2. La porta

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Catherine si rigirò nel letto: non riusciva a dormire. Numerosi pensieri le affollavano la mente, impedendole di rilassarsi e addormentarsi.

Il padrone di casa aveva minimizzato attribuendo l'urlo a un maiale che veniva sgozzato dai servitori per essere cucinato la sera successiva, ma la cosa non la convinceva. Quello non era un maiale, ma qualcos'altro. Qualcun altro. Eppure, nessuno a parte lei sembrava sospettare che il gentleman avesse mentito. "Quell'uomo nasconde qualcosa", pensò.
Aveva una strana luce negli occhi che non le piaceva per niente. Inoltre, l'accanimento per quella stupida regola le sembrava esagerato.
Cambiò nuovamente posizione e guardò fuori dalla finestra. La luna splendeva silenziosa nel cielo.

Improvvisamente, un pensiero prese forma nella sua mente e la giovane sorrise nella semioscurità della sua stanza:
"L'unico modo per vedere cosa nasconde è infrangere le sue stupide regole."

Uscì dalla camera facendo il minor rumore possibile. Il corridoio sarebbe stato immerso nella completa oscurità se non fosse stato per gli argentei raggi lunari che filtravano dalle spesse tende, creando fasci di tenue luce che si infrangevano sul pavimento. Tutto taceva, eccezion fatta per un leggero russare che proveniva da una delle stanze adiacenti in cui si erano sistemati i suoi fratelli.

La ragazza rabbrividì al contatto dei suoi piedi nudi con il freddo del parquet, che cigolò appena. Iniziò a camminare lentamente per essere più silenziosa, ignorando i brividi che la temperatura le provocava.

Aveva sempre avuto un ottimo senso dell'orientamento e aveva perfettamente memorizzato i vari meandri della casa quando Henry li aveva mostrati alla sua famiglia quella sera. Ovviamente, l'uomo si era tenuto alla larga dal corridoio proibito.

Silenziosa come un fantasma, Catherine si diresse fino alla zona vietata senza incontrare anima viva.
Iniziò a dubitare dei suoi sospetti riguardo Henry McClarke e si chiese se non stesse diventando paranoica. Infatti, se l'uomo avesse davvero avuto qualcosa da nascondere, sicuramente avrebbe messo qualcuno di guardia, mentre invece non c'era nessuno in giro.

Quando giunse a destinazione, il suo cuore prese a battere velocemente per l'emozione, come tutte le volte che infrangeva le regole. Era una sensazione che aveva sempre adorato, tanto da spingerla a infrangere molte regole fin dalla tenera età.

Osservò con attenzione la porta che conduceva al corridoio proibito: era di legno di castagno, molto spessa e con diverse serrature. Nessuna entrata della villa ne aveva di simili.
Si sentì scoraggiata: con tutte quelle serrature le sarebbe stato impossibile entrare a curiosare.
"A meno che..."
Abbassò la maniglia e spinse. La porta si socchiuse con un forte cigolio.

Catherine esultò, per poi allarmarsi: aveva fatto troppo rumore. Si guardò attorno con ansia. Il corridoio alle sue spalle era deserto, immobile e silenzioso. Era sola. Fece un respiro profondo per calmarsi e spinse di più, affacciandosi all'entrata.

Al di là, l'oscurità più totale. Attese aspettando che i suoi occhi si abituassero al buio e un odore familiare le arrivò alle narici.
Ebbe un tuffo al cuore: "Possibile che...? "

"Che cosa state facendo?", chiese una voce alle sue spalle, interrompendo i suoi pensieri.
Catherine sussultò per lo spavento. Si voltò lentamente, il cuore che batteva all'impazzata e la mente alla ricerca di una scusa plausibile. Il suo sguardo incrociò un paio di magnetici occhi grigi, illuminati di striscio dalla luce proveniente dalla finestra alla sua destra. Appartenevano a un giovane all'incirca della sua età: ciocche di ricci capelli neri gli ricadevano sulla fronte pallida, la rigida mascella quadrata si contrapponeva alle morbide linee della sua bocca carnosa. Da dove era apparso?

"Io...", cercò di giustificarsi, ma fu interrotta:
"Non sapete che è vietato girovagare per la villa di notte?", continuò il giovane con voce calma.
Le si avvicinò e Catherine sentì il suo respiro mozzarsi quando percepì il calore del suo corpo. Senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, il giovane le mise delicatamente la sua mano sulla sua, ancora ancorata alla manopola, e chiuse lentamente la porta. Successivamente le sue dita si infilarono dolcemente tra il palmo di lei e la maniglia, sottraendola al contatto con il freddo metallo, e la guidarono alla sua bocca, con cui la sfiorò in un baciamano. Catherine rabbrividì a quel contatto.

"Ebbene, posso sapere con chi ho il piacere di parlare?", chiese lo sconosciuto una volta che le ebbe restituito la mano.
La ragazza si riscosse e riacquistò la sua solita spavalderia:
"Mi chiamo Catherine Whisper", rispose con voce sicura, "e se è vietato per me girare di notte, lo è anche per voi. Eppure entrambi siamo qui."
Il ragazzo le rivolse un sorriso:
"Il vostro ragionamento non fa una grinza. Tuttavia non credo che questo divieto valga anche per la mia persona."
Lei ricambiò il sorriso:
"Suppongo che voi siate il rinomato William McClarke", gli disse.

Lui annuì e fece per parlare, ma improvvisamente sbarrò gli occhi e fu percorso da uno spasmo. Catherine si allarmò e cercò di avvicinarsi, ma lui la fermò con un gesto della mano, il viso deformato da una smorfia di dolore. "Vogliate scusarmi", ansimò, "ma mi sento poco bene. Vi prego di tornare nella vostra stanza il prima possibile. Non farò parola con nessuno del nostro incontro, non preoccupatevi. Vi supplico di fare lo stesso."
Poi la scostò bruscamente, aprì la porta ed entrò senza esitazione nell'oscurità.

Catherine provò a seguirlo, ma la porta si richiuse con un tonfo. La giovane udì distintamente il rumore metallico di chiavi girate nelle serrature e lo strisciare di un catenaccio, poi più nulla.
Con il cuore a mille, la ragazza si voltò e corse via.

Il segreto dei McClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora