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<<Coraggio Gyada, alzati! Farai tardi a scuola!>> La fata, che stava facendo finta di dormire, aprì gli occhi e rimirò il soffitto. Non aveva alcuna voglia di mettere i piedi sul freddo pavimento, vestirsi e andare a scuola, così mise il viso sotto il cuscino e si accasciò sotto le calde coperte, tappandosi le orecchie per non sentire i richiami di sua madre che strillava dal piano inferiore, imponendole di alzarsi. Firefly urlò di nuovo, Gyada alzò gli occhi al cielo e buttò le lenzuola ai piedi del letto stiracchiandosi i muscoli indolenziti. Una voce urlò nuovamente dal piano di sotto:
<<Gyada!>>. La fata, esasperata dopo l'ennesimo richiamo per cercare di svegliarla, urlò a sua volta: <<Sono sveglia! Arrivo!>> Le urla al piano di sotto scemarono e Gyada sbuffò per far scappare il ciuffo biondo che le era ricaduto davanti agli occhi. Si mise a sedere e si disse:
<<Un'altra giornata sta per cominciare ...>> . Si alzò e andò in bagno per sistemarsi. I capelli ribelli le ricadevano ingarbugliati fino al collo e le incorniciavano il delicato viso verdino. Gli occhi viola assonnati guardavano l'immagine che si rifletteva nello specchio e si rifiutavano di stare aperti. Si lavò il viso e appena la pelle sfiorò la gelida linfa, la fata ebbe un brivido. Dopo di che si tolse il pigiama fatto di fiori, erba e foglie e si vestì con un l'uniforme della scuola, una deliziosa camicia verde e una gonna gialla. Si pettinò i capelli e si lavò le ali trasparenti per non rischiare di cadere durante il volo. Scese in cucina, diede un bacio sulla guancia alla madre che stava in piedi davanti ai fornelli a cucinare, salutò il padre, intento a leggere il giornale e si sedette al tavolo. Iniziò a spalmare su una fetta di pane alle ortiche un po' di miele fresco, che era andata a raccogliere la sera precedente, e lo addentò. Bevve un po' di linfa del loro albero e si preparò ad uscire di casa per dirigersi a scuola. Erano passati diversi anni dalla nascita di Gyada e molte cose erano cambiate. La fata non aveva amici. Tutti la prendevano in giro per lo strano colore della sua pelle. Per strada le fate più giovani la indicavano e cominciavano a sussurrare in tono maligno ridendo. Anche le fate che da bambine erano state sue amiche, adesso non le rivolgevano la parola. Gyada era diversa dalle altre fate, non solo per il colore della sua pelle, ma anche nei gusti di ogni cosa: a quell'età, le fate non parlavano d'altro di quanto fossero belle oppure sparlavano di Gyada ... mentre la fata dalla pelle verde non si curava minimamente di sembrare bella agli occhi dei ragazzi, non le importava cosa essi pensassero. Volava tra gli alberi con naturalezza e spontaneità, senza sapere che gli occhi dei ragazzi la seguivano continuamente. Era invidiata dalle sue coetanee che si spalmavano inutili creme di bellezza alla margherita o alla vaniglia sulle guance per apparire incantevoli, mentre lei, che non usava certi cosmetici, appariva bellissima e naturale. Mentre Gyada entrava in classe, una risata la raggiunse. Era la voce di Lux, la fata più smorfiosa e antipatica di tutte le altre. Si credeva la creatura più incantevole di tutto il bosco, a causa della sua pelle dorata, dei neri capelli ricci che le ricadevano morbidi e composti sulla schiena perfetta, dei suoi occhi nocciola e limpidi, ma che nascondevano una scintilla di malvagità che cercava di oscurare quella goccia di bontà che era ancora presente. Era magra e snella, con ali grandi e rosa che vibravano costantemente. Una volta era stata una fata buona e simpatica, ma poi si era fatta trascinare dal gruppo ed era diventata acida e presuntuosa.
La derise:
<<Ehi Gyada!>> La fata si voltò e le due nemiche si incontrarono faccia a faccia: <<Lux>> <<Ehi faccino verde! Non ti sono ancora cresciute le piante sulla pelle?>> Gyada non rispose, alzò un sopracciglio e continuò il suo cammino. Lux, però, non si diede per vinta. Il suo scopo era quello di far disperare Gyada e metterla in ridicolo davanti a tutti, perciò continuò: <<Gyada, che succede? L'insetto ti ha mangiato la lingua?>> Gyada non rispose alla provocazione, ma strinse i pugni e si morse la lingua, alzando il secondo sopracciglio. <<Ehi piccolo elfo maleducato! Rispondimi quando ti parlo!>> Gyada non poteva sopportare un insulto di tale grandezza. Quella smorfiosa l'aveva appena chiamata 'piccolo elfo'! Quello era l'insulto più dispregiativo che una fata potesse dire ad una sua simile, e Lux lo sapeva alla perfezione. Gyada si voltò di scatto. Volò davanti alla fata che l'aveva provocata e la fece arretrare. Le loro fronti quasi si toccavano e Gyada sprizzava rabbia da tutti i pori. <<Ti avverto Lux: non mi chiamare mai più così!>> Lux fece la faccia spaventata e disse con una vocina in falsetto: <<Oh che paura che mi fa la fata verde! Che cosa avrai intenzione di fare ... piccolo elfo?>> La rabbia accecò Gyada: <<Ah sì? Non ti faccio paura? Bene ... ora vedremo come la penserai ...>> La fata iniziò ad avanzare e a brillare sempre più intensamente di una luce verde e calda. Gyada non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa stava accadendo ma non poteva fermarsi ... non ci riusciva. Era spaventata. Lux indietreggiava sempre di più, anche lei era spaventata e si mise a piangere come una bambina. Gyada vide l'effetto che aveva provocato la sua furia e si spense. Lux era immobile con gli occhi spalancati. Non riusciva a muoversi, era troppo spaventata. <<Gy-Gy-Gyada ... cosa ...>> <<Adesso sei assolutamente certa di non avere paura, mosca fastidiosa?>> <<Gyada, quello che hai fatto è proibito. Lo dirò a ...>> <<Lux, vedo che il sole che colora la tua pelle non ha ancora bruciato la tua lingua biforcuta e troppo lunga ... Bada e stai attenta che potrei farlo io!>> Lux scappò a gambe levate e quel giorno non si presentò alle lezioni. Gyada era proprio felice di aver vinto almeno una battaglia con la sua nemica, anche se non sapeva cosa fosse successo quando si era infuriata con la fata. Fece spallucce ed entrò a scuola. Non si dimenticò mai della paura che aveva preso piede negli occhi di Lux, né del tremore delle sue mani; le sua li avevano smesso di vibrare e il suo corpo si era immobilizzato, come pietrificato.

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