"Zia Tris, sveglia". Disse Marie arrampicandosi sul lettone per poi saltare su di esso.
Una fitta alla testa mi fece gemere e assumere sul volto una smorfia di dolore.
"No, Marie, vai da zio Alessio". Mormorai buttando la testa sul cuscino.
Cosa avevo fatto la sera prima? Com'ero ritornata all'albergo?
Ma soprattutto: dov'é Marco? Perché non ricordo quasi nulla della sera precedente?
"Ci stanno aspettando per la colazione". Disse Alessio prendendo tra le braccia Marie.
"Vi raggiungo tra dieci minuti". Dissi per poi alzarmi dal letto.
Feci una lunga doccia per poi indossare l'intimo nero con comunque il pigiama. Legai i capelli in una coda disordinata e presi gli occhiali da vista, rayban e andai al piano di sotto.
"Finalmente!". Esclamó Marta appena mi vide.
"Buongiorno". Mormorai per poi sedermi appoggiando un gomito sul ripiano di legno del tavolo, appoggiando poi la testa sulla mano chiusa a pugno, massaggiandomi la tempia. Alzai lo sguardo verso Marco. Assente, freddo e distaccato.
Aveva lo sguardo fisso sul tavolo e mangiucchiava delle fette biscottate senza proferire parole, senza alzare lo sguardo, senza parlare.
Un ricordo della sera prima.
Io e un ragazzo, io e lui avevamo scopato nei bagni del locale.
"Allora, vi siete divertiti ieri?". Chiese Peter guardandoci.
"Avoja". Rispose Marco distrattamente per poi accennare un sorriso ironico.
"Penso di essermi divertita". Risposi questa volta io.
"Eccome se ti sei divertita". Mi disse Alessio per poi accennare una risata.
"Stai zitto". Mormorai portando lo sguardo su Marco.
I nostri occhi si incrociarono, ma non sembravano i suoi occhi. Erano gelidi erano pieni di rancore e rabbia, credo.
"Io esco, torno per pranzo". Disse Marco alzandosi.
Stavo per dire qualcosa, ma mi guardó e mi fece capire che assolutamente non voleva la mia compagnia. Marco era arrabbiato con me e questo mi uccideva, perché l'unica cosa di cui avevo bisogno era lui.
"Che hai combinato?". Mi chiese Marta guardandomi dopo che Marco era andato via.
"Niente". Risposi bruscamente alzandomi dalla sedia. "Vado in camera mia, mi fa male la testa". Mormorai per poi avviarmi verso la mia stanza dove ci sarei restata per tutta la giornata, tra la mia depressione.24 Dicembre.
Tre giorni che Marco mi parlava a monosillabi o non mi parlava affatto, se ne stava sempre da solo o con gli altri, ma mai con me.
Inutile dire che avevo passato tre giorni a piangermi addosso.
"Stiamo uscendo, ti serve qualcosa?". Chiese Giulia entrando in camera.
"No, tra poco scendo per farmi un giro". Dissi brevemente per poi alzarmi.
Presi dei leggings neri, maglione largo verde militare, converse nere e jacket bomber verde militare e nero.
Mi truccai leggermente con dell'eyeliner e mascara e infilai il cappello di lana nero lasciando i capelli mossi ricadermi lungo le spalle. Misi all'interno del mio solito zainetto tutto quello di cui avevo bisogno e lo misi alle spalle.
Mi avviai verso il centro della città, mettendo le cuffiette.
Partì la canzone Even My Dad Does Sometimes di Ed Sheeran.
Passeggiavo per le strade che mi sembravano casa, ma non lo era assolutamente casa mia. Casa mia era dove c'era lui.
Casa mia era insieme a Marco.
Il suo profumo, le sue braccia, il suo sorriso, i suoi occhi: ecco cos'era casa mia. Era qualsiasi posto purché sia con lui.
Entrai in un parco dopo aver chiesto indicazioni ai passanti, mi rilassai a vedere intorno a me tutto sereno e tutto di quel bel colore vivace ovvero verde, colore che mi aveva sempre fatta pensare alla serenità o alla felicità in generale. Il chiaro del colore mi faceva pensare a delle persone positive o qualsiasi cosa che faccia parte della categoria della felicità, cosa che in quel momento mi mancava. La presenza di Marco nella mia vita mi mancava. Ormai ero abituata ad averlo sempre con me, ad averlo e sentirlo. Una figura familiare mi fece fermare falla mia passeggiata.
"Parlando del diavolo e spuntano le corna".
Pensai nella mia mente, vedendo la figura di Marco davanti a me, seduto sulla panchina sotto alla quercia. Aveva un quadernino, quasi come un'agenda, tra le mani, una penna e lo sguardo assente sull'erba.
Restai immobile a guardarlo, lui non poteva vedermi visto che era di spalle. Non sapevo esattamente se avvicinarmi o meno, forse aveva solo bisogno del suo spazio, voleva stare solo o non voleva semplicemente vedere me o sentire me. Decisi di avvicinarmi a lui dopo aver portato il telefono e le cuffiette all'interno dello zaino.
"Disturbo?". Sussurrai appena restando all'impiedi dietro alla panchina.
Già mi sentivo in colpa di aver rovinato il suo silenzio, di aver rovinanto qualsiasi cosa.
"Ehy".Sussurró guardandomi per poi chiudere il quadernino appoggiandolo nello zaino.
Il suo sussurro lo sentivo così lontano, così distante da me, come se Marco non avesse parlato affatto.
"Come mai da solo? Pensavo fossi con Peter". Sussurrai appena per poi sedermi accanto a lui, restando comunque distante.
"Mi andava di stare da solo". Mi sussurró come risposta.
Annuì alla sua risposta e rimasi in silenzio a guardarlo. Voleva stare da solo eppure io ero lì con lui. Avevo bisogno di stare da sola con lui.
«I don't wanna go home with you,
I just wanna be alone with you».
Le parole della canzone di Sam Hunt, mi risuonarono nella mente. Era vero, non volevo assolutamente andare 'a casa' o in qualsiasi posto con lui, volevo solo restare da sola con lui in silenzio, senza guardarci, senza parlarci, volevo solo stare da sola con lui, sentire la sua presenza accanto a me, perché davvero mi mancava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
"Mi manchi". Sussurrai dopo qualche minuto di silenzio tenendo lo sguardo fisso avanti a noi. "Ho bisogno di te, dei tuoi abbracci, delle tue cazzate, dei tuoi sorrisi". Dissi portando lo sguardo su di lui.
Marco non rispose, mi guardó e mi prese tra le sue braccia, stringendomi a lui. Avvolsi le braccia intorno al suo petto per stringerlo a me. Una lacrima, due, tre, un piano liberatorio si impossessó di me e questo portó al ragazzo di stringermi ancora più forte. Quasi non ci credevo di averlo accanto a me nuovamente, di sentire il calore dell'abbraccio dato. Non ci credevo eppure Marco mi stava perdonando.
"Non piangere, ci sono io con te". Sussurró al mio orecchio, stringendomi a lui, accarezzando dolcemente la schiena.
Restammo così su quella panchina. Io tra le sue braccia, lui che mi stringeva. Non c'era bisogno di parlare, i nostri sguardi parlavano da loro. Le sue dita si muovevano tra i miei capelli dolcemente, mentre le mie si muovevano distrattamente sul tessuto della sua t-shirt.
Ci sarei morta tra le sue braccia.
"Sai sono due giorni che ho ripreso a disegnare". Mi sussurró delicatamente dandomi un bacio sulla tempia. Era così bello riaverlo qui con me, ancora una volta.
"Cosa disegni?". Chiesi alzando il volto verso di lui e di conseguenza lo sguardo sui suoi occhi.
Le sue iridi scure mi portarono in un universo del tutto sconosciuto.
Ogni volta i suoi occhi color nocciola mi lasciavano senza fiato, senza parole. Erano del tutto perfetti e così profondi.
"Guarda te stessa". Rispose indicando il quadernino.
Un'altra cosa che amavo di Marco. Si fidava completamente di me ed io non potevo far altro che amarlo ancora di più. Presi il blocknotes e poi feci aderire la mia schiena contro il petto di Marco appoggiando poi i piedi sulla panchina, piegando le gambe. Lo aprì e vidi le prime pagine dove c'erano frasi cancellate, frasi scritte per metà, erano canzoni. Inutile dire che mi soffermai a leggere quelle frasi, sorridendo quasi inconsciamente. A Marco non dava fastidio, anzi sorrideva mentre io leggevo le sue frasi, i suoi pensieri più profondi. Poi andai avanti e vidi quel ritratto. Ero io. Io che guardavo altrove, con un sorriso sulle labbra dove mostravo i denti e le fossette ai lati degli angoli delle labbra, ero io che ridevo. Passai il dito sulle piegature dovute alla matita, le quali mi lasciarono un alone di grigio sul polpastrello dell'indice e lo guardai per una manciata di secondi o forse minuti. Mi alzai mettendomi a mo' di indiano sulla panchina e presi dallo zaino di Marco una penna.
«E quei sorrisi che ho già perduto tu li riprenderai».
Scrissi sotto alla frase scrivendo poi un "BD" come firma.
Marco mi prese il blocknotes tra le mani per vedere cosa stessi scrivendo: Un ampio sorriso gli apparve sul volto. Lo posó nuovamente nello zaino e mi trascinó tra le sue braccia per stringermi al suo petto ancora una volta.
"Sei così bella". Mi sussurró all'orecchio per poi baciarmi in modo estremamente dolce la guancia.
"Vieni con me, non abbiamo visitato la città insieme". Dissi alzandomi per poi porgli la mano. La afferró e iniziammo a camminare per abbandonare la villa, mano nella mano. Marco mi stringeva la mano, tenendola tra la sua, mi accarezzava dolcemente il dorso della mano con il polpastrello del suo pollice. Sembrava tutto dannatamente bello e perfetto.
"Domani ne sono ventisei". Mormorai guardandolo per poi ridacchiare.
"Aho, non me ricordà 'ste cose, me sento vecchio". Mormoró per poi posare gli occhiali da sole visto che esso era rientrato dietro alle nuvole.
Accennai una risata per poi scuotere la testa. Prendemmo la strada per andare al Duomo, sotto il suo controllo visto che conosceva bene Milano. Arrivammo ed era davvero una cosa magica. Persone sedute sugli scalini che ridevano o mangiavano qualcosa, intrattenitori per strada come ad esempio persone che si fingevano statue ed era bellissimo il Duomo con intorno gli addobbi di Natale.
"Wow, é spettacolare". Dissi a Marco guardandomi intorno per vedere la meraviglia che avevo intorno.
"Qui si fanno i concerti di radio Italia, diventa piena zeppa di persone". Mi spiegó il ragazzo accanto a me.
Mi girai intorno, girando su me stessa, immaginando la pizza piena di persone che si divertivano, che ballavano, che cantavano. Immaginai il palco ed infine immaginai Marco che si scatenava cantando insieme al suo esercito.
"Facciamoci un tatuaggio". Disse Marco attirando la mia attenzione per poi portare lo sguardo sul negozietto di tatuaggi poco distante.
"Cosa?". Chiesi pensando di aver capito male.
"Voglio fare un tatuaggio con te". Disse guardandomi seriamente, fermandosi tra la folla. Eravamo noi due che ci guardavamo ed intorno c'erano miliardi di persone, ma io avevo scelto lui, avevo visto solo lui e tra mille anni avrei scelto sempre e solo lui, senza mai cambiare idea, senza pentirmene. Di una cosa ero certa: non mi sarei mai pentita niente che avesse a che fare con Marco.
Mi trascinó con lui nel negozio di tatuaggi e lo vidi parlare con un ragazzo.
"Quale tatuaggio desiderate?". Chiese il ragazzo dietro al bancone.
"Una BD sul polso". Affermó convinto Marco.
"Marco, stai scherzando?". Chiesi a mia volta guardandolo.
"Vi lascio soli mentre decidete". Disse il ragazzo e andó dentro.
"Non mi interessa, Beatrice. Tu mi hai stravolto la vita, me l'hai resa migliore e te ne saró grato per sempre. Io so che noi due saremo insieme per sempre, non cambierà nulla tra di noi e voglio averti sulla mia pelle". Disse guardandomi negli occhi.
"Ed io voglio avere te". Sussurrai guardandolo fisso negli occhi.
Dopo un oretta uscimmo da quel negozietto. Marco sul polso destro ora aveva una piccola "BD", mentre io avevo "MM".
Marco scattó la foto.Marco Mengoni:
Indelible/ @trisdona
#MilanoSorrisi.
Eravamo uniti per sempre ora.Hola Esercito!
Mi scuso per il ritardo, ma sono tornata! Come promesso c'é una tenerissima parte dei nostri personaggi.
Come sempre lasciatemi commenti e ditemi i vostri pareri, sono molto importanti.
Grazie a chi sta seguendo la storia!
Un bacio, alla prossima!
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Indelible/ MM.
Fanfiction"L'alba migliore della mia vita". Sussurró dandomi un bacio sulla tempia. "Tutto é migliore con te". Sussurrai a mia volta prima di affondare il viso sull'incavo tra il collo e la spalla, ispirando a pieni polmoni l'odore di Marco. L'odore che in un...