Capitolo 4

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<< ... e tu non ti puoi permettere questo.>>
Una donna con una cinquantina d'anni parlava con una ragazza dai cappelli color fuoco, mentre lei sbuffava.

Quando si accorse di me, sobbalzo.
<< Signorina...>> disse mettendosi una mano sul cuore.
<< A casa sua non si usa bussare?>>
Domando venendo verso di me.

Impreccai sotto voce.
<< Mi dispiace.>> risposi scusandomi
<< Cosa desidera?>> chiese mettendo le mani sui fianchi.

<< Quando mi sono iscritta, mi avete detto di presentarmi in predidenza.Per ritirare le mie cose.>>
<< Lei è?>> chiese tornando a sedersi sulla sua poltrona in legno di mogano.
<< Zoey, Zoey Mériem Andrès.>>

La sua faccia era un misto tra confusione e incredulità.
Sorrise ricomponendosi.

<< Oh signorina Andrés.>> allargò le braccia, invidandomi a sedere su una delle poltrone bordeaux, davanti alla cattedra.

Mi sedetti osservando la stanza.

Era molto accogliente, le pareti erano color prugna e sui muri vi erano attaccati numerosi quadri di lauree e altri documenti.
Inoltre vi erano tre librerie in legno e una finestra dietro la sedia della signora, sotto di cui c'era un termosifone bianco.

Guardai negli occhi la preside, la quale mi sorrise di rimando.

Era irritante il fatto che appena sentissero il cognome di mia madre impallidivano, sbiancavano come morti.

Perché Zoe non era nessuno, ma Zoey Mèriem Andrès era la figlia di Caroline Louisa Andrès, una nobile anglo-francese, proveniente da una ricca famiglia inglese.

<< La stavamo giusto aspettando. Come sta sua nonna Annabelle?>>
<< È ancora viva...>> dico istintivamente.

La ragazza dai cappelli rossi, si sedette nella poltrona accanto alla mia.

Vedevo che mi osservava, quasi a scavarmi dentro per capire com'ero.
Risi.
Non sapeva chi ero la donna che mi aveva portato in grembo per nove mesi, e probabilmente ne anch'io  mi capivo a fondo, figuriamoci una che non sa niente di me e della mia storia.
Si perché quello che avevo vissuto fin'ora, era una storia, una storia da raccontare, da capire e da vivere, perché non si può capire cosa mi è accaduto se non se lo si vive.

La osservai attentamente, che mi guardava con i suoi piccoli occhi da gatto verdi, forse era vero ne anch'io mi conoscevo, nessuno mi aveva mai conosciuta, mi conosce o mi conoscerà mai, perché nessuno può vedere al buio, e io sono buio e oblio, niente di più.

Indossava una camicetta rossa e nera, dei pantaloncini neri con delle calze a rete, e un paio di stivali in pelle lucida nera.

Quando incrociò il mio sguardo, sorrise, mi fece l'occhiolino e si volto a guardare davanti a se.

La preside la guardò seccata poi fecce finta di niente e continuando a raccontarmi.
<< Lo conosciuta all'Università, eravamo grandi amiche, con lei ho passato gli anni più belli della mia vita, era una persona stupenda, era la mia migliore amica!>>
Che bella cosa...
C'è solo un piccolo dettaglio... a me non fregava niente di quel goblin arrugginito.
Come poteva intressarmi, come poteva piacermi parlare di persone che mi odiavano, che mi consideravano un errore, un qualcosa di osceno nato dalla fusione di qualcosa di innaturale, si perché era innaturale che una come mia madre e uno come mio padre potessero amarsi.

<< Oh si...>> si spegne con gli occhi che le luccicano.
Sorrido, finalmente posso uscire da questa stanza.

<< E la conoscevo da prima che incontrasse tuo nonno...>>
Io e la ragazza accanto a me, ci voltiamo all'unisono terrorizate.
Non ditemi che dovevo passare l'intera mattinanta a parlare con questo gallo cedrone...
La ragazza dai cappeli rossi mi guardava, come a dire falla smettere.

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