1. L'arrivo

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La ruota della carrozza prese una buca e l'intero abitacolo sussultò. Catherine Whisper guardò fuori, infastidita dai continui scossoni della strada di campagna. Il sole stava tramontando e le sue ultime, calde luci le accarezzavano i ciuffi ribelli che le uscivano dalla severa crocchia, rendendoli ancora più rossi di quanto non lo fossero già.

"Mia cara Catherine, cerca di avere un'espressione più allegra. Se quando arriveremo alla villa non avrai un bel sorriso sul volto, nostra madre potrebbe contrariarsene. E sai cosa succede quando nostra madre è contrariata...", le disse il giovane seduto di fronte.
Indossava una marsina azzurra cucita su misura e un cravattino stretto al collo dello stesso colore, in tinta con i suoi occhi.
Catherine gli scoccò un'occhiataccia:
"Non mi interessa cosa potrebbe pensare, io non voglio passare l'estate isolata in quel postaccio!", gli rispose, brusca.
Lui parve non sentirla, concentrato come era a passarsi la mano sui capelli biondi per controllare che non fossero in disordine.

"Caleb ha ragione. Il tuo comportamento immaturo potrebbe rendere il soggiorno alla villa McClarke molto più spiacevole di quello che tu possa immaginare, non solo per te stessa ma anche per tutti noi. Ti conviene calmarti e di fare buon viso a cattivo gioco.", commentò in tono distaccato una bambina dall'aspetto fragile.
Il suo volto pallido era incorniciato da lunghi capelli biondi che si diramavano in morbidi ricci fino a sfiorare, con le punte, le pagine del libro che stava leggendo e dal quale non aveva distolto lo sguardo.
"Taci, Violet. Non prendo lezioni di maturità da una bambina di dieci anni", le disse di rimando.

"Suvvia, non siate così battaglieri gli uni con gli altri!", rispose l'ultimo passeggero della carrozza in tono conciliante, "Dobbiamo stare uniti e andare d'accordo. Solo vedendoci amabili Henry McClarke non avrà ripensamenti riguardo la celebrazione delle nozze con nostra madre e ci impedirà di cadere in rovina. Il nostro soggiorno alla villa è stato organizzato proprio per farci conoscere".
Chi aveva parlato era una ragazza della stessa età di Catherine e di identico aspetto, se non fosse per il modo di portare i capelli, che teneva sciolti e liberi di ondeggiare ad ogni suo movimento.

"Ah, Juliet, la tua dolcezza riesce sempre a mettere a tacere i nostri dissapori. Non so come faremmo senza di te! ", commentò Caleb, sincero, "Spesso mi capita di pensare che tu e Catherine non siate altro che una faccia della stessa medaglia. Siete l'una l'opposto dell'altra!"
Juliet arrossì per il complimento, Catherine lo guardò accigliata per la velata critica. Aprì la bocca per replicare, ma Violet la interruppe prima che potesse dar voce ai suoi pensieri:
"Siamo arrivati", disse, sempre senza staccare gli occhi dal libro.

Catherine guardò nuovamente fuori dalla finestra e per poco non si lasciò sfuggire un verso di stupore alla vista della villa McClarke.
L'edificio era costituito da una facciata principale ricca di finestre, alle cui estremità si protraevano altre due costruzioni perpendicolari che cingevano, in una sorta di abbraccio monumentale, il cortile interno, il cui lato scoperto era protetto da un pesante cancello di ferro dalle punte acuminate. Le finestre più alte della struttura brillavano riflettendo le ultime luci del sole ormai quasi completamente sparito dietro alle montagne, mentre le sottostanti erano già immerse nell'oscurità. Dietro, maestosi e alti pini annunciavano il limitare di una fitta foresta.

"È enorme!", esclamò la ragazza rivolgendosi ai fratelli, "Non credevo che i McClarke fossero così benestanti!"
Tutti, ad eccezione di Violet, guardarono incuriositi.
I servitori aprirono il cancello che cigolò rumorosamente, come lamentandosi per essere stato costretto a muoversi. La carrozza attraversò il cortile e si fermò davanti alle scale della facciata principale. Su di esse, i fratelli poterono scorgere quattro figure, non chiaramente distinguibili per via della poca luce.

"Va bene, facciamolo", disse Catherine ai fratelli prima di scendere dalla carrozza con un enorme e falso sorriso stampato sul volto.
Gli altri la seguirono a ruota.

Subito, una delle quattro figure venne loro incontro, rivelando di essere la loro madre: indossava una veste verde scuro ricamato che accentuava il suo portamento quasi regale. I suoi capelli, che ormai iniziavano a tingersi di grigio, erano legati in una crocchia e le davano un aspetto ancora più austero. Il sorriso con cui accolse i figli non le arrivò agli occhi, che invece restarono freddi e privi di gioia.
"Figli miei! Che gioia vedervi!", disse con uno slancio che mai aveva mostrato se non in pubblico.
I nuovi arrivati non si stupirono dinnanzi a quel comportamento, ma le diedero corda, comprendendo che fosse necessario mostrarsi più uniti di quanto fossero veramente.

"Madre, ci sei mancata!", disse Catherine, adottando la forma più informale per rivolgersi alla madre.
La donna le strinse le mani, poi fece lo stesso con gli altri quattro figli, scambiando qualche parola di circostanza e senza risparmiare un'occhiata di critica alla vista del colore della marsina di Caleb. Lui tuttavia rimase impassibile e resse il suo sguardo.

Una seconda figura vestita di nero si avvicinò. Era un uomo alto i cui capelli sale e pepe e le rughe ai lati degli occhi grigi testimoniavano la fine dell'età matura e l'inizio della vecchiaia. La madre si girò verso di lui e disse:
"Caro Henry, vi presento i miei figli", li indicò uno ad uno a turno,  "Catherine, di diciotto anni, e sua gemella Juliet, Caleb, di sedici, ed infine la mia figlia più giovane, Violet, di dieci anni. "
Quando nominati, i quattro figli salutarono con un inchino.
"Figli miei, questo che vedete è Henry McClarke, il vostro futuro padre adottivo.", continuò poi la donna.
L'uomo sorrise "Sono lieto di fare la vostra conoscenza", salutò con una voce molto profonda, "lasciate che vi presenti la mia famiglia"

Udendo quelle parole, le altre due figure si avvicinarono timidamente.
"Lui è mio figlio Joseph, di diciassette anni" , disse indicando un bel giovane dagli occhi castani e i capelli scuri, "e questo è Robert, di otto", presentò spostando la mano verso la seconda figura, un bambino dai capelli dello stesso colore del fratello e gli occhi verdi.
"Ben arrivati", salutarono i due chinandosi all'unisono.

"Vogliate scusare l'assenza del mio primogenito", continuò il gentleman, "ma William ha una salute cagionevole e in questi giorni si sente poco bene. "
"Comprendiamo benissimo la vostra situazione", rispose Juliet, "anche nostra sorella Violet ha una salute fragile".
Tutti si voltarono verso la bambina, che però non commentò, limitandosi ad osservare Henry McClarke con la sua solita espressione imperturbabile.
"È una vera sfortuna... Ho sentito che sempre più giovani nascono con una salute debole e questo è un bel problema se devono prendere le redini della famiglia", commentò l'uomo con una luce strana negli occhi.
"In un corpo debole vi è una mente forte.", ribatté Violet, glaciale.

L'uomo rise di gusto, ma nessuno si unì a lui. Poi, riscuotendosi, disse allegramente:
"Ebbene, se volete seguirmi, desidero mostrarvi le vostre stanze. Ma prima", alzò un dito, "vorrei mettervi al corrente di alcune regole. Mio figlio William ha bisogno del maggior silenzio possibile, soprattutto di notte quando riposa. Dunque gradirei che nessuno gironzolasse dopo l'ora di coricarsi. Questa villa è molto grande e i rumori rimbombano per tutte le camere. Inoltre non vi è permesso di andare nel corridoio sud del terzo piano, né di accedere alle stanze che vi sono all'interno. È la zona della stanza di William e sarebbe di gran giovamento per la sua salute se nessuno lo disturbasse, né di giorno né di notte. Vi è chiaro?", chiese con un tono che non ammetteva repliche.
I nuovi arrivati assentirono. L'uomo sorrise:
"Bene, allora seguitemi."

I fratelli fecero per entrare, quando un urlo disumano squarciò la quiete del luogo, gelando loro il sangue nelle vene.

Il segreto dei McClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora