Capitolo 18

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Guardo la nostra isola rimpicciolirsi sempre di più e il mio cuore sembra non voler smettere di battere all'impazzata nel petto, quasi come se volesse uscire e gettarsi a capofitto nel mare. Sinceramente, non ho idea di cosa voglia invece fare io, al momento. Le uniche cose di cui mi rendo conto sono le dita di Luke intrecciate alle mie e i due uomini seduti davanti a noi, intenti a parlottare fra di loro in spagnolo. Ho sempre voluto studiare questa lingua, ma non avendolo mai fatto, dal momento che ho scelto invece di complicarmi la vita con il tedesco, non riesco a capire una sola parola, anche se posso intuire con molta facilità che il loro discorso verte intorno a noi, paurosamente magri e con gli occhi spalancati per la sorpresa. È così strana la presenza di altre persone oltre a noi due, dopo i quattro mesi passati in solitudine, che non mi accorgo nemmeno che il pilota ha iniziato a parlare con Luke, finché non sento la voce così familiare a rassicurante di quest'ultimo.

«Eravamo passeggeri della crociera di Natale partita dal porto di Sydney,» dice in un sussurro, probabilmente rispondendo a una domanda che gli ha rivolto il pilota, che si affretta a tradurre ogni cosa all'uomo seduto accanto a lui.

«Siete sopravvissuti per quattro mesi? Solo voi due?» chiede, del tutto incredulo. Ora che mi trovo su questo elicottero, in effetti, ciò che è successo mi sembra molto più assurdo, come se la mia precedente incredulità non fosse già abbastanza.

«Solo Phoebe ed io, sì.»

«Non posso crederci,» commenta il pilota, mentre io mi stringo maggiormente a Luke. «Nello zainetto ci sono dei panini,» dice poi, indicandomi uno zaino nero appoggiato fra i sedili anteriori. «Dovete essere molto affamati.»

Tuttavia, il mio stomaco si chiude al solo pensiero di mangiare qualcosa che non sia la pizza che Luke ed io ci siamo ripromessi non molte ore fa e, avvertendo una lunga occhiata da parte del ragazzo, capisco che anche lui ci sta pensando.

«Noi...» si interrompe, per poi scuotere la testa. È una scelta molto difficile per lui, posso vederlo anche da come deglutisce con lentezza straziante, e mi sento in colpa per la mia stupida proposta di mangiare come prima cosa una pizza insieme.

«Luke,» mormoro, attirando la sua attenzione. «Mangia qualcosa, ti prego.»

Il ragazzo, incredibilmente, sorride, per poi baciarmi con delicatezza la fronte. «Va tutto bene.»

«Non va affatto bene, Luke! Quello che-»

«Tranquilla, principessa,» mi interrompe, senza smettere di sorridere. Mi accarezza i capelli e io sospiro, sperando solo che il momento di riempirci finalmente lo stomaco arrivi presto.

Dalla mia posizione intravedo il pilota tendere le labbra in un lieve sorriso, forse perché prova pena nei confronti di due emeriti idioti che rifiutano del cibo dopo quattro mesi di fame, ma dura solo pochi istanti. Ricomincia subito a parlare in spagnolo con l'uomo accanto a lui e, pur cercando di capire qualcosa, ogni mio sforzo è inutile. Le uniche parole che riesco a riconoscere sono Juan e Pedro, i loro nomi forse, anche se non ne sarei così sicura. Tuttavia, non mi interessa più di tanto.

«Vi portiamo all'aeroporto di L'Avana e da lì prenderete il primo volo per Sydney,» dice poi il pilota, di nuovo rivolto a noi. «Conosco il direttore dell'aeroporto e sono certo che per lui non ci saranno problemi a farvi partire, considerate le vostre condizioni,» conclude, alludendo di sicuro allo stato in cui siamo ridotti Luke ed io: i nostri vestiti sono tutti strappati, non abbiamo più i nostri documenti e i soldi per il volo e, devo ammetterlo, non emaniamo proprio un delicato profumo di fiori.

Luke annuisce e ringrazia i due uomini, per poi baciare ancora una volta la mia fronte, facendomi sentire come sempre una piccola bambina indifesa. «Hai sentito, principessa? Stiamo per tornare a casa.»

Two Castaways || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora