9. Ferite

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La porta cigolò.
Come si aspettava, la giovane fu investita nuovamente dall'odore ferroso del sangue. Il suo cuore batté all'impazzata.
Non aspettò che la sua vista si abituasse all'oscurità del luogo, ma vi si immerse completamente: il bisogno di vedere William era troppo forte.

Man mano che avanzava lungo il corridoio, i suoi occhi si abituarono e videro la figura di una seconda porta proprio alla fine del lungo tugurio. Catherine vi si avvicinò e l'aprì, senza che essa emettesse alcun suono. Portava a quella che doveva essere in precedenza una camera da letto, tuttavia il letto, così come anche le restanti parti del mobilio, era stato accatastato sul lato destro. Le finestre della stanza erano state coperte con pesanti lastre di legno e se non fosse stato per le poche candele che erano appese alle pareti, l'intera stanza sarebbe stata immersa nell'oscurità. L'odore di sangue era sempre più forte, insieme a quello dell'aria stantia e del sudore.

La giovane fece un passo avanti, guardandosi attorno con circospezione, e per poco non gridò quando i suoi occhi si posarono sulla parete sinistra della stanza. William era inginocchiato lì e sembrava svenuto. Fiotti di sangue gli colavano lungo la schiena nuda, le braccia erano appese a pesanti catene e la testa gli ricadeva a ciondoloni sul petto. La parete a cui era incatenato mostrava numerosi segni, quasi quelli di una belva dai lunghi artigli.

Catherine si fiondò sul giovane e controllò che respirasse. Fortunatamente, era solo svenuto. La giovane si guardò attorno in cerca di qualcosa con cui liberarlo dalle catene. Si diresse verso un tavolino di legno lì vicino e gioì alla vista della chiave poggiata lì sopra. Tuttavia non era l'unico oggetto sopra il mobile: una pensante frusta di cuoio nero sporca di sangue era poco distante dalla chiave. La giovane ebbe un tuffo al cuore: che William fosse stato colpito con quello strumento? Per quale ragione?
Cercò di non pensarci: ora quello che importava era liberare il giovane dai catenacci e di curarlo.

Iniziò con la manetta della mano destra, che si aprì senza problemi con un clack. Il braccio del giovane scivolò inerte sul pavimento. Mentre Catherine stava armeggiando con la seconda catena, William sollevò la testa nella sua direzione. Il suo sguardo era appannato dal dolore, ma appena la riconobbe sgranò gli occhi e iniziò ad agitarsi:
"Catherine, che ci fate voi qui?!", le domandò con voce roca.

Catherine, dopo avergli aperto la seconda manetta, gli si accostò per sorreggerlo. Era debole e respirava faticosamente. I capelli gli ricadevano sulla fronte imperlata di sudore e i suoi occhi erano cerchiati. Eppure il suo corpo emanava un grande calore, un calore tale da dissetare quel bisogno che aveva della sua vicinanza e di farla sentire subito meglio.
"Che ci fate qui?", ripeté lui, ansante.
"Non... Non lo so... ", gli rispose, "Io mi sono ritrovata qui e... William, avete bisogno di cure! Se aspettate un attimo vado a chiamare vostro padre e..."
"No", la interruppe lui.
"Ma..."
"Catherine, è stato mio padre ad infliggermi queste ferite".

La giovane rimase di sasso. Come era possibile? Era suo padre... Poi ripensò a come aveva trattato Joseph pochi istanti prima e un'immagine ben definita si formò nella sua mente. Accantonò nuovamente quei pensieri e le domande che essi le suscitavano. Non aveva tempo per perdersi in ragionamenti, ci avrebbe pensato dopo con tutta calma.

"Me ne parlerete in seguito", disse lei, decisa, "ora devo curarvi queste ferite". Iniziò a guardarsi attorno in cerca di qualcosa per tamponare le numerose ferite che brillavano riflettendo la luce delle candele.
"Fermatevi...", sussurrò lui, "non ce n'è bisogno"
Catherine sbarrò gli occhi davanti a quell'affermazione:
"State delirando..."
"No, vi prego... È molto importante che voi mi rimettiate quelle catene... Io non ne ho più la forza... È troppo pericoloso, vi prego..."
"Siete impazzito?! Io non potrei mai farvi una cosa del genere!", gridò lei, "William vi prego..."

Lui tirò su il capo, piantando i suoi occhi color tempesta nei suoi. Lo sguardo era di fuoco ed emanava una paura folle:
"Vi supplico signorina Catherine... Ne va della nostra incolumità."
Davanti a quello sguardo, la giovane non se la sentì più di opporsi. Evidentemente il fatto che lui avesse bisogno di essere legato era più importante del suo stesso dolore fisico.
"Va bene, vi aiuterò", gli disse.
Un sorriso fugace apparve sulle labbra screpolate del giovane.

Catherine si staccò dal corpo di lui e si alzò in piedi, malferma sulle gambe. Prese una mano del giovane e la avvicinò alla catena:
"Perdonatemi", gli sussurrò, mentre sentiva le lacrime velarle la vista.

Improvvisamente, William fu scosso da uno spasmo e ritirò la mano di scatto. Catherine lo riconobbe subito: era lo stesso tipo di spasmo che aveva avuto la sera precedente.
"Andatevene!", esclamò lui, rannicchiandosi velocemente a terra in posizione fetale con energia ritrovata.
"William, cosa...", provò a chiedere Catherine, ma fu interrotta:
"ANDATEVENE!", ruggì lui di rimando, prima che un secondo spasmo scuotesse il suo corpo.
Eppure, Catherine non riuscì a muoversi. Rimase ipnotizzata alla vista di quello che stava accadendo.

Il corpo di William si ricoprì di pelliccia grigia dalle striature bianche, i suoi arti si accorciarono e si assottigliarono, il suo viso si allungò e i suoi denti si fecero più appuntiti. Di scatto si mise in piedi e Catherine si ritrovò a fronteggiare un grosso lupo, dagli stessi occhi grigi da cui lei era stata tanto attratta.
"William voi... Voi siete un licantropo", mormorò la giovane.

Il segreto dei McClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora