4. the best is yet to come

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Le cose miglioravano progressivamente giorno dopo giorno, piano piano mia madre e Gianluigi mi aiutavano dandomi diverse informazioni sulla mia vecchia vita in modo da potermi togliere qualche dubbio. Tutta via, senza che io ne sapessi il motivo, ogni qualvolta chiedevo informazioni su che lavoro facessi prima o se avessi avuto un ragazzo o che hobby avevo loro cambiavano immediatamente argomento dicendomi magari che amavo la pasta al pesto mentre odiavo gli spinaci.

Ogni tre giorni dovevo recarmi alla clinica che avevo scoperto essere la stessa che frequentava mio padre con i suoi compagni di squadra. Il dottore solitamente mi faceva ripetere la solita frase sulle informazioni più basilari della mia vita. Poi iniziava a fare domande riguardanti il mio passato per stimolare i miei neuroni al ricordo, che però sembravano essere ancora in uno stato vegetativo, incapaci di rammentare fatti posteriori alle due settimane precedenti.

Avevo iniziato ad andare a correre ogni giorno, mi aiutava a pensare e a rilassarmi, stare in quella casa era opprimente. Sentivo che i muri che mi circondavano erano permeati di bellissimi ricordi che tuttavia erano stati strappati con violenza dai miei pensieri. Ogni qualvolta tornavo da correte mia mamma mi abbracciava sorridendo e mi chiedeva se mi sentissi meglio, sapevo benissimo che cosa intendeva con quella domanda. Si riferiva ai miei attacchi isterici che si verificavano piuttosto spesso a causa del disagio interiore causatomi dalla perdita di tutti i miei ricordi e i miei punti di riferimento. Ero uno stato di destabilizzazione, ma pur non sentendomi per niente bene continuavo a rispondere che stavo sempre un po' meglio.
A volte a certe persone è meglio dire quello che vogliono sentirsi dire piuttosto che la veritá.

È tendenza umana desiderare di vivere nella più bella delle menzogne piuttosto che nella cruda realtá. Tuttavia io mi ero imposta di non agire in questo modo, mi ero convinta con pensieri disillusori che la mia malattia era reale, grave e probabilmente irreparabile; senza sperare in un improvvisa scoperta medico-scientifica.

Le mie ferite si erano quasi tutte rimarginate lasciando però, come segno della loro presenza, numerosissime cicatrici bianco-rosate. Era come se chiunque o qualsiasi cosa mi fosse capitata fosse successa apposta per lasciare un segno indelebile che avrei portato dietro per il resto della mia vita.

-"Sei pronta?" Domandò Paola nell'altra stanza.

-"Prontissima" dissi infilando la maglia bianca una scritta fucsia che citava "Il meglio deve ancora venire".
Sistemai la mia matassa aggrovigliata che mi trovavo al posto dei capelli e mi feci un'occhiolino allo specchio.

Uscii dalla stanza e mia madre mi sorrise.

-"Bella maglia" affermò facendo roteare le chiavi della sua Mercedes sull'indice.

-"Grazie, sai mi piace essere ottimista" risposi spensierata.

**

Una volta arrivate davanti alla clinica mia madre mi fece scendere dalla macchina mentre lei si dirigeva alla disperata caccia di un parcheggio libero.
Alzai lo sguardo sopra a tutti i tettucci delle macchine e ne vidi alcune che si aggiravano tra le file anche loro impegnate nella ricerca.
Pensai che ci sarebbe voluto un po' prima che mia madre riuscisse finalmente a trovare un posto, per cui mi avviai verso l'enorme stabilimento bianco circondato da numerosissime scale esterne.

Seguii le indiciazioni e mi diressi verso la stanza contrassegnata dal nome del dottore.
Ogni corridoio era costellato dai colori bianchi e neri creando un motivo ridondante, fin quasi noioso. Diverse infermiere e dottori si aggiravano in esso scribacchiando su delle cartelle che avevano in mano o sorseggiando una buona tazza di caffe presa alle macchinette.

-"Cerchi qualcosa?" Sentii poi chiamarmi dalla mia destra.

Mi voltai di scatto e i miei occhi si posarono su un ragazzo non troppo alto, dagli occhi azzurri e con qualche neo sul volto che mi guardava con un leggero sorriso sul viso.

#21-Paulo Dybala Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora