Viadotti

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Il sole di luglio assomiglia ad un enorme pompelmo in fiamme. I suoi raggi come dardi sbilenchi inondano la campagna riarsa e secca. Una leggera brezza si muove come una serpe strisciando tra i dolci pendii delle colline disegnate ovunque.

Il viadotto sorge come un'enorme pista sospesa a mezz'aria, incastonato tra la brezza e le rocce aspre disposte qua e là.

Lo percorriamo scivolando velocemente sull'asfalto a bordo di un'auto grossa e impolverata. Una di quelle abbastanza capienti da poter trasportare una squadra di calcio intera, con le portiere scorrevoli, che assomigliano più a dei furgoni.

Oltre i finestrini sporchi e usurati e le portiere ammaccate, incrostate di ogni sorta di sporcizia, un silenzio stiracchiato si allunga e si distende sempre più nel tempo.

In sottofondo un CD di musica folkloristica meridionale, probabilmente napoletana. Nessuno osa proferire parola e di tanto in tanto uno sbadiglio interrompe la nenia partenopea.

I viadotti sono costruzioni imponenti quanto fragili. È la prima volta che ne percorro uno e rimango meravigliato dalla sua lunghezza. I viadotti assomigliano a dei pensieri lasciati a metà, a dei sogni non ancora realizzati e come tali creano un senso di vertigine.

"Vedi un po', mica è 'sta qua l'uscita?" Chiede il conducente.

"Mi pare di sì!" Risponde qualcuno.

Mi volto a guardare indietro e vedo srotolarsi in tutta la sua lunghezza il viadotto alle mie spalle, dura solo un attimo, il suono della freccia precede di qualche istante una brusca svolta e il viadotto scompare dalla mia vista.

L'esercito sottile Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora