Capitolo 36

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2 maggio, sabato.

- Allora, come ti senti? -

Non risposi alla domanda di mia madre. Come se non vedesse come mi stessi sentendo in quell' attimo, diventato troppo lungo. Poggiai la forchetta sul piatto, guardando la bionda. Dio, i suoi azzurri erano così stanchi, e le labbra non erano più perfette. Il rossetto si era tolto, e le sue unghie non avevano smalto a ricoprirle. Presi un respiro profondo, alzandomi da tavola. Ero così stanca, così stanca di non avere nessuno. Dal lavoro mi avevano dato circa quattro settimane di pausa, per riprendermi, a scuola nessuno si azzardava ad avvicinarsi. A volte anche Alyssa cercava di evitarmi. Ma ci sentivamo spesso per messaggio. Come se uno stupido sms potesse cambiare le cose. Cristo.

- Vado in camera. Non ho fame. - dissi, salendo le scale. - E no, non mi metterò a studiare. Ho studiato abbastanza. -

- Meg, aspetta. - provò la donna, prendendomi una mano.

La gelai. No, non si doveva intromettere. Non volevo  che tutta la mia rabbia si riversasse su di lei. Perché non se lo meritava. Ma se continuava a girarmi attorno, a farmi da balia. Presi la testa tra le mani. Le emicranie erano diventate così frequenti. Ma ormai ci avevo fatto l'abitudine. Come a stare sola. Ormai era tutto uguale. Tutto triste, tutto spento, tutto grigio. Il cielo non tornava più azzurro.

- Spara. - sospirai, annoiata. - Voglio solo andare a dormire. -

- Megan, so che adesso ti pare che tutti ti siano contro, ma non è così. Sei mia figlia. - cominciò, passandomi una mano tra i capello scuri. - Ci sarò sempre per te. Lo sai. Non sopporto di vederti così. Così triste. Ti chiudi in camera e non scendi per ore, non esci più se non per andare a scuola. E soprattutto non mi parli. Devo sapere quello che ti sta succedendo. -

Sorrisi. Avrei tanto voluto abbracciarla. Ma non avrei mai voluto scoppiare a piangere tra le sue braccia. Abbassai lo sguardo, bloccando le lacrime. Non la guardai neanche, mi voltai,  e salii le scale, lentamente, un gradino alla volta, come se fossero delle montagne troppo alte. L'ultima cosa che vidi prima di sparire nella mia stanza, fu l'espressione triste di mia madre. Non le avrei mai detto niente. Perché lei non doveva sapere.

- No, non deve sapere. - sussurrai, chidendo a chiave la porta, lanciandomi sul letto.

Sospirai, fissando il soffitto. Troppo bianco. Proprio come l'ospedale in cui Alex era fottuttamete rinchiuso. Sentii una lacrima scendermi lungo la guancia. Unica, solitaria. Proprio com'era chi l'aveva appena pianta. Presi il cellulare, spostandomi su un fianco. C'era solo un messaggio. Da Loris. E non so Perché ma mi illusi che fosse di Alex, per qualchr secondo. Ma poi realizzai che non poteva essere. Loris non era tipo da inviare messaggi. Lui parlava faccia a faccia con le persone. E con il suo pessimo senso dell'umorismo le faceva stare meglio. Ma sembrava che io non volessi stare meglio.

" Ehi Einstein ci vediamo stasera? Che ne dici, andiamo in giro da qualche parte? Decidi tu =o "

Einstein. A volte mi chiamava in quel modo perché gli davo spesso ripetizioni di fisica. E matematica. E chimica. Tra le mie labbra si increspò un timido sorriso. Non volevo uscire. Volevo solo a stare a casa. Mi sarei guardata altre puntate di Game of Thrones, oppure avrei messo un film, cercando di dimenticare tutto quello che stava succedendo. Ottendendo il risultato opposto. Forse cambiare non avrebbe fatto male, no? Si, forse.

" Vada per stasera...andiamo a prenderci una pizza? "

La risposta non tardò ad arrivare.

" Agli ordini! Incontriamoci davanti al parcheggio della bella vista del mare :) "

" Facciamo per le nove e un quarto? Ci vediamo lì ●_○"

Buttai la testa sul cuscino. E pensare che da quando Alex era all'ospedale non avevo più visto il mare. Noi dovevamo andare a vedere il tramonto.

Sbuffai, sedendomi sulla panchina. Coney Island era deserta. Erano tutti a Manhattan, alla stupida inaugurazione di una nuova discoteca. Alyssa era andata con Jonathan, e Celsy aveva già iniziato a postare foto su Instagram di lei mezza ubriaca. Alzai lo sguardo. Le stelle erano così tante. E dicevamo di essere soli nell'universo. Eravamo così egoisti. Lo siamo ancora. Sospirai, guardando l'orologio. Loris era sempre stato un ragazzo ritardatario. Ma non erano mai passati più di dieci minuti. Erano le 9:45. E ogni volta che lo chiamavo per sapere dov'era non rispondeva. Rispondeva quella stupida segreteria. Forse sarei dovuta tornare a casa. Ero ancora in tempo di farlo. Ma mia madre mi avrebbe incominciato a fare la ramanzina. E non era nell'umore. Non era nell'umore neanche di aspettare. Presi il telefono.

- Loris rispondi che cazzo. - sibilai, spazientita.

- Ciao, qua Loris, se non ti ho risposto vuol dire che me la sto spassando con qualche bella ragazza, richiama più tardi. Sorry. -

Quella maledettissima segreteria. Ancora. Strinsi i pugni, cominciando a camminare, ad andare via da lì. Dove non lo sapevo. Ero sola...ero sola e così stanca di essere presa in giro, di perdonare. Ed ero stanca di ricordare.

- MEGAN! -

La voce che urlò il mio nome.

Mi voltai, riducendo il mio sguardo ad una fessura. Vidi un ragazzo che camminava tranquillo verso di me. I suoi movimenti rilassati, le mani nelle tasche. Ma non riuscivo a distinguere il suo viso. Era scuro, troppo scuro. Non si distinguevano più i colori.

- Loris! - urlai, andando veloce di lui. - Cristo ho aspettato mezz'ora! Perché non mi rispondevi al telefono? Quanti problemi hai?! -

Lui non rispose.

- Oddio e adesso neanche mi rispondi! -

- Mi sono fatto aspettare, Megan?  -

Ma quella non era la sua voce. Non era la voce  di Loris. Quel tono troppo ironico e tagliente. E poi quegli occhi azzurri. E quei capelli biondi. Indietreggiai, lenta. Quello era Hill. Quello era quel bastardo di Hill.

- Certo che ti fidi proprio di chiunque eh Megan? -

Spostai lo sgaurdo sulla voce femminile dietro il biondo. E capii tutto. Chiusi gli occhi, continuando ad indietreggiare, sta volta più veloce. I capelli marroni di Lola indeggiarono ai suoi passi. Bill incrociò le braccia al petto. Lola gli poggiò una mano sulla spalla, ghignando.

- Ma che..-

- Loris è mio fratello. Viviamo nella stessa casa. E prendergli il telefono per mandare qualche messaggino divertente non è difficile, non credi? - chiese la ragazza, avanzando.

Hill sorrise.

- E adesso dove scappi? -

Amore, Bastardo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora