3. Respirare

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Catherine corse a perdifiato, ormai incurante di non essere affatto silenziosa, la camicia da notte che svolazzava solleticandole le gambe.
L'immagine del viso distorto dal dolore del giovane le rimaneva impressa nella mente e a stento riusciva a vedere dove stesse andando. Che cosa gli era successo? Di quale strana malattia soffriva? E poi, quell'odore così familiare... Possibile che fosse... Che fosse sangue?

Così immersa nei suoi pensieri, imboccò un corridoio alla cieca, senza vedere la figura che stava andando nella direzione opposta alla sua. Se ne accorse quando ormai gli fu addosso.
"Scu... Scusatemi", farfugliò facendo un passo indietro per riacquistare l'equilibrio.
"Che cosa ci fate voi qui?!", tuonò l'inconfondibile voce di Henry McClarke.

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Le finestre della stanza erano sbarrate con spesse assi di legno, in modo da insonorizzare l'ambiente nei punti più sottili. Un accorgimento di suo padre per evitare che le sue grida potessero essere nuovamente udite dalle orecchie sbagliate. L'aria era rarefatta e puzzava di sudore e sangue.

"Inspirare, espirare. Inspirare, espirare. Inspirare..."
Le catene lo stringevano di più quando allargava il petto per permettere ai polmoni di riempirsi d'aria, graffiandolo. Goccioline di sangue presero a scorrergli lungo la pelle sudata, ma lui nemmeno se ne accorse.

Non gli era mai successa una cosa simile. Che le sue trasformazioni fossero imprevedibili era un dato di fatto, conviveva con quella dannazione da undici anni, eppure non gli era mai capitato un attacco due volte nel giro di così poco tempo. Generalmente, una volta tornato alla sua forma umana, aveva all'incirca quattordici ore senza altre crisi. Quella certezza era l'unica cosa che gli permetteva di avere una vita quasi normale. E invece ora... Trattenne un gemito quando ebbe uno spasmo.

"Inspirare, espirare..."
Non poteva trasformarsi. Non ora. Doveva rimanere vigile, ancorato alla sua coscienza, in modo da impedire alla bestia di fuoriuscire. Doveva continuare a pensare, a ragionare. Solo così la sua umanità sarebbe rimasta, solo così il lupo non avrebbe avuto la meglio.
Doveva costringere le sue membra ad obbedire a lui, a seguire il ritmo di quei respiri lunghi e profondi, e a non abbandonarsi alla furia scalpitante. Dopotutto, quello era il suo corpo, non quello dell'essere che fremeva per liberarsi.
Deglutì.

"Come mai proprio adesso?", si chiese.
Quando le sue labbra avevano sfiorato il dorso della mano della ragazza, qualcosa dentro di lui si era mosso. La parte più selvaggia e incontrollabile di sé aveva reagito dinnanzi a quel contatto. All'inizio non vi aveva fatto caso, ma poi la coscienza che non gli apparteneva l'aveva investito e a stento era riuscito a mantenere il controllo, anche se non completamente, visto lo spasmo. Era corso via il più velocemente possibile e aveva provveduto a legarsi, in modo che se non fosse riuscito a sedarlo lo avrebbero fatto le catene.
Ciò nonostante, a differenza delle altre volte, quando era entrato in contatto con Catherine il lupo che era in lui non aveva cercato di fuoruscire nel solito modo rabbioso e violento perché stanco di essere rinchiuso da troppo tempo nel suo corpo. Era stato come se fosse attratto dalla presenza della ragazza e tale interesse era aumentato vertiginosamente fino a farlo scalpitare per venire fuori. Come se... Come se il suo lupo desiderasse avvicinarsi a lei il più possibile. Non era stato il solito sfogo. Che l'avesse scelta come vittima? Non riusciva a capirlo, ma non poteva avvicinarsi alla coscienza della bestia per indagare, perché sicuramente lo avrebbe investito e avrebbe preso il sopravvento. Come chiamato, il ringhio del lupo gli rimbombò nella mente, portando con sé anche il suo desiderio di fuoriuscire. William gemette.

"Inspirare, espirare..."
Pensare, doveva pensare. Doveva continuare a pensare. Ma a cosa?
In modo del tutto spontaneo, la sua mente evocò l'immagine della ragazza: i suoi morbidi capelli che sembravano una cascata di fuoco lasciata libera di riversarsi sulla schiena, i grandi e profondi occhi marroni, la bocca carnosa il cui angolo destro si curvava più del sinistro quando sorrideva, il suo odore di gelsomino...

In quella che sarebbe stata una lunga e dolorosa notte, William McClarke si chiese chi desiderasse di più quella ragazza, se lui o il lupo che gli artigliava il petto cercando di uscire dalla sua pelle.

Il segreto dei McClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora