Volevo sprofondare o essere investita da un'auto e dare un calcio nel sedere al karma, preferibilmente prima la seconda e poi la prima. Mentalmente, sfilai una lista di imprecazioni, non adatte ad una ragazza ma piuttosto al figlio di un camionista. Alzai gli occhi al cielo, provando ad avviare una chiamata con l'altissimo, avevo una bella ramanzina da fare per il pessimo servizio. Nel frattempo che attendevo il centralino, risuonava l'orribile motivetto pubblicitario e sperai vivamente che i tempi di attesa non fossero stati lunghi come nella realtà. Avrei accettato qualsiasi tipo di soluzione, anche quella di chiudere la porta e scomparire. Sì, sapevo cosa pensavate, non era un comportamento da figlia modello ma ognuno di noi aveva dei difetti. Perché non poteva essere facile come i testimonial delle aspirapolvere? Un sorriso cordiale, un 'no, non mi interessa' e una bella porta in faccia. Il lavoro più umiliante e indesiderato di sempre. Un po' provavo compassione per loro, tranne quando cominciavano a bussare alle 7 del mattino o ad essere insistenti. Un po' come quelli dei call center; solo al pensiero mi veniva il ribrezzo. Il passato tornava ogni tanto a tormentarmi. Ogni volta che ci pensavo, mi sentivo cadere addosso strati e strati di vergogna. L'unica giustificazione possibile era l'età, che ingenuamente mi aveva portato a considerare 'una figata' trovare un lavoretto part-time. Per questo, all'età di 17 anni, ero finita nelle fauci dei call-center. Un'esperienza durata due mesi e che aveva distrutto l'autostima, la pazienza e le buone maniere di una ragazza. Questo lavoro metteva a dura prova la calma di una persona. In soli due mesi, centinaia di persone mi avevano chiuso sgarbatamente il telefono in faccia. Alla fine, da diciassettenne mi ero trasformata in una quarantenne nervosa e isterica, quindi, per preservare la mia 'fanciullezza', mi ero licenziata. Non mi ero mai sentita così donna come in quel momento, soprattutto dopo aver mandato gentilmente a quel paese, l'ennesimo stronzo che mi rispondeva male.
"Papà, cosa ci fate qua?" Mio padre allungò le mani e mi abbracciò, dondolandomi. Mi lasciò, mi guardò e mi abbracciò di nuovo. Mi lasciò, posò le mani sulle mie spalle e mi accarezzò i capelli.
"Sei radiosa, anche se mostri qualche piccola ruga, stai facendo yoga come ti ho consigliato?" Domandò
"Ehm..." temporeggiai, giocando con le dita "sai com'è il college, il lavoro...tu come stai, papà?" Sviai e per mia fortuna lasciò perdere. Ricordavo molto bene le domeniche d'estate, sveglia alle 5 e meditazione. All'inizio era stato un trauma, peggio del rientro scolastico, ma pian piano era diventato rilassante. Il problema, però rimaneva sempre la sveglia.
"Owen, dai lasciala stare" mio padre venne in mio aiuto, come sempre. Ogni volta che desideravo qualcosa o combinavo qualche trasgressione, mio padre Patrick era sempre colui che prendeva le mie difese, o comunque era il più accondiscendente tra i due.
"È per il suo bene, l'aiuta a rilassarsi e a ringiovanire, anche se è splendida così" mio padre, Owen, mi baciò la fronte, anche se, in fin dei conti, ero la cocca di entrambi.
"Allora, non vediamo l'ora di vedere il tuo nuovo appartamento" mi destai improvvisamente, tornando alla realtà, un mio grandissimo punto debole erano le coccole, soprattutto quelle dei miei genitori, sì ne ero consapevole, ero una bambinona.
"Aspettate solo un secondo, papà so che non ti piace il disordine quindi lasciami un attimo sistemare" mio padre, Patrick, aveva provato sulla sua pelle l'esperienza di avere come padre, un ex-sergente dei Marines. A differenza di come avreste pensato, nonno Bernard non era così male, non era di molte parole e non ti offriva neanche qualche dolciume, era di temperamento ferreo, sguardo austero e severo ma mi aveva sempre coccolato. Perlomeno a Natale, l'unica volta che l'avevo visto, all'età di 5 anni, e soltanto perché mi ero avvinghiata alla sua gamba per ben 5 minuti buoni. L'ultima volta che l'avevo visto era stato al suo funerale, qualche mese dopo. Riposa in pace, nonno Bernard.
Feci un sorriso di circostanza e velocemente tornai dentro. Diedi uno sguardo a tutto quel nastro adesivo e salì in me il desiderio di piangere. La voglia di frignare come una bambina, con il pollice in bocca e il peluche in mano, sì alla veneranda età di 22 anni, non era mai stata così forte. In quel momento pensai a cosa avrebbe fatto la donna matura che era in me, oltre ad ingozzarsi di gelato e ad andare dal parrucchiere. I miei capelli avevano sul serio bisogno di una sistemata, purtroppo questo non era il giorno. Scossi la testa, dovevo smettere di pensare a queste cose e agire. Quindi come in ogni situazione del genere, decisi di strapparmi le unghie ed iniziai a togliere il nastro isolante dai muri e dal pavimento il più velocemente possibile, fino ad arrivare in salone.
"Non voglio sentire storie, altrimenti ti porto in tribunale per interferenze illecite nella vita privata con aggravanti, ti farò avere dai 10 ai 20 anni di prigione, i miei genitori sono fuori dalla porta e dobbiamo liberarci di questa roba" Ash inarcò un sopracciglio e sollevò le mani in segno di pace. Il mio diavolo custode in abito da avvocatessa, esultò sulla mia spalla mentre il mio coinquilino si alzava dal divano, fortunatamente privo di nastro adesivo.
In meno di cinque minuti, riuscimmo a liberare il salone, la cucina e il corridoio.
"Occupati delle stanze, io vado ad aprire e mi raccomando, niente stronzate" l'altra me esultò di nuovo, il lato dittatoriale che per anni avevo affinato, finalmente, stava dando i suoi frutti. Basta usarlo per convincere l'autista dell'autobus, per ottenere il posto migliore, o la segretaria della scuola per coprirti quando facevi tardi oppure quando svignavi nelle ore di punizione, era il momento di estendere i propri orizzonti.
"Ecco, adesso, potete entrare" aprii la porta "Papà, stavi spiando dallo spioncino?" Aggrottai la fronte, mio padre Owen, tossì e alzò il busto, sistemandosi la cravatta. Tra i due, era quello a possedere uno stile molto più elegante e curato, ci teneva molto al suo aspetto. Nonostante i suoi 50 anni, sembrava un trentenne e dopo anni, il biondo dorato dei suoi capelli brizzolati, non si era ancora sbiadito. Qualche ruga solcava la sua fronte alta e gli angoli delle sue labbra sottili ma lo sguardo azzurro era ancora luminoso e il profilo definito. Non per vantarmi, ma madre natura era stata incredibilmente generosa con loro e mi dispiaceva un po' per tutte quelle poverine che ai loro tempi, si erano prese una bella cotta per uno di loro. Patrick, invece, era sempre più robusto di spalle, con un fisico più muscoloso e definito e l'aspetto più trasandato e sportivo. Ancora oggi i suoi capelli castani, sembravano non avere pace e la cosa sembrava essere di famiglia. Purtroppo non ero riuscita ad ereditare i loro occhi chiari.
"Mi sembrava sporco" mio padre si giustificò debolmente, scossi la testa in segno di disapprovazione e li feci accomodare.
"Questo è l'appartamento, è piuttosto grande, dispone di diverse stanze e tutte molto ampie, è ben illuminato ed è anche vicino al college" spiegai mentre li conducevo in salone, mi sentivo un po' come un'agente immobiliare provetta. I miei genitori si guardarono intorno.
"Queste piante sono veramente belle, molto rigogliose" mio padre Owen si avvicinò ai fiori, chinandosi ad accarezzarli. Scrollai le spalle rassegnata, lui e la sua passione per fiori. In famiglia, era l'unico a possedere il pollice verde, quindi il solo a potersi occupare del giardino di casa nostra, soprannominato il più bello del quartiere. Da piccola l'adoravo, crescendo, avevo iniziando ad avere qualche problema, soprattutto quando dovevo tornare a casa senza farmi vedere, dopo aver superato il coprifuoco. Diventava sul serio un problema evitare di calpestare al buio prato o fiori. L'utilizzo della torcia era, purtroppo, adeguatamente ponderato e misurato per pochi secondi. Il cane dei vicini, per mia sfortuna, dormiva nella sua cuccia all'esterno ed aveva il sonno leggero.
"Anche l'arredo mi piace molto, è tutto molto armonioso, concordi Patrick?" Owen si rivolse a lui, già seduto comodamente sul divano.
"Uh...sì" come tipico di ogni poliziotto, l'unica cosa che riusciva a comprendere di una casa, era il divano o la poltrona, la qualità di una birra e di dolciumi.
"Tuo padre è un caso disperato, non pensa ad altro che al divano e alle partite, sono diventate persino più importanti della sua famiglia" lo stuzzicò.
"Non è vero, e nessuno è più importante di mia figlia" ora capivate cosa significava essere la cocca di famiglia? Ero sempre stata la reginetta della casa ma essere figlia unica non era sempre una buona cosa per alcuni motivi:
primo, i genitori erano più "protettivi", in un certo senso; secondo, erano meno permissivi ed accondiscendenti, diciamo che mi avevano fatto rigare dritto per molto tempo; terzo, potevano essere fin troppo presenti.
La vita da figlia unica non era tutta rosa e fiori come avreste pensato.
"Comunque" mi rivolsi a entrambi, con il tempo, i ruoli si erano lievemente invertiti "avreste potuto avvertirmi, non potete sempre piombare all'improvviso" lanciai uno sguardo a mio padre Owen, solitamente era lui che orchestrava queste cose. All'età di 11 anni era piombato a scuola nel giorno del mio compleanno con uno spara coriandoli, vi risparmio il resto.
"Tesoro, avremmo dovuto aspettare sicuramente dei mesi e non dire di no" purtroppo era vero, non potevo obiettare. Sospirai "restate per cena?" Conoscevamo tutti e tre la risposta.
"Sì, siamo venuti qui per questo, per la deliziosa cucina di nostra figlia" mio padre aveva sempre un 'ottimo' senso dell'umorismo.
"Vada per la pizza, allora" tutti e tre annuimmo.
"Qualcuno ha detto pizza?" La voce di Dylan distrusse il mio quadretto famigliare, i miei genitori si girarono verso di lui.
"Papà, lui è Dylan, il mio coinquilino" lo presentai mentre mio padre Owen continuava a guardarlo attentamente. All'inizio avevo accennato al fatto che avessi un coinquilino di sesso maschile ma avevo sempre omesso dettagli o raccontato qualcosa, frenando la curiosità di mio padre.
"Piacere, io sono Owen e questo è il mio compagno Patrick" tutti e tre si strinsero la mano "allora rimani per cena?".
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Amore in Affitto [Sospesa a tempo indeterminato]
ChickLitUn appartamento,una vittima e una scommessa Capo di una tra le maggiori agenzie immobiliari degli interi Stati Uniti, le sue giornate si dividono tra un lavoro milionario e sfrenati party con amici. Il divertimento è la sua parola preferita. Tuttavi...