17-Carpe diem

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Il mattino dopo mi svegliai in solitudine nel mio grande letto matrimoniale. Mia madre e Gigi, che ormai potevo definire mio papà, erano partiti subito dopo il matrimonio per il loro viaggio di nozze. Avevano discusso a lungo sulla meta da scegliere, perché mia mamma non avrebbe voluto allontanarsi troppo da me, considerate le mie condizioni di salute. Alla fine però l'avevo convinta a prendere l'aereo e ad andare in Australia assieme a Gigi, io sarei rimasta a casa da sola assieme al maggiordomo.

Gigi aveva comunque assicurato che il medico della squadra sarebbe venuto a farmi visita spesso per degli accertamenti, e Paola mi aveva praticamente obbligata ad informarla su ogni mio minimo spostamento.

-"Attiva il GPS sul telefono così posso vedere dove vai" mi aveva ordinato arrabbiata qualche giorno prima.

Al ché io avevo risposto con una risata sarcastica, come se fossi una bambina che non sa badare a sé stessa.

Beh tecnicamente non sei nemmeno troppo autosufficiente, non ti ricordi nemmeno la strada per arrivare all'università.

Beh ma quella non è colpa mia, ed esiste il GPS per quello.

Non attivarlo che dopo tua mamma ti controlla.

Per una volta la mia coscienza mi fece un'osservazione corretta.

Mi alzai dal mio letto e mi diressi in cucina, attraversando il grande corridoio sotto i giganteschi quadri dei capitani della Juventus. Le loro gigantografie, dovevo ammetterlo, erano parecchio inquietanti, soprattutto se dovevi attraversarle a tarda sera: i loro occhi sembravano squadrarmi.

Quando feci ingresso in cucina un forte odore di caffè invase le mie narici, e non ci fu sensazione più bella di quella per iniziare una mattinata di lavoro.
Il maggiordomo, del quale non ricordavo il nome, era in piedi nel suo solito abito elegante nero davanti alla macchinetta de caffè.
-"Buongiorno Signorina Buffon" disse voltandosi e rivolgendomi un sorriso.
-"Buongiorno... ehm..." risposi.
-"Antonio" concluse lui al posto mio vedendo le difficoltà nel ricordare il suo nome.

-"Si, scusami è che con la perdita della memoria non ricordavo bene il nome" cercai di giustificarmi.

Hai perso la memoria due mesi fa, non ieri, e in due mesi non hai mai avuto la decenza di chiedere al maggiordomo il suo nome.

Si, ma non ho mai avuto bisogno di chiamarlo per nome.

Che discorso da persona viziata.

La mia coscienza mi rimproverò ma dovetti ammettere che da un lato aveva ragione, ero stata molto menefreghista a non chiedere nemmeno il nome all'uomo che mi serviva e riveriva ogni giorno preparandomi sempre il pranzo per il lavoro e rifacendomi il letto ogni mattina.

-"Non si preoccupi signorina, gradisce un caffè?" Antonio mi domandò indicando la macchinetta con lo sguardo.

-"Un cappuccino, per piacere, e comunque dammi pure del tu e chiamami Alice" gli dissi con un sorriso mettendomi a sedere all'enorme tavolo di pregiato legno.

-"Non mi viene naturale, sono al vostro servizio" ribattè lui con un sorriso naturale.

Decisi di non discutere oltre e di andare a vestirmi mentre lui mi preparava una tazza di caffè caldo.
Aprii l'armadio ed estrassi un semplice paio di Jeans azzurri e una maglia nera attillata dalle maniche lunghe.
Non appena mi scoprii lo stomaco sussultai, come facevo ogni volta che mi vedevo allo specchio, quelle cicatrici erano ancora li e sarebbero rimaste per sempre. Non ci avevo ancora fatto l'abitudine nonostante fosse passato diverso tempo, anzi nell'ultimo periodo, forse a causa degli attacchi di panico, degli incubi e delle mie paranoie, mi spaventavano ancora di più.

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