Capitolo 9

367 14 0
                                    

20 Dicembre, sabato.

Mi risvegliai tra le urla di Alex, e le troppe chimate perse di mia madre.  Mi stropicciai gli occhi, sbagliando. Realizzai che la camera in cui ero distesa non era la mia, e che la memoria della sera prima era così fresca nella mente. Ricordavo. Ricordavo gli strilli di piacere, i baci dolci, appena prima che ci addormentassimo, uno nelle braccia dell'altro. Mugugnai, piantando i piedi a terra. Il freddo mi invase, e quella sensazione di calore provata fino a poco prima si era dissolsa in un gelo assoluto. Cazzo. Lentamente mi alzai, barcollando. Raccolsi da terra le mutandine cadute la notte precedente, indossandole, prendendo una felpa di Alex dal suo armadio nero, tappezzato di adesivi di pericolo di morte. Che deficente. Sorrisi.

Aprii la porta della camera. Il lungo corridoio che portava alle scale era bianco, il parquet era grigiastro. Dei piccolo mobiletti erano appoggiati alla parete, rendendo l'aria più accogliente. O per lo meno quel poco. Le porte nere delle stanze, i quadri squadrati e colorati appesi al muro rendevano tutto così incerto. A piccoli passi, passai sotto gli occhi di quelle strane figure, sentendo il loro sguardo bruciare sul mio corpo. Anche Alex aveva quello sguardo. Piccante, che ti ustionava, come d'estate, quando rimanevi troppo tempo sotto il sole cocente di mezzogiorno.

- Buongiorno ragazzina. -

La sua voce impastata dal sonno mi fece entrare nella piccola cucina, nell'angolo destro del salone.

- Ehi. - sorrisi, avvicinandomi. Lui mi baciò, raccogliendo i pezzi di pane caduti a terra. Lo guardai con fare interrogativo.

- Sai com'è, volevo fare quello romantico che prepara la colazione, ma alla fine mi...è caduto tutto a terra. -

Il pavimento era completamente bagnato di caffè, il pane a terra era inzuppato di qualcosa di qualcosa di arancio. Marmellata. Speravo. Risi, mettendo dell'altro pane nel tostapane, prendendo una delle poche tazze rimaste intatte.

- Facciamo così, tu ti metti qualcosa addosso. - cominciai, squadrandolo. - E io preparo la colazione. -

- Non sono l'unico qui che sta in mutande, ragazzina. - ghignò lui, osservando le mie gambe, allungando la mano destra per toccarmi la coscia. Mi scostai, sorridendogli. Fece il muso, andando verso le scale, borbottando qualcosa di poco comprensibile.

- Ok, dove sono le posate? - chiesi a me stessa, cominciando ad aprire ogni cassetto che componeva quella piccola cucina. Cassetto dopo cassetto, finalmente trovai le forchette, mentre avevo iniziato a cucinare il becon, immergendolo nella padella calda. Tagliai il pane con i coltelli che trovai sul piano di lavoro in granito grigio, tagliuzzandolo in piccole fette. Il caffè sgorgava dalla macchinetta, allagando i fornelli. Annusai quell'odore così dolce, mentre un'ondata di ricordi mi invadeva la mente. No, no, non in quel momento. Ma i sorrisi non potevano essere cancellati. E i suoi lineamenti morbidi mi invasero il cervello. Scossi la testa. No,non adesso.

- Meg? Tutto apposto? - chiese Alex, abbracciandomi da dietro,  poggiando la testa sulla mia spalla. Sorrisi, massaggiandomi le tempie.

- Si, si...è solo che a volte mi tornano troppe cose in testa. - sorrisi, mentre ognu vena del mio corpo, ogni mio collegamento nervoso andava in tilt. - Spero che becon e caffè bastino per colazione. -

- È anche troppo. - ridacchiò, versandosi quel liquido nero nella tazza rossa. - Almeno tu non hai versato tutto a terra. -

Stavo per farlo.

- Sono donna. - risposi con un ghigno. - Noi siamo più precise, belle, pulite, ordinate, responsabili, affidabili e perfette di voi uomini. - lo sfottei, sedendomi al tavolo del soggiorno. Lui mi guardò malizioso.

Amore, Bastardo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora