfetto. Una sensazione strana, era. Tutto troppo perfetto. Nonostante fosse bellissimo, qualcosa stonava. Forse non ero abituata alle cose perfette. In fondo non ero mai stata perfetta, mai lo sarei stata. Ed era così bello essere imperfetti.

Eravamo tanti. E faceva caldo. Alyssa si stava lentamente bruciando al sole, io ero diventata più o meno del colore dei suoi capelli. Loris e Jonathan stavano per sbroccare per il troppo caldo, Frickman sembrava impassibile, il preside si era fatto strada tra le sedie, e aveva cominciato a parlare salendo sul palco di legno. Il sole brillava, il cielo era azzurro. Il posto era meraviglioso. Era tutto immerso nel verde, le piante dominavano lo sfondo di ogni foto. Mancava poco al mio discorso, troppo poco tempo. Alex era arrivato da poco, e la sua bellezza era semplicemente sua. I capelli mori, gli occhi verdi, verdi, verdi come due bellissimi smeraldi. Il fisico slanciato era seduto su una sedia a rotelle, una gamba era ancora ingessata. Il busco era fasciato da una camicia bianca, i pantaloni erano neri, perfetti. Un piede indossava un mocassino nero, l'altro, con quel gesso, stonava con l'intero. Ma era meraviglioso comunque. E nonostante fosse dimagrito tanto, era ancora allegro, ridente, unico. Ci scambiammo così tante occhiate durante quel tempo in cui dovetti stare seduta. Lui mi sorrideva, io trovavo conforto nel suo sorriso, poi guadavo mia madre, mi sorrideva, e trovavo conforto anche nel suo sorriso. Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro. Guardai l'orologio che avevo stretto al polso. Poco. Troppo poco. E sarebbe partito il peggior discorso della storia. Brava Megan. Davvero brava. Il preside e Frickman guardarono gli studenti, il professore lo fece con il suo occhi severo, freddo, che gelò persino l'aria. Eccoli. Ed ecco che mi avrebbero chiamato. No, no, no, vi prego, no. Cercai di trovare parole a caso da dire, ma più ne pensavo, più la mia mente si svuotava. Lanciai un'occhiata a mia madre, ma la donna riuscì solo ad alzarmi i pollici, ammiccando. Alyssa mi abbracciò forte, Loris e Jonh sorrisero. Strinsi la stoffa della tunica tra le dita, sospirando. No, no, vi prego, no.

- Megan Loren White, adesso, se ci può fare il piacere di farci il discorso di inizio cerimonia. - disse Frickman, ghignando. - Prego, salga. -

Deglutii pesantemente, sentendo gli applausi. Oh Cristo. Non mi alzai subito, ci volle quel minuto per realizzare quello che stava accadendo. Guardai negli occhi inespressivi del professore, scuotendo la testa. Ma non fece differenza. Alyssa mi alzò dalla sedia, costringendomi a camminare verso quel palco di legno. Arrossii, così, tutto d'un tratto. Scossi la testa ancora. Volevo tanto tornare lì in mezzo, a cercare di essere come gli altri. Loris e Jonh batterono le mani, fischiando, Alex applaudiva. Oh, non avrebbe più applaudito. Oh no, proprio no. Lenta, salii gli scalini, come se fossero montagne alte, altissime. Sentii Frickman toccarmi le spalle, il preside mi sorrise. Quell'uomo anziano, basso, magro. I capelli grigi erano stati pettinati con eleganza, gli occhi azzurri. Mi fece gesto di prendere il suo posto, dandomi il microfono. Fissai per un momento la folla, congelata.

- Si...ehm...- cominciai, titubante.

Alex alzò le sopracciglia, sporgendo avanti il collo. Non sapevo che dire. Così inventai. E il cuore guidò tutto quanto.

- Vorrei cominciare col dire....ehm..grazie al professor Frickman per avermi dato questa opportunità, ovvero di rappresentare la voce di noi studenti. Sono stati anni difficili, con voti alti, voti bassi, con insicurezze, con risate, felicità, tristezza, paura di non farcela. Ma siamo qui. E quest'anno abbiamo provato che noi possiamo farcela, non solo come singolo, ma anche come scuola...e...e che ormai siamo diventati chi siamo. Quei ragazzi, quelle ragazze che da piccoli guardavano le tuniche blu dei genitori, sognando e immaginando come può essere indossarne una. Ed eccoci qui. Vestiti come dei senior, vestiti come se nessuno possa buttarci giù. Abbiamo affrontato di tutto, dall'ignoranza dei professori, alla loro bravura, agli autobus in ritardo, agli amori, alle delusioni. Ma siamo ancora qui a sorridere, e a cercare di far guarire quelle cicatrici che ci sono rimasse impresse, e che ci rendono chi siamo. Abbiamo dovuto fronteggiare le sveglie, i compiti in classe, le interrogazioni, e tutta l'ansia che i prof ci mettono ancora addosso. Adesso pensiamo al futuro, pensiamo a quello che sarà. Ma vi prego, come prego me stessa, non dimentichiamoci del passato. Perché è quello che ci ha fatto diventare i giovani adulti che siamo oggi....e...bhe...ehm...io...credo di..aver detto...tutto...spero...ah, no, vorrei ringraziare ogni professore, che nonostan...-

Ma poi fui interrotta da un urlo. Un urlo che conoscevo troppo bene.

Amore, Bastardo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora