"Per l'osservatore che era in lui le passioni servivano a rivelare le motivazioni reali delle azioni umane, ma per l'abile ragionatore ammettere tali intrusioni nel suo temperamento prudente e perfettamente equilibrato equivaleva a introdurre un fattore di disturbo che poteva inficiare i risultati della sua mente."
Catherine, seduta al sole sui gradini dell'entrata della villa, lesse almeno otto volte la frase, senza riuscire a capire nulla. Non riusciva a concentrarsi. I raggi illuminavano le pagine del libro proiettando ombre sulla carta porosa. La giovane alzò lo sguardo e si guardò intorno.
Nel verde giardino della proprietà McClarke, tutto sembrava straordinariamente tranquillo: Juliet e Violet stavano sorseggiando del the sedute su eleganti sedie bianche insieme al piccolo Robert, il quale sembrava più interessato a ingozzarsi di dolcetti. Joseph e Caleb erano andati a fare una cavalcata, sua madre non si era ancora alzata e Henry era uscito alle prime luci dell'alba per andare in città a fare alcune commissioni insieme alle domestiche.
In contrasto con la serenità dei suoi compagni, Catherine era in uno stato d'ansia come mai prima d'allora. I servitori dicevano che William era ancora nella sua stanza a riposare, ma lei sapeva che si stava rimettendo dalle ferite della sera precedente. Ormai non riusciva più a tenere a freno le centinaia di domande che le affollavano la mente: chi erano veramente i McClarke? E perché il padre di William lo trattava con così tanta violenza? Come era possibile che un uomo si trasformasse in animale? William era cosciente quando prendeva quelle sembianze? E cos'era quella strana sensazione che aveva provato quella sera quando si era svegliata?
Aveva cercato di distrarsi il più possibile con un libro di Violet, ma proprio non ci riusciva. La sua mente continuava a vagare alla ricerca delle risposte a quelle e tante altre domande. Ma sapeva che, fino a quando William non si fosse rimesso in forze, avrebbe dovuto aspettare per sapere la verità e l'attesa la straziava, oltre a farla preoccupare.
Non aveva parlato con nessuno degli eventi di quella notte, né aveva intenzione di farlo. Sapeva che l'avrebbero presa per folle. Inoltre, era più saggio attendere di saperne di più.
Una folata di vento caldo le mosse alcune ciocche di capelli che le solleticarono il viso.Sentì la sua presenza ancora prima di avvertire il suo profumo.
Il suo cuore aumentò i battiti e lei si voltò. William era lì, dietro di lei, nascosto sotto l'ombra del portico della villa. Sembrava una statua greca, immobile e bellissimo. Non appena incrociò il suo sguardo, il giovane le fece un cenno con la testa, invitandola a seguirlo, per poi voltarle le spalle ed entrare in casa. Catherine diede un'occhiata al cortile: tutti sembravano troppo occupati per notarla. Così chiuse il libro, si alzò e lo seguì.
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La biblioteca della villa era una piccola stanza rotonda le cui pareti erano addobbate da numerosi scaffali colmi di libri, eccezion fatta per una parte di muro in cui vi era appeso un grande e imponente dipinto. Ed era lì davanti che William si era fermato dopo averla condotta a quella stanza senza rivolgerle la parola.
Catherine gli si accostò e, timorosa di rompere per prima il silenzio, contemplò il quadro:
Henry McClarke, più giovane e in carne, sorrideva in modo sincero, la mano sinistra appoggiata alla spalla di quello che prima riconobbe come Robert, ma che a un'occhiata più attenta si rivelò essere Joseph da piccolo, la destra stretta attorno alla vita di una donna bellissima. I lunghi capelli corvini le incorniciavano il viso dai lineamenti dolci e dai grandi occhi scuri. Sorridente, a sua volta teneva entrambe le mani sulle spalle di William che dimostrava al massimo dieci anni. Sembravano davvero felici."Mia madre morì poco dopo aver dato alla luce Robert", disse all'improvviso William, senza staccare gli occhi dal quadro, "Fu una grande perdita per tutti noi e da cui mio padre non si riprese più."
La sua voce rimase piatta, come se stesse esponendo la trama di un libro che aveva letto di recente:
"Ma il colpo peggiore per lui fu quando mi trasformai per la prima volta in un lupo, pochi istanti dopo aver appreso della sua morte. Non penso di aver mai visto tanto disgusto nel suo sguardo."
Un sorriso amaro comparve sul volto del ragazzo:
"Eppure, quando mia madre lo avvertì della possibilità che i suoi figli potessero dover sopportare una tale dannazione, lui non rinunciò a sposarla. L'amore per lei lo aveva convinto a sopportare qualsiasi peso, anche quello della maledizione della famiglia di lei."
Il suo tono si fece improvvisamente carico di odio:
"Tuttavia, quando lei se ne andò, lui dimenticò i buoni propositi e non fu capace di accettare tale fardello. Il dolore per la perdita, sommato alla rabbia per la maledizione, gli impedì di ragionare con lucidità e fu spinto a volermi controllare fin da subito, forse anche perché spaventato dall'irrazionalità dell'animale. Studiò su numerosi tomi i comportamenti dei lupi e scoprì che l'unico modo per assumere il pieno dominio era quello di farsi riconoscere come essere più forte. E l'unico modo per farsi riconoscere come essere più forte", la sua voce si incrinò appena, "è per mezzo della violenza."
Catherine si portò le mani alla bocca, inorridita. Lui si voltò verso di lei, gli occhi che mandavano lampi di odio e rabbia:
"Tuttavia il metodo non funziona tutt'oggi. Il mio lupo si rifiuta di mostrargli sottomissione, nonostante provi lo stesso dolore che provo io durante le torture. Inoltre, con il tempo mio padre ha smesso di considerarmi come un'identità separata dalla bestia, e mi disprezza con lo stesso ardore con cui disprezza la mia maledizione. Sono una vergogna per lui e preferisce mantenermi isolato il più possibile dalla vita sociale, anche perché costituisco un pericolo, visto che non può controllarmi."
Un sorriso amaro apparve sul suo volto:
"Fortunatamente per lui, il lupo di mio fratello Joseph decise fin dalla sua prima apparizione di sottometterglisi. Tuttavia non sono certo che mio fratello ne sia lieto quanto lui."
"E vostro fratello Robert?", chiese Catherine in un soffio, temendo la risposta.
William contrasse la mascella prima di rispondere:
"È il figlio prediletto, forse perché ancora troppo piccolo perché la maledizione abbia effetto su di lui, anche se ho ragione di credere che essa non si palesi durante la pubertà, ma a seguito di un forte sconvolgimento dell'animo. Con un tacito accordo, io, mio padre e Joseph abbiamo deciso di dirgli solo una parte della verità. Nonostante sia perfettamente al corrente della maledizione, non sa nulla delle torture di mio padre, né della sottomissione di Joseph. Confesso di avere molta paura per lui perché, a differenza mia e di mio fratello, non è grado di sopportare l'odio che mio padre potrebbe avere nei suoi confronti qualora dovesse trasformarsi. Mio padre è infatti convinto che la maledizione lo abbia graziato, ma io non sono affatto dello stesso pensiero, nonostante lo speri con tutto me stesso. "Catherine, davanti a tanta sofferenza, non riuscì a frenare le lacrime, che presero a scorrerle lungo le guance. L'idea che il piccolo Robert potesse subire il medesimo trattamento di William, la inorridì.
Il giovane tacque e i suoi occhi diventarono improvvisamente colmi di tenerezza:
"Mi dispiace, non volevo turbarvi", mormorò e allungò una mano fino al suo viso fino a raccogliere una lacrima. Catherine scosse la testa, cercando di nascondere il brivido che le aveva provocato quel contatto inaspettato, poi sorrise:
"Non dovete preoccuparvi, sono felice che vi fidiate di me a tal punto da dirmi queste cose" gli rispose.
William ricambiò il sorriso e ritirò lentamente la mano, quasi gli costasse fatica farlo."Sapete", disse in tono più allegro, "la maledizione ha anche dei lati positivi. Oltre a forza e velocità sovrumane, si ha anche tempi di guarigione molto rapidi" le fece l'occhiolino e Catherine rispose con un risolino sollevato.
"Ora sono disposto a rispondere a tutte le domande che voi mi porrete a riguardo", le disse poi, ma fu interrotto dal rumoroso aprirsi del cancello dell'entrata principale.
La sua espressione si indurì: "Sfortunatamente mio padre è appena tornato. Vi propongo dunque un appuntamento per questa sera per poter discorrere più tranquillamente, noi due soli", le disse con un sorriso.
Catherine annuì, emozionata:
"Dove?", gli domandò.
"Vediamoci qui al tramonto, poi vi condurrò io stesso in un luogo più sicuro. Mio padre non deve assolutamente sapere del nostro incontro, perciò vi consiglio di fingere di essere alla ricerca di un tomo." Catherine annuì.
"A stasera dunque", gli disse.
"A stasera", mormorò il giovane.Poi il suo viso si fece più serio, gli occhi che brillavano. Delicatamente le prese la mano e la avvicinò alla sua bocca. Diversamente dalla volta precedente, William non si limitò a sfiorarla, ma le sue labbra aderirono completamente al dorso. Catherine non ebbe più modo di nascondere il brivido di piacere che le diede quel contatto e un piccolo sorriso apparve sulle labbra del giovane, che le restituì dolcemente la mano. Poi le voltò le spalle, si allontanò e sparì dietro la porta.
Catherine sentì le guance imporporarsi.Attese che il colore svanisse dal suo viso e poi uscì, tornando al giardino. Non fece nemmeno in tempo a guardarsi attorno che sua sorella corse verso di lei, abbracciandola forte. Tremava.
"Juliet, che succede?", le chiese allarmata.
Non poteva essersi preoccupata per lei, era stata assente solo pochi minuti. "Cat...", iniziò lei, ma un singhiozzo le impedì di proseguire.
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Il segreto dei McClarke
WerewolfInghilterra, fine 1800. La famiglia Whisper, caduta in rovina, non avrebbe mai pensato di risollevarsi dalla perdita del sostegno economico del loro capofamiglia, finché la severa madre non annuncia il fidanzamento con il vedovo Henry McClarke. La d...