8. Schiaffo

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La prima cosa che Catherine fece fu guardare attraverso la serratura della porta. Come sospettava, il servitore a cui Henry McClarke aveva accennato quella mattina era lì, sveglio e vigile, e stava percorrendo il corridoio in cui vi era la sua stanza e quella dei suoi fratelli.

La giovane rifletté sul da farsi: era necessario tenere occupato quell'uomo il più a lungo possibile, in modo da permetterle di lasciare la stanza e ritornare senza che lui se ne accorgesse. Improvvisamente, ebbe un'idea ed aprì la porta.
"Buona sera", lo salutò lei.
Lui si girò. Aveva all'incirca la sua età, i capelli biondo cenere tenuti corti e spettinati.
"Buona sera", le rispose, "avete bisogno dei miei servigi?", le chiese pomposamente.

Catherine assunse un'espressione imbarazzata:
"Ecco, vedete... Ho avuto un terribile incubo ed ora fatico ad addormentarmi... Sarebbe possibile avere una tisana alle ortiche e un budino?"
Il servitore sgranò gli occhi a quella strana richiesta:
"Vedete...", le rispose in evidente difficoltà, "non credo che nelle cucine vi sia qualcosa del genere di pronto e dovrete attendere parecchio... Potrei portarvi qualcos'altro, come..."
Lei lo interruppe:
"Beh, è risaputo che la tisana alle ortiche appena colte ha proprietà concilianti per il sonno. Inoltre il budino è il tipico dolce che mia madre mi preparava quando avevo degli incubi... Sapete, un dolce fresco è un toccasana per i cattivi pensieri. Aspetterò volentieri la loro preparazione. Vi ringrazio per la disponibilità."
Detto questo chiuse la porta e attese, sempre spiando dalla serratura.

Il servitore all'inizio assunse un'espressione perplessa e sembrò sul punto di bussare per insistere, poi cambiò idea, sospirò e si diresse alle cucine. Sul viso della giovane apparve un sorriso trionfante: l'aveva convinto.
Il bisogno che sentiva di raggiungere William si faceva sempre più forte, ma lei si costrinse ad attendere di non sentire più i passi del servitore prima di scivolare nel corridoio silenzioso.

Come la sera precedente, la ragazza si diresse nella zona proibita senza incontrare nessuno. La porta era illuminata dalla spettrale luce della luna, che ne esaltava le venature e la rendeva, se possibile, ancora più invitante. Catherine iniziò a sentirsi strana. Le labbra le bruciavano, gli occhi le lacrimavano ed era ricoperta da un sottile velo di sudore. Temette di essersi ammalata, ma soffocò quel pensiero per concentrarsi sul suo obiettivo: doveva raggiungere William.

Si accostò alla porta.
Stava per abbassare la maniglia quando udì delle voci provenienti dall'interno farsi sempre più vicine. Velocemente, la giovane si nascose dietro la tenda della finestra che fronteggiava l'entrata appena un istante prima di sentirla cigolare.

"Dobbiamo aspettare che le sue ferite si rigenerino, dopodiché riprenderemo", disse la profonda voce di Henry McClarke.
Il cuore di Catherine iniziò a battere così forte che la giovane si stupì di non essere udita.
"Ferite? William è ferito?! E con chi diavolo sta parlando?", si chiese.

Con un lento movimento si sporse dalla tenda e vide che il misterioso interlocutore del suo futuro patrigno era Joseph. I due erano appena usciti dal corridoio proibito. Eppure, notò la ragazza, il ragazzo aveva uno sguardo strano, assente. Anche la sua posa era anormale: teneva la testa bassa e lo sguardo a terra.
"Ora non mi servi, tornatene pure nel tuo angolo", continuò Henry con voce sprezzante.

Joseph mugolò, dopodiché la sua posa cambiò e sollevò il capo. Anche il suo sguardo sembrò variare, diventando più intenso e luminoso. Lacrime copiose presero a scendergli lungo le guance e il suo bel viso si deformò in un'espressione piena di dolore:
"Padre", singhiozzò implorante, "vi prego... Basta... Non ha fatto nulla di male e nessuno sospetta niente..."

Il rumore di uno schiaffo fu così forte e improvviso che Catherine sussultò. Fortunatamente i due erano troppo occupati per notarla. Joseph era immobile, la testa girata, mentre Henry aveva il braccio ancora a mezz'aria.
"Taci", sibilò, abbassando la mano.

Il giovane contrasse la mascella e si voltò verso il padre:
"Nessuno di noi ha scelto di essere così", gli disse.
Catherine si stupì della fermezza della sua voce, nonostante fosse evidente che il padre gli fosse superiore.
Henry per tutta risposta lo prese per la collottola e lo sbatté contro il muro. A Joseph sfuggì un gemito.

"È proprio perché nessuno di voi ha scelto di essere così che il segreto della nostra famiglia va mantenuto", sussurrò irato al figlio, "e per mantenerlo, bisogna che ci sia disciplina. E la disciplina...", lo sbatté nuovamente contro il muro, "...si ha con la forza."
Un sorriso sinistro gli deformò il volto e quella vista gelò il sangue a Catherine. "Inoltre, tu non puoi fare a meno di ubbidirmi", ghignò.

Poi, mollò la presa.
"Ora andiamo", ordinò, "torneremo più tardi."
Detto questo, Henry McClarke riprese il suo solito contegno impeccabile e si allontanò senza aspettarlo.

Joseph, rimasto solo, si massaggiò il collo. Improvvisamente si irrigidì e si voltò bruscamente nella direzione di Catherine. Lei rimase immobile, il viso che sporgeva dal suo nascondiglio. Il ragazzo sembrò perplesso, poi le sorrise, fece un inchino per salutarla e se ne andò.

La giovane non si soffermò a domandarsi cosa significasse quel comportamento, ma si fiondò subito sulla porta: William aveva bisogno di lei.

Il segreto dei McClarkeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora