Capitolo 15: La Chiamata

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Nessuno osò parlare quella sera a cena. Nolan non toccò cibo, vergognandosi anche solo a muoversi. Si limitò a lanciare rapide occhiate agli altri commensali, cercando di decifrare il loro stato d'animo e di capire se entro quella notte lo avrebbero sbattuto fuori dalla loro casa e abbandonato al suo destino. Finalmente era chiaro ciò di cui Lenx aveva parlato fin dal giorno delle Due Lune: la fortuna lo aveva tradito, mettendo con le spalle al muro ed aprendo davanti a lui solo la porta della cattura e della morte.

Quella notte sogni turbolenti animarono il suo sonno, sfrecciando nella sua mente ferita così rapidi che a malapena Nolan riusciva a ricordarli. L'unica cosa che ricordava perfettamente, però, era che ad ogni risveglio si era ritrovato madido di sudore, in lacrime, fatto a pezzi dalla sua stessa immaginazione. Perché in fondo, il piano dei suoi nemici era quello: aspettare che fosse il senso di colpa a spingerlo a consegnarsi alle autorità.

Innumerevoli volte si era chiesto se in qualche modo avesse potuto evitare che tutto ciò accadesse. La risposta era rimasta immutata: l'unico modo per impedire quella guerra sarebbe stato consegnarsi ai suoi nemici prima di entrare nel regno di Tanderbol. Una volta entrato, i suoi nemici non gli avevano neppure dato il tempo di recarsi dalla regina per richiedere il suo aiuto: prima ancora che lui raggiungesse Olpintir, avevano organizzato il raduno dei Quattro per sancire l'alleanza fra il regno di Stargen e quello di Calculryng, poi invitato la sovrana del regno di Tanderbol alle finte nozze. Quando Nolan aveva raggiunto Olpintir, era ormai troppo tardi: la guerra era già in marcia verso di lui.

Il giorno seguente, solo Nim aveva provato a rivolgergli la parola, durante la colazione: - Nolan? –

Nolan non la aveva neppure guardata, troppo imbarazzato; ma lei aveva continuato senza esitare: - Se te lo stai ancora chiedendo, noi non crediamo che tu sia il colpevole di tutto questo. E anche se tutti ti cercano, noi ti proteggeremo. –

Nolan aveva sorriso leggermente, fingendo di essere sollevato per quelle parole. Nim non aveva mentito, perché anche gli altri annuirono sommessamente, preoccupati ma convinti. Quello che Nim non sapeva, però, era che non poteva proteggere Nolan da se stesso.

La paura di essere trovato era nettamente inferiore alla continua tentazione di lasciarsi catturare, di sacrificare la sua miserevole vita pur di salvarne decine di migliaia da una guerra che le avrebbe distrutte. Dopotutto, che cosa aveva da perdere? Non aveva un passato, non aveva una patria, probabilmente non aveva neppure una famiglia. Aveva lottato, aveva creduto di vincere, ed invece era caduto nelle grinfie di un nemico ancora più potente e crudele, che lo aveva punito portando guerra a tutti i suoi possibili alleati, impedendogli così qualunque via di fuga.

L'unica cosa che gli era rimasta era una scelta: consegnarsi e risparmiare ai tre regni liberi una guerra rovinosa o continuare a nascondersi e lasciare che le armi si abbattessero sugli innocenti per colpa sua. Non c'era una scelta giusta ed una sbagliata, c'era solo quella meno sbagliata. E Nolan doveva individuarla prima che fosse troppo tardi.

Dopo quella silenziosa colazione, Nim aveva invitato Nolan a scendere nella bottega di Vultek. Lavorare con i fratelli lo avrebbe tenuto lontano dall'ozio e dai brutti pensieri, quindi Nolan si era lasciato convincere. Ma non appena aveva messo piede nel retro della bottega insieme alla ragazza, la porta d'ingresso si era aperta ed una serie di passi svelti aveva annunciato loro l'arrivo di qualche cliente.

- Buongiorno, governatore... - la voce di Vultek suonava alquanto imbarazzata.

- Risparmia i convenevoli, Vultek. – tagliò corto il governatore, che invece sembrava abbastanza nervoso. - Ho altre decine di case dove andare entro il tramonto. Stasera dovremo aver finito la prima raccolta. –

Atlas - Libro primo del ciclo degli eroi - Leggenda delle cronache di KyiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora