La cura

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Così semplice da ottenere ma allo stesso tempo così infinitamente complessa. La cura era sempre stata lì, ad un passo dalla causa dell'infezione.

Era la piantina.
C'era essenzialmente un unico problema:
solo uno dei due criceti era stato "educato "a mangiare vegetali.

Fu l'unico dei due a salvarsi.

Il secondo, ebbe dei piccoli fremiti che lo percorsero dalla punta delle zampe fino al capo e subito dopo si spense, esalando un pesante respiro.

Non era certo una dimostrazione del potere della conoscenza pura, ma di certo era un tentativo di confermare la superiorità di chi prova, impara, si adatta, rispetto a chi non "evolve".

Appena la creatura smise di respirare definitivamente, l'aula assunse ai miei occhi un'aria più cupa, plumbea come un pomeriggio di pioggia di dicembre.

Quella volta Pasolini venne sospeso in via definitiva e un paio di genitori lo denunciarono.

Da quel giorno non si vide più.

È un ricordo strano, questo.

Per quanto tenti di pensare a lui come ad un sadico col desiderio inespresso di raccogliere intorno a sé un pubblico al quale poter mostrare la sua "forza", non posso fare a meno di sentirmi attratto da una certa fascinazione. La stessa che spesso ci coinvolge quando ci ritroviamo di fronte all'imprevedibile.

Ogni qual volta un evento si discosta in maniera improvvisa dal senso comune, lacerando in maniera scomposta il tessuto della routine, a livello neurologico avviene un salto, i neuroni vanno in festa, rimbalzano senza sosta segnali che non trovano conferma nei canali canonici. Insomma, forziamo l'artista in noi a dipingere un nuovo quadro della situazione generale che comunemente definiamo "realtà", aggiungendo alla tela un colore mai utilizzato prima. Questo, per quanto possa risultare da un evento drammatico, mantiene intimamente i connotati di un miracolo, di un sacro evento che ci dimostra la magia della realtà nel suo disvelarsi e restiamo inconsciamente grati verso l'evento che ci ha condotti ad un nuovo panorama.

Il ricordo, riemerge dalla mia memoria di tanto in tanto, vestendosi di sfumature nuove, talvolta talmente inaspettate da creare confusione dentro di me.

Mentre il ricordo di Pasolini sfuma lentamente, diluito dall'intercedere del tempo stesso, Rosanna, la zia più tozza, chiama tutti a raccolta.

"È pronto il caffè" esclama con la sua voce dolce e rotonda, e con la stanchezza particolare e viziata, che si prova dopo un lungo viaggio in macchina, mi alzo dal letto che cigola malamente e vado a passi incerti verso la cucina.

Forse in un documentario, a dire il vero non ricordo in che occasione...

In ogni caso, avevo sentito dire che il senso di spossatezza che percepiamo dopo un lungo viaggio è dato, non tanto dalla posizione statica che assumiamo incastrati nei sedili o dalla monotonia del viaggiare.

Secondo quella bizzarra teoria, era il corpo astrale la causa di quella sensazione.

Dobbiamo immaginare il corpo astrale come una sorta di proiezione del nostro corpo fisico, ma impalpabile.

Esso rappresenta la nostra sfera emotiva e morale, un corpo spirituale sul quale sono evidenti i tratti salienti della nostra anima.

In pratica, la teoria asseriva che il corpo astrale non è abituato a muoversi a velocità che superano quella normale dell'essere umano.

Perciò quando saliamo su un mezzo molto rapido, come un aereo, un treno o anche un auto, obblighiamo per un certo periodo il corpo astrale a percorrere lunghe distanze nel tentativo di stare dietro il più possibile al corpo fisico.

Per quanto sia evidentemente una teoria assurda, ogni volta che viaggio mi immagino seguito un passo indietro dalla mia proiezione, che cerca forsennatamente di raggiungermi.

Mentre sorseggio il caffè dalla tazzina di ceramica bianca penso a questo altro me.

Con delicatezza poggio la tazzina vuota sul tavolo e allungo una mano per prendere un pasticcino a forma di cupola verde.

Appena lo addento rimango come folgorato dal gusto pieno, che uccide definitivamente l'amaro rimastomi in bocca.

Non riesco a fare a meno, tra un morso e l'altro, di immaginare il mio corpo astrale al mio fianco, intento a fissare con intensità il pasticcino al pistacchio.

Finalmente mi ha raggiunto.

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