Ogni donna aveva bisogno di un proprio spazio personale, un'oasi assolutamente femminile che diventava la loro fortezza indiscussa. Quell'ambiente, luogo assolutamente proibito agli uomini, che si trasformava un po' in una seconda pelle, era la propria stanza. La stanza, è qui viene il bello, doveva essere rigorosamente singola. Quindi genitori, imparate, se avete due figli(ancora peggio se fossero stati maschio e femmina)onde evitare litigi bellicosi e sanguinose guerre, stanze separate!. In tutta la mia vita, non avevo mai avuto una stanza così grande, o un letto di due piazze nella mia camera. Non avevo niente contro la mia vecchia stanza, che sebbene le modeste dimensioni era riuscita a far entrare perfino la libreria. Oppure contro il mio vecchio letto a baldacchino in legno bianco. Tuttavia, se avessi mai dovuto scegliere, beh, la mia nuova stanza avrebbe vinto il primo premio. Era spaziosa, illuminata da una luce naturale, aveva una vista magnifica sulla città e soprattutto possedeva un bagno interno. Lo amai al primo sguardo e lodai il cielo per quel dono divino. Non avreste mai dovuto sottovalutare il significato di un bagno personale per una donna. Principalmente bisognava lodarlo per due cose:
1)Niente condivisione, già eravamo molto gelose dei nostri bagni
2)Nessuna fretta.
Quante volte eravamo stati bloccati da genitori, sorelle, fidanzati, amici, pronti ad usare la nostra oasi e a rimanerci per ore?Troppe. Ciò era sopratutto un problema per chi andava di fretta. Ero sicura che ogni persona esistente avesse provato quell'improvviso impeto omicidio per chi si chiudeva in bagno, prima di lei. Per non parlare della straziante e agognante attesa, di chi impiegava delle ore. Perché tutti, anche le persone più svelte, quando entravano, diventavano lente come lumache. Sarà stato per la sua atmosfera rilassante, chissà. Sicuramente, se mai ci fosse stato un referendum per obbligare la costruzione dei bagni in ogni stanza, sarei stata la prima a sostenerlo. Abbasso lo sciacquone condiviso, viva il bagno personale. Già veramente un ottimo slogan. Mi compiacetti di me stessa mentre feci scorrere ancora uno sguardo sognante sulla stanza. Il parquet in legno chiaro si sposava alla perfezione con le pareti, decorati da infissi beige. Dall'alto soffitto, prendeva un grazioso lampadario dai numerosi cerchi colorati dalle tonalità bianche, lilla e verdi che dava un tocca fresco alla stanza. Una finestra e una porta-finestra che dava direttamente sul balcone, ricoprivano l'intera parete sinistra. Dai bastoni in ferro scendevano in morbide drappeggi, le tende color Tiffany, lo stesso del cuscini e soprattutto del copriletto che fasciava il meraviglioso letto dalla tastiera bianca in ecopelle, come il comodo e lo sgabello. Chiunque, avesse progettato quella stanza, avrebbe avuto i miei sinceri complimenti e non vedevo l'ora di dare un tocco personale al tutto, sistemando tutte le mie cose. Peccato soltanto per un piccolissimo e insignificante problema... la forza fisica. Infatti, non sarei mai riuscita a sistemare la libreria e la tv senza l'aiuto di qualcuno. Era in momenti come questo che rimpiangevo di non essere mai andata in palestra e per mai, intendo neanche una volta. Io e la palestra ci eravamo odiate al primo sguardo e tenute a debita distanza per anni. Quando ero bambina, avevo perfino costretto il mio professore di educazione fisica a fare l'allenamento all'aperto, con la scusa che l'aria fresca e il sole, avrebbe giovato a tutti. Sfortuna, era solo la pioggia e le giornate dal freddo glaciale che mi procuravano l'occhiata di astio dei miei compagni ma chi se ne frega, avevo ottenuto il benestare del maestro. Poi un po' di acqua non avrebbe fatto male a nessuno, a parte a Jamie Duncan che si era beccato la polmonite ed era stato per di più di un mese a casa. Tralasciando questo particolare, era d'obbligo ammettere che possedevo una spiccata dote persuasiva. Abilità inutile, dato che non potevo spingere la libreria a camminare e sistemarsi da sola. Come avrei voluto essere Harry Potter, o una di quelle donne amante del fitness. Adesso, infatti, rimpiangevo la mia quotidiana visita alla palestra, mettere un po' di robustezza nelle braccia, sarebbe stato gradito. Inoltre, a quest'ora avrei potuto avere un fisico da spiaggia degno di nota. Tuttavia, dato che non l'avevo, mi rimaneva un'unica alternativa,chiedere al mio nuovo coinquilino.
Uscii dalla stanza e imboccai il corridoio, avvicinandomi alla sua stanza. Okay, poteva essere piuttosto... bizzarro ma scommettevo che non avrebbe mai lasciato una povera ragazza in difficoltà. Pertanto, bussai. Attesi per un po', in un imbarazzante silenzioso, degno dei miglior film wester, a tal punto, che per poco non vedevo palla di fieno, rotolare. Fui quasi sul punto di bussare di nuovo, quando un tonfo, piuttosto pesante, giunse dalla stanza, seguito poi da altri rumori caotici. Inarcai un sopracciglio ma preferì non interferire, dopo l'ultima esperienza, non sarei più voluta entrare molto volentieri in quella stanza. Quindi mi trattenni, una cosa piuttosto insolita da una come me, con una curiosità disarmante che cozzava spesso con la mia razionalità. Un po' come Rabbia e Gioia. Già mi divertivo sempre ad immaginarmi come Riley di Inside Out, con le emozioni che bisticciavano continuamente. Quel film si che apriva un mondo. In effetti, questo spiegava molte cose, ovvero del perché fossi tanto incasinata. Tranne in quel momento, in cui sembrava che tutte le emozioni fossero d'accordo su un punto: non entrare in quella stanza. Per quanto né potessi sapere, lì dentro avrebbe potuto nascondersi anche il famoso cadere dell'ex coinquilino, a pensarci mi venivano ancora i brividi, e io non volevo problemi. Si, ero freddamente cinica.
Improvvisamente, la porta si aprii e ricevetti immediatamente un'occhiata fulminatrice. Oh qualcuno si era svegliato con il piede sbagliato, oppure dall'altra parte della stanza, tipo dentro una ciotola piena di panna montata, cosa che non era del tutto negativa. Beh, bisognava capire da quale prospettiva, di certo, lui non aveva avuto un risveglio dolce come pensavo. Il naso, infatti, era sporco da alcune piccole chiazze bianche mentre metà del viso era ricoperta da soffice e squisita panna. Possibile che riusciva a sporcarsi sempre?O era molto disattento oppure non aveva ancora capito l'apparato digerente. Sicuramente, la prima, dato che la seconda, presupponeva un caso di grande stupidità e al momento, non potevo proprio parlare, anche se si sapeva che gli uomini erano il sesso meno intelligente. Bastava pensare che ragionavano con il loro apparato riproduttore che per di più combaciava con quello escretore, il massimo. Mi dispiace, ragazzi ma è la verità, non prendetevela, non voglio offendere nessuno. Infatti, come femminista incallita, ero per la parità dei sessi. Eh, no, contrariamente a ciò che pensavate, il termine femminismo non significava potere alle donne, abbasso gli uomini ma parità tra i sessi. In effetti, secondo il mio ragionamento, esisteva una certa uguaglianza, laddove nei uomini non c'era il cervello, veniva compensato dalla forza bruta e nelle donne, viceversa. Una soluzione piuttosto equa anche se dava qualche problemino, soprattutto quando gli uomini aprivano la bocca.
"Che vuoi?"ecco, ero proprio di questo che stavo parlando. Per fortuna, non si trovava davanti a una pazza squilibrata in preda agli ormoni ma a una coinquilina piuttosto paziente. Ricordate, ragazzi, gentilezza, questo avrebbe potuto salvarvi il culetto da tanti bei pasticci e magari vi avrebbe portato anche a una bella scopata. Le donne adoravano gli uomini gentili e galanti.
"mi dispiace averti disturbato ma mi serve qualcuno che mi aiuti a spostare la libreria nella stanza e un piccolo l'aiuto con la tv"in tutta la mia vita non avevo mai usato una voce tanto melliflua, anche perché avevo sempre convinto tutti. Essere figlia unica aveva molti vantaggi, come quella di essere viziata e coccolata rispetto agli altri, ciò era stato un toccasana per la mia autostima e con il tempo, avevo affinato ed esteso la mia tecnica anche a persone esterne. Ero quella che si poteva definire un po' la cosiddetta ruffiana. Già, era uno dei miei tanti vizi. Le uniche persone a cui sembrava non sortire effetto, erano Katherine, David e Kurt, quegli idioti. Alzai gli occhi su di lui, dalle sue spalle proveniva la luce della televisione. Dylan mi guardò come se mi fosse appena cresciute due corna
"mi dispiace al momento sono occupato"un nervo guizzò sul mio collo, segno del nervosismo che stava per arrivare. Ma mi dissi che era perché si era alzato tardi, infatti aveva tutta l'aria di essersi appena svegliato. Era il momento di passare al secondo livello, ovvero...gli occhi dolci. Sapete, no? Quando le donne ingrandiscono gli occhi, accompagnati dallo sbattere delle ciglia folte, ecco, quello sguardo è sinonimo di potere. Rimasi con quell'espressione per ben cinque secondi buoni, solitamente per funzionare ci metteva circa 1 secondo e 36 nanosecondi, ma in risposta ricevetti soltanto un sopracciglio sollevato e una porta in faccia. Imprecai sommessamente e ritornai in camera, cercando di non mandare la calma a farsi fottere. La tv e la libreria non si sarebbero spostate da sole. Mi avvicinai alla libreria, posai le mani sopra e con tutta la mia forza provai a spingere, i piedi slittavano sul parquet, scivolando e perdendo l'equilibrio. La libreria si mosse di qualche millimetro e continuai, aggrottando la fronte per la concentrazione mentre inalavo dei bei respiri profondi. La prossima volta niente più libreria in quercia, erano troppo pesanti da spostare. Sentivo pian pian la mia resistenza scemare sempre di più e le mani diventare sudaticce. Un'improvvisa risata vibrò tra la stanza, cogliendomi così di sorpresa che per non poco non inciampai
"oddio, sembri una foca che sta partorendo"mi fermai e mi voltai verso di lui, con le guance rosse e grosse come quelle di uno scoiattolo, respirando profondamente. Dylan era appoggiato al cardine della porta, le braccia incrociate al petto e le labbra contratte per una risata che faceva fatica a trattenere. Sebbene il mio stato, momentaneamente sfinito ed esaurito, avrei voluto tanto dargli un pugno, giusto per togliergli quell'espressione irritante dalla faccia. Di certo, sarebbe stata una cura perfetta per un'improvvisa crisi di nervi
"grazie tante del complimento, ho sempre desiderato sembrare una foca che sta partorendo" ammisi sprezzante
"prego e ti ringrazio di aver smesso, stavi agitando quel sedere come un frappè impazzito e non è stata una bella visione"ecco ora l'avrei ucciso come si deve. Nella mia mente iniziarono a scorrere tutti i più possibili omicidi perfetti. L'avrei soffocato con un cuscino?Pessima scelta, avrebbe opposto resistenza ed ero troppo debole per vincere in forza fisica contro di lui. Lo avrei preso a bastonate con la mazza da Hockey, regalatami da Kurt?Non andava bene, troppo sangue e le macchie difficilmente si toglievano. Un colpo all'inguine e approfittando del suo momento di debolezza, gli avrei gettato con le mie ultime briciole di forza, la libreria addosso, facendo ben attenzione a puntare alla sua testa?. Un colpo, trauma cranico, morto stecchito. Perfetto.Sarei arrivata in tribunale e avrei convinto la giura di morte accidentale, causata dalla sua disattenzione. D'altronde chi meglio di me poteva conoscere come funzionavano i subdoli ingranaggi giuridici?. Un piano semplicemente perfetto. Ero quasi sul punto di attuarlo ma mi fermai quando si mosse "levati"di buone maniera zero, vero?Stavo iniziando a chiedere se non fosse stato cresciuto dai motociclisti. Non per fare tutta l'erba un fascio ma diciamo che la cordialità non era proprio una loro caratteristica
"io potrei anche sembrare un frappè shakerato ma di certo non sembro un cavernicolo, perfino i Flintstone sono meno rozzi di te"ed erano anche più evoluti della media della popolazione. Lo seguii, con la coda dell'occhio mentre si avvicinò alla libreria e la spinse, esattamente come avevo fatto io, soltanto con un esito differente. Riuscii a spostarla, in pochissimo tempo, sistemandola accanto alla scrivania
"allora, frappè shakerato, va bene qui?"sorrise strafottente e fu in quell'esatto minuto che capii che avevo davanti il vero Dylan Jones, ovvero un simpaticissimo uomo amante del divertimento e dalla battuta facile. Uno stronzo, ecco. A quanto pare, la lista di aggettivi da etichettarlo si stava allungando. Infatti, sotto a:
Bizzarro
Stravagante
Pazzo
Sapevo che questi tre sostantivi erano praticamente sinonimi e che significavano tutti la stessa cosa, cioè un pazzoide, uno completamente fuori ma era per rendere chiaro che lui aveva superato tutti e tre gli stadi. Ora si aggiungeva
Snervante
Giusto per essere carina, anche se nella mia mente si formavano tanti altri aggettivi, tutti meno belli. Annuì mentre sistemava anche la televisione sul bracciolo appeso al muro, sopra alla scrivania che aveva fatto montare
"Grazie"affermai mentre si strofinava le mani, facendo un lieve cenno del capo che mi sembrò costargli un capitale. Lui e i ringraziamenti non andavano molto d'accordo. Avrei potuto sfoderare le asce da guerra già da subito,fargli rimpiangere quell'aria saccente che aveva stampato in faccia ma ero una signora e le signore concedevano sempre una seconda possibilità. Quindi tenni a bada la spartana che era in me e mi stampai in faccia un sorriso bonario "hai fame?" a quella parola si illuminò. Pff, tipico di tutto gli uomini, alla parola cibo diventavano accondiscendenti come agnellini. Ora capivo perché mia nonna insisteva tanto sul fatto che era d'obbligo che la donna sapesse cucinare. Il cibo significava avere il potere sugli uomini. "Ti vanno bene i sandwich?"domandai quando mi diressi verso la cucina, se dovevo conquistare il benestare tanto vale farlo per bene, quindi era meglio puntare su piatti facili che mi riuscivano alla perfezione.
"Dato che non voglio morire di fame, vanno bene"una ruga si formò sulla mia fronte, quando la aggrottai, quel suo tono stava iniziando a seccarmi. Si sedette sulla sedia davanti alla penisola e sentii il suo sguardo fisso sulla mia schiena per tutto il tragitto dal piano cucina al frigorifero. Lo apri, ignorandolo e fui ben felice di vedere che era strapieno. Era la mia prima volta che vedevo il frigorifero di uomo, pieno, per di più non scorsi nessun cibo surgelato. Questa era l'era del cibo in scatola o surgelato che purtroppo era una scia assai diffusa che non colpiva non soltanto gli uomini. Sempre più persone erano le vittime, a causa del lavoro e arrivavo addirittura a pensare che ben presto i futuri bambini non avrebbero mai avuto l'opportunità di assaggiare una vera pizza. Io, invece, serpeggiavano un po' di qua che di qua. "Comunque sei sicura di saper cucinare?"inclinò il capo, guardandomi con sospettoso. Sembrava tenere di più a una persona che sapesse cucinare piuttosto a una che pagava l'affitto. Se mai Gordon Ramsay avesse avuto bisogno di un appartamento, questo sarebbe stato perfetto per lui, l'unica cosa che doveva fare era cucinare e lui a differenza di me, riusciva ad ottenere tutte le faticosa e luccicanti cinque stelle
"si, lavoro in una pasticceria e servivamo anche pranzo e cena, ho imparato qualcosa"affermai,
"wow... ammirevole"fischiettò mentre iniziavo a prendere in considerazione l'idea di cucirgli la bocca. Qualcosa in cui ero brava, per sua sfortuna. Mia nonna aveva centinaia di virtù, oltre a una gran pazienza,soprattutto con me che ero sempre stato una combina guai. Da piccola, mi aveva insegnato a cucinare, sia con l'ago, la macchina e l'uncinetto. Era rilassante e insieme trascorrevamo le ore, in giardino, a parlare, più che altro parlavo io, di tutti i miei sogni. Ne avevo avuti alcuni davvero ambiziosi come diventare una cantante, aspirazione crollata vertiginosamente a causa di Teddy Williams, il mio vicino. Era un odioso ragazzaccio di un anno più grande di me, idiota e rompiscatole che si lamentava in continuazione quando cantavo a squarciagola. Allora per dimostrargli il contrario, registrai la mia voce, con l'intenzione di metterla nella sua stanza. Sfortuna volle che l'ascoltai e ... beh, non avevo proprio la voce di un usignolo. "Comunque, lo voglio con prosciutto, bacon, formaggio, pomodoro, insalata, senape, ketchup e salsa barbecue, cottura media, il pane deve essere dorato, non nero, morbido ma che non si spezza in mano"avevo come l'impressione che avesse preso troppo sul serio, il fatto che lavorassi in una pasticceria. In questa situazione, come quando mi trovavo dinanzi a un cliente esageratamente esigente, dal palato disgustosamente raffinato che non aveva capito che non si trovava in un lussuoso ristorante a cinque stelle, che in questo caso, era doppiamente irritante, smascherai la mia irritazione in un'espressione accondiscendente. Feci cuocere un po' il bacon, lavai i pomodori e l'insalata, li tagliai e misi tutto nel panino, per poi passare di nuovo ai fornelli. Un'aroma di bacon fritto e formaggio fuso invase l'aria, facendo venire l'acquolina in bocca. Spensi il fuoco e glielo misi davanti, in attesa, non mi aspettavo chissà cosa ma un minimo grazie, mi sembrava di dovere. Lui guardò il panino con sospetto, lo esaminò, neanche fosse stato un rifiuto nucleare, ne constatò la consistenza con il dito, osservò il colore, dio, era peggio di Goldon. In seguito, alzò lo sguardo su di me "aspetti per caso che ti dia la mancia?"n'è diede un morso e lo masticò lentamente. Il suo pomo d'Adamo si mosse quando lo ingoiò e dalla sua bocca non uscii nessun suono di apprezzamento ma gli occhi tradirono la sorpresa mentre quel 'uh, che buono' sembrava essere stato divorato con il cibo. Sperai vivamente che si strozzasse
"no, ma stai attento, potrei aver messo del veleno"mi allontanai, pentendomi all'istante del fatto che non gli avessi messo niente nel piatto, Jim mi avrebbe schermito a vita per ciò. Alcune volte, quando dovevamo servire un cliente molto scorbutico e maleducato, decidevamo di punirlo. Niente veleno o cibo avariato, oppure sputi qua e no, ci tenevano a quel posto, piuttosto, lo servivamo sempre per ultimo, sbadatamente dimenticavamo il suo panino sui fornelli, quindi era po' stracotto e solitamente, mettevamo un pizzico di peperoncino. Logicamente di nascosto da Judy, perché altrimenti sarebbero stati guai, anche se alcune volte era stata vicina dallo smascherarci. Perché vi racconto questa storia?Per dirvi che dovete essere sempre gentile con i camerieri, la nostra pazienza è illimitata e non potete mai sapere cosa ci sarà nel piatto.
Mi avvicinai al frigorifero, contrariamente a lui, io avrei optato per qualcosa di più salutare, ovvero pomodori ed insalata. Lo riscaldai un po', dato che non lo preferivo troppo caldo e una volta pronto, presi il piatto e mi girai. Dylan non c'era, al suo posto era rimasto soltanto il piatto di briciole. C'erano due possibilità, o era andato in bagno a vomitare, colpito da una forte mal digestione ma in quel caso, qualche pezzo del panino, non ancora finito, avrebbe dovuto essere nel piatto, dato che erano passati pochi secondi. Oppure si era ingozzato ed era andato via. La seconda, purtroppo, era quella più probabile, anche perché non sentivo i singulti e i rantoli di una persona che stava rigettando l'anima. Quella notizia mi diede la consapevolezza di una cosa: non soltanto il mio coinquilino era uno testa di fagiolo, giusto per usare un termine carino per definirlo (per tutti i diretti di questa espressione, rivolgersi direttamente a Merlino) ma anche uno sporco. Quel piatto non si sarebbe lavato da solo e di certo, lui non aveva avuto la premura di farlo. Mangiai il mio panino nella quiete più assoluta e lavai i piatti di entrambi. Mi allontanai dalla cucina e ritornai nella mia nuova ed immacolata camera, tralasciando la soffitta di Katherine, era dai tempi del liceo che non dormivo in una camera tutta mia. Solo alla vista di quel letto a due pizze che batteva alla grande qualsiasi altro letto, dove avevo dormito, faceva venir voglia di calde lenzuola e lunghe dormite. Proprio quello che ci voleva, solitamente avevo una resistenza maggiore al sonno ma riguardava di più in giorni in cui non ero costretta a svuotare scatoloni e a sistemare un'intera stanza. Troppa attività fisica poteva uccidere e ricordate, noi eravamo della generazione del no fitness...purtroppo. Mi cambiai, infilandomi il mio super sexy pigiama con l'orsetto. Esatto, avevo 22 anni e indossavo ancora pigiami con l'orsetto, né avevo un'intera collezione, di tutti i colori e con 7 animali differenti. Dov'era finita la femminilità?Semplice, era stata strappata e bruciata insieme alle sue cose, beh una parte, l'altra, era finita nella pattumiera. Da allora, il mio portafoglio aveva avuto una boccata d'aria. Perché spendere soldi e soldi in abitini succinti quando ero vergognosamente single?Tanto non avrei conquistato nessuno per un po', quindi perché rinunciare alla comodità e alla morbidezza di un pigiama normale, per la sensualità scomoda di un tanga?No, grazie. Anche se non ero così stupida, avevo conservato 2-3 completi più avvenenti, giusto per occasioni che non sarebbero mai avvenute. Scostai le lenzuola e mi infilai nel letto, alzai il cuscino, dando uno sguardo a ciò che c'era sotto ma ben presto mi ricordi di non essere più a casa della mia amica. Mi rilassai, quelle due pesti, lasciavano sempre dei ricordini pungenti sotto il cuscino, erano lo più, giocattoli, e non sto qui a parlare del dolore quando appoggiavo la testa. Ricordavo ancora quando una volta, misero il pupazzo di un topo e dovevate immaginare lo shock che ebbi. Finalmente, lontana da quelle pesti, mi distesi sopra, chiudendo gli occhi.************
Mi rigirai nel letto, irrequieta, aprendo prima un occhio e poi un altro. I miei occhi si posarono sul comodino, in particolare sulla sveglia che segnava le due. Mi sistemai a pancia in su, stile stella marina, giusto per ricordare il concetto di femminilità. Avevo dormito, si, no, un'oretta, l'altra era stata un tormento, continui rigiri e spostamenti. Non era per niente la lunga dormita che avevo pensato. Il mio stomaco brontolò ed inarcai un sopracciglio, solitamente non ero la tipa da spuntino di mezzanotte ma piuttosto, da dormi fino al mattino. Tuttavia, come si diceva, tutte le ore erano buone per mangiare, quindi mi alzai. A passo felpato, nell'ombra della notte, con una moderna James Bond, mi diressi in cucina, facendo ben attenzione a dove mettevo i piedi e tenendomi ben a distanza dagli angoli, per quanto la mia vista potesse permetterlo. La casa era nel più austero silenzio e neanche dalla stanza di Dylan sembrava provenir nessun suono. Accesi la luce della cucina mentre il brontolio nel mio stomaco diventava una specie di ruggito. Il mio stomaco poteva essere molto insistente quanto voleva. Aprii la dispensa, alla ricerca di qualcosa, non volevo niente che dovessi cucinare, o di salato ma qualcosa di dolce e non una banale merendina. Scostai qualche barattalo, fin quando non adocchiai una confezione tutta colorata di cerali. Il mio stomaco acconsentì e li presi. Mi sedetti sulla penisola con una bella tazza di latte. Immersi i cerali, in quel mare bianco e improvvisamente mi sentii essere ritornata bambina. Ecco i piccoli piaceri della vita, una bella tazza di latte e cerali. Ero quasi sul punto di cantare qualche assurda canzone delle pubblicità mentre mangiavo e agitavo i fianchi.
"Cosa stai facendo?"a quel suono basso e minaccioso che sembrava un ruggito, più che una voce umana, sussultai così forte, che lasciai la confezione che tenevo in mano, facendola cadere. Migliaia di cerali colorati si sparsero sul pavimento. Mi girai con cautela, Dylan era dietro di me, una ruga solcava la sua fronte mentre l'espressione era più che accigliata. I suoi occhi si assottigliarono e si posarono su tutti i cerali sparsi sul pavimenti. Un velo di shock calò sul suo viso, schiuse le labbra, sorpreso e mi sembrava quasi che stava per piangere per la tristezza...ops. Lentamente fece risalire lo sguardo su di me. Se uno sguardo fosse stato in grado di uccidere, io allora, ero già stata torturata mortalmente e ridotta a un mucchietto di ceneri mentre la mia anima ballava il Jazz dell'Aldilà con la Sposa Cadavere. Mi puntò un dito e scostai appena la testa per non perdere un'occhio
"Tu!"tuonò, digrignando i denti "come hai osato"pestò il piede a terra, mandando in frantumi alcuni piccoli cereali. Si guardò la suola delle scarpe e una sola parola mi balenò nella mia mente alla vista della sua espressione: guerra, seguito poi da corri e fuggi. "Giuro che con questo affronto hai segnato la tua condanna a morte, preparati"stavamo sul serio discutendo per dei cereali?Ma, c'era qualcosa nel suo sguardo che mi diceva che purtroppo non stava scherzando. Anzi era piuttosto serio. Deglutì, quei cereali avevano appena segnato la mia condanna a morte. "Non temere"cercò di rassicurarmi con un sorriso falsamente bonario "avrai una morte lenta e dolorosa"afferrò la confezione, questo non mi rassicurava per niente.
Scusate il ritardo ma tra vacanze e continuare l'altra storia, é stato un po' difficile ma ora cercherò e spero di aggiornare prima. Buona lettura e tante risate. Baci
-Astrad
STAI LEGGENDO
Amore in Affitto [Sospesa a tempo indeterminato]
Literatura FemininaUn appartamento,una vittima e una scommessa Capo di una tra le maggiori agenzie immobiliari degli interi Stati Uniti, le sue giornate si dividono tra un lavoro milionario e sfrenati party con amici. Il divertimento è la sua parola preferita. Tuttavi...