Sono così finte le parole, specialmente quando giunge il momento di raccontare una storia. Paiono correre rapide come elettroni intorno al nucleo, descrivendo traiettorie nuove seppur sempre identiche senza mai avvicinarsi per davvero al centro.
Sono come le stelle, che bucano la volta celeste a mo' di impalpabili punteruoli. Promettono la luce del giorno. Ma solo quando la notte, simile ad una dea pagana, ammanta ogni cosa di nero, sradicando l'oscurità dal fondo dell'universo per il tempo di un respiro, rispedendola poi giù, sempre più giù nel profondo, al sorgere del sole.
Le parole sono maschere, macchine, artefatti, congegni, talvolta tanto solidi e massicci da pesare come macigni, come scogli in mezzo al mare.
Sono le foglie spinose del cactus che ti fanno solletico se le carezzi, ma ti feriscono se le stringi forte, se tenti anche solo di grattare sopra il coperchio.
Pasolini compie ogni gesto in maniera ordinata, pulita. Muove le sue mani come fossero artificiali protuberanze programmate in precedenza.
Borbotta qualcosa, con gli occhi pieni di una luce sinistra, continua a bofonchiare un mantra. Poi alza il tono, volge lo sguardo a tutti noi e parla con una voce sporca e incerta, priva della limpidezza dei suoi gesti.
Intanto ha aperto il coperchio sotto il quale fermentava il liquido vischioso. Ha preso una siringa, estraendola dal taschino della giacca, e ha risucchiato al suo interno una buona porzione del liquido.
Tra di noi ci guardiamo un po' increduli, nessuno interrompe i gesti precisi dell'insegnante. Pasolini dice che quello nella siringa è un virus mortale, dice che un criceto può morire in meno di dieci minuti, ci avverte che sull'uomo, a quelle dosi, potrebbe al massimo causare una febbre e nulla più.
Poi estrae i due topolini che sembrano sbigottiti, storditi. Riprende la scatola e la poggia sulla cattedra. Continua a ripetere che la conoscenza è una forza molto diversa da quella a cui noi siamo abituati dai media e dai film.
Intanto i due topolini si muovo spaesati sulla superficie di cartone, disegnando cerchi concentrici via via più sottili, quasi rincorrendosi.
Pasolini parla dell'unità 731 ancora una volta. Dice che talvolta la scienza può diventare crudele, dice che anche la natura è fondamentalmente crudele e che probabilmente Dio deve essere qualcosa di molto più crudele di quello che noi possiamo anche solo immaginare.
Però, sottolinea, mentre ispeziona minuziosamente la piantina in vaso, la conoscenza è l'unica arma per rispondere alla crudeltà di cui, noi deboli esseri umani, siamo dotati.
Secondo lui, anche la conoscenza è "a suo modo" crudele e l'intelletto non si cura del "bene", come comunemente la gente lo intende.
"'Ma siamo esseri umani!" ribadisce, in un impeto di passione, con la voce increspata da un moto quasi isterico, quindi prosegue ammettendo che sì, possiamo e dobbiamo conoscere, ma che no, non siamo solo conoscenza, ma abbiamo anche delle emozioni e tanto altro.
"Ma non è forse questa nostra complicata fragilità all'origine di una sofferenza che perdura? Al contrario di quella fisica, quella emotiva è una sofferenza così insensata...". Il professore sembra percorso da chissà quale pensiero mentre si interrompe, ci guarda ma sembra non vederci, poi ci rassicura dicendo che assisteremo a qualcosa di davvero interessante, sembra quasi rinsavire.
Poi strappa una manciata di foglie dalla piantina e le poggia affianco alla scatola. Lo fa con una delicatezza che pare inappropriata, assolutamente estemporanea.
STAI LEGGENDO
L'esercito sottile
Mystery / ThrillerLa dimensione del ricordo si mescola con quella del presente in un susseguirsi di scene al limite del reale. Un giovane di città è obbligato a partire alla volta della campagna, in una cittadina imprecisata del sud, a causa di un improvviso lutto. I...