Trasmissione

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Viene talvolta incontro a ognuno di noi una tragica consapevolezza. Una di quelle senza una forma precisa, semplicemente una nebulosa consapevolezza totale e impetuosa.

Cruda, essenziale, atavica. Essa si farebbe in mille pezzi fini e infinitesimali pur di penetrare dentro di noi. Alcuni parlano di una sorta di epifania, ma chiamare questa consapevolezza epifania sarebbe assolutamente inappropriato. Specialmente se penso che questa attende quieta e calma, nascosta come un pesce predatore sul fondale in attesa del momento di agire. Quando poi, infine giunge, questo pesce concettuale muta forma: tira, dilania, spreme, strappa le sue stesse membra come fossero brandelli di carne senza vita e tutto questo dimenticandosi di emettere alcun lamento. Ora il suo aspetto è finalmente svelato: una fedele fotocopia di noi stessi.

La chimera impone la sua presenza inquietante, è l'ospite inatteso che fa capolino dalla nostra porta l'attimo prima di coricarci e con forza bussa. I colpi sono rintocchi sordi che sconvolgono l'ordine degli eventi e la coerenza della sequenza dei pensieri.

Perciò non può che essere sbagliato parlare di epifania. Si tratta invece della massa informe dei nostri pensieri che si ricongiunge col centro vuoto che la genera, che per opposizione naturale risulta essere la regione critica dalla quale la nostra intera consapevolezza cerca costantemente di fuggire. Sembra assurdo, forse lo è... ma non siamo mai veramente pronti all'annientamento; persino nell'attimo nel quale perdiamo ogni contatto con la realtà e simuliamo la morte: l'addormentamento, non ci lasciamo andare al flusso finché non diventa troppo pesante restare ancorati al bordo, quello della veglia.

Imparo lentamente a navigare nelle acque, dalle sfumature opalescenti, che si trovano dall'altra parte del bordo. Vedere come l'ostinazione del nostro modo di pensare e catalogare la realtà diventi solo una sparuta ombra lieve, a colorare i fondali sconfinati dei capricciosi flutti che stanno da questa parte, mi toglie il fiato e mi pervade come un'onda silente e spessa che non lascia nulla al proprio posto dopo il suo passaggio.

L'entropia non è poi così male. In fin dei conti non è nulla di veramente refrattario alla natura umana, anzi collima con il concetto di ordine portato alla sua massima forma nell'attimo in cui l'osservatore perde il contatto con i propri valori e si abbandona al flusso che regge il vuoto dal quale questi tenta una fuga inutile, ma fondamentale.

Mi riscuoto dal sonno come un annegato che abbia perso conoscenza, ripescato dopo una caduta da una nave da crociera nel bel mezzo di una traversata nei mari del nord. Mi percorrono in lungo e in largo frequenti e imprevedibili legioni di brividi. All'altezza della nuca sedimenta un agglomerato di nervi come accartocciati intorno ad un nucleo duro, dolente.

Mi sembra di aver sognato, e di averlo fatto a lungo e con trasporto totale. Ma non mi riesce di ricordare esattamente di cosa.
Il sole quasi completamente nascosto getta riverberi cremisi, siamo vicini al tramonto.

Mi scorrono tanti pensieri per la testa e con l'indice della mano destra, lievemente piegato a formare un angolo morbido, mi ritrovo a tracciare dei disegni sul dorso della mia mano. La linea immaginaria mi guida nel tracciato nascosto sulla superficie della mia pelle. Fino a fermarsi sulle pieghe increspate raccolte tutt'intorno all'articolazione del polso. Qui l'indice perde il suo vigore e giace moribondo, barcollando per un lungo istante.

"Ci sono cose che restano dentro di noi anche quando pensiamo di averle ormai perdute del tutto."

Una voce irrompe nei miei pensieri. Sembra essere la mia, la mia stessa voce interiore che si rivolge a me.

Una sensazione di freddo intenso mi assale. Una paura infondata e cruda s'impossessa di me. Cerco di reagire come meglio posso, sebbene disarmato e inerme.

L'esercito sottile Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora