Capitolo 5

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«Attenta ai piedi,» mi avverte Hemmings, indicandomi per terra il ramo di un albero a poca distanza da me.

Lo manco di poco e riesco a non inciampare ma, cercando di sorpassarlo, non mi accorgo di un altro fottuto ramo che sporge proprio all'altezza della mia faccia. Mi finisce direttamente nell'occhio e io per non so quale grazia divina riesco a non gridare tutto il mio repertorio di imprecazioni e insulti vari.

«Avresti anche potuto avvisarmi e magari adesso non correrei il rischio di diventare cieca,» borbotto, trasudando rabbia e fastidio da tutti i pori, ma Hemmings scoppia a ridere e io mi chiedo per l'ennesima volta per quale dannato motivo abbia accettato di fare questa escursione con lui. Ieri pomeriggio, dopo la nostra competizione in acqua, ha deciso di andare lui stesso ad esplorare un po' l'isola per cercare cibo e acqua ma dopo un paio d'ore è tornato a mani vuote, incolpandomi dell'accaduto. A quanto dice, infatti, non ha potuto perlustrare per bene la zona perché troppo in pensiero per me, rimasta da sola alla spiaggia. Di certo non sarebbe mai spuntato fuori uno squalo dall'acqua per uccidermi, ma lui non è della stessa idea. Proprio per questo motivo oggi ha deciso di esplorare l'isola insieme e io, dopo essermi svegliata del tutto incazzata perché ancora una volta mi ha spostata sotto il rifugio contro la mia volontà, ho accettato esclusivamente perché in questo modo posso essere certa che Hemmings non infili solo nella sua boccaccia dell'ipotetico cibo.

«Quel ramo mi è arrivato sul petto e mi sono ricordato troppo tardi che tu sei una nanerottola,» risponde, per poi girarsi e rivolgermi un occhiolino.

Dio, non lo sopporto.

Si volta di nuovo di spalle, ma un ramo gli finisce dritto in faccia. Scoppio a ridere sguaiatamente e devo piegarmi sulle ginocchia e tenermi la pancia perché, davvero, è una cosa fin troppo divertente.

«Vedi, amico, la ruota gira e prima o poi tocca a tutti,» commento divertita, per poi sorpassarlo e lasciarlo indietro a soffrire. Procedo fra le piante ed essendo davanti riesco a vedere meglio i vari ostacoli.

Purtroppo, anche oggi non vedo la minima traccia di cibo o acqua. Tra l'altro, qui in mezzo non ci sono nemmeno animali da seguire fino a qualche corso d'acqua e da uccidere poi per mangiarli. Sembra proprio che questa isola produca solo piante e insetti, troppi insetti.

«Qual è il tuo cognome?» mi chiede all'improvviso Hemmings, che a quanto pare mi ha raggiunta.

«Perché vuoi saperlo?» chiedo, annoiata, e lui mi guarda come se fossi pazza. Io, però, davvero non capisco l'utilità di sapere il mio cognome: mi è stato utile sapere il suo perché non voglio dargli così tanta confidenza da chiamarlo per nome, ma lui già mi chiama 'principessina' con quel suo tono odioso e direi che è abbastanza.

«Perché voglio conoscerti meglio,» spiega. «Non sappiamo quanto rimarremo su questa isola e sarebbe carino sapere qualcosa l'uno dell'altra, non trovi?»

No, non trovo. «So io quanto staremo su quest'isola, Hemmings,» ribatto e lui mi rivolge un'occhiata ricca di confusione. «Non più di una settimana perché, sai, l'essere umano non può sopravvivere a lungo senza della fottutissima acqua!»

Il ragazzo sbuffa e con la coda dell'occhio lo vedo alzare gli occhi al cielo. «Va be', lascia perdere.»

Entrambi rimaniamo in silenzio e andiamo avanti a camminare, ritrovandoci di tanto in tanto a fermarci per spostare qualche ramo troppo ingombrante che il vento ha sradicato dal suo albero. Hemmings ha il viso corrucciato in un broncio simile a quello di un bambino offeso e io mi ritrovo a sospirare, sentendomi in colpa. Alla fine mi ha solo fatto una domanda e non dovrei scaricare tutto il mio pessimismo addosso a lui, ma non ho potuto fare altrimenti.

Two Castaways || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora