Lo stanzino

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Quando mi risvegliai mi accorsi immediatamente di trovarmi tra le lenzuola di un letto.

Odori e suoni non erano i soliti di sempre e compresi ancor prima di aprire gli occhi che c'era qualcosa che non andava.

Ebbi conferma immediata delle mie supposizioni appena aprii gli occhi, scorgendo un soffitto totalmente nuovo. Rimasi per qualche secondo attonita e incerta. Ogni pensiero sembrava superfluo, ogni supposizione inutile.

Il corpo mi formicolava debolmente a partire dalle dita dei piedi fino ad arrivare ad un punto imprecisato che si perdeva in mezzo alla scapole. Stranamente però non era il freddo a dispensarmi quel senso di intorpidimento. La stanza era evidentemente calda e le coperte, a loro modo, pulite e tutto sommato di buona fattura.

La sensazione più strana proveniva però dalle gengive, che mi dolevano in un modo mai sperimentato prima. Ero talmente sensibile da percepire distintamente come delle bizzarre protuberanze innestate nelle ossa della mandibola. Ma era una percezione fugace, ad ogni movimento del capo avvenivano repentini passaggi da momenti di neutralità sensoriale ad altri di improvviso piacere che caracollavano malamente in picchi di un dolore in qualche modo immaginario ed etereo, inconsistente.

Ad una prima analisi ero giunta a comprendere che poteva trattarsi di un luogo qualsiasi, e questo non mi aveva messo granché di buon umore, ma i miei pensieri viaggiavano come per inerzia e non mi sentivo così preoccupata.

Mi ritrovavo in uno strano stanzino, piccolo e colmo di cianfrusaglie. Era forse uno sgabuzzino o qualcosa di non lontano da un ripostiglio, le pareti erano di legno scadente. Parevano poste alla bell'e meglio da un qualche carpentiere scansafatiche che in quel giorno desiderava solo fare ritorno a casa prima del tramonto. Perfino concentrandosi su altre parti della stanza, saltava inevitabilmente all'occhio la loro mala fattura.
Il legno era sudicio e pregno di asperità che lo rendevano simile al manto di un cane bastardo. Le macchie sparse per tutta la superficie, sembravano dipinte ad arte per renderlo oltremodo incoerente.

Com'ero finita in quel letto?

Andando a ritroso nella memoria non mi riusciva di ricordare alcunché. Semplicemente ero su quel letto e nella testa mi rimbombavano con veemenza parole sconnesse.

In fondo alla stanza, esattamente di fronte a me, ad al massimo tre metri, c'era una porta chiusa. Sopra di essa, tra il profilo in legno scuro e il soffitto era posizionato un grosso orologio al quale tuttavia mancavano le lancette.

Sulla parete alla mia destra invece, a partire dall'angolo più in fondo, erano posizionati con un ordine all'apparenza insensato delle sagome di persona. Ogni volta che lo sguardo mi cadeva su di esse rabbrividivo. Per quanto statiche e rotondeggianti avevano un qualcosa di terrificante che acuiva le preoccupazioni che già affollavano la mia mente. Erano intagliate con precisione, seppure non con le misure di adulti, piuttosto davano l'idea di sagome di bambini o adolescenti. Non superavano il metro e cinquanta, era evidente. Saranno state non oltre la dozzina ed erano poggiate a piedistalli triangolari dotati di una sezione trasversale che ne consentiva l'incastro, erano tutti diversi, ma mi colpirono un paio: erano fabbricati in vetro grezzo dai colori sgargianti.

Oltre la zona delle piccole sagome, di cui ignoravo la funzione, proseguendo sulla parete destra andando verso la mia direzione, si incontrava una grossa libreria colma di volumi. La struttura era di metallo, ormai prossimo alla ruggine. Sembrava forgiato artigianalmente, esattamente come ogni altro oggetto nella stanza. Ai lati della libreria, appese all'ultimo ripiano con due lunghi ganci metallici, c'erano delle lampade ad olio dall'aspetto trasandato e consunto. Erano le prime che vedevo funzionanti in vita mia. Emettevano una luce colpevole, livida, schiacciata dal vetro ormai giallo grigio entro il quale le fiammelle danzavano placide. La luce proveniva anche da una candela grossa e lunga posta sul comodino alla sinistra del mio letto, anche questa fiamma ballava incerta e dava un senso d'altri tempi, come d'altronde ogni cosa in quella stanza.

Il comodino su cui era posta era l'unico elemento stranamente moderno, la superficie era liscia, di colore bianco. Era sufficientemente largo da permettere ad un grosso posacenere di pietra lavica di sostare al fianco della tozza candela. Nel posacenere erano stipati tanti chiodini sottili e arrugginiti dalla punta piegata. La cosa mi sembrava strana, nonostante la stranezza ormai fosse l'unica costante.

Non c'erano finestre, eccezion fatta per una specie di oblò semi rettangolare che sorgeva sulla parete sinistra della stanza. Quest'ultima a differenza della parete di destra, era quasi del tutto spoglia se non per un paio di poster in uno stile che ricordava i primi del '900.
La bizzarra finestrella rompeva la monotonia del legno ma non permetteva alla luce di passare. Il vetro di cui era fatta era pervaso di righe dritte sottili incise con precisione che lo traversavano in ogni direzione a formare un disegno incomprensibile. Ogni sezione composta dallo spazio tra una scanalatura e l'altra era di una sfumatura diversa della gamma cromatica del marrone. Una tendina incerta se ne stava tirata tutta da un lato sul bordo dell'infisso, la sua funzione era pressoché annullata dall'impossibilità della luce di filtrare attraverso la lastra astrusamente tratteggiata.

Mi accorsi infine, dopo aver vagato a lungo con lo sguardo, che il pavimento era composto da un patchwork di linoleum, parquet e moquette che creavano un senso di pervicace abbandono.

Fu forse quell'ultimo tassello, l'ennesimo storto nel puzzle degli avvenimenti, a scatenare un improvviso, quanto legittimo pensiero nella mia testa: Salvatore.

Fu come un'esplosione improvvisa, inaspettata quanto violenta.
Come potevo aver dimenticato una cosa del genere ?

Ma non feci in tempo ad alzarmi dal letto che dalla porta provenne un distinto girare di chiavi.

Poi un silenzio tombale e assordante. Nessuno scatto nessun movimento.

La maniglia restava immobile nella sua posizione.

Ancora silenzio.

Mi bloccai serrando il respiro, in attesa.

L'esercito sottile Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora