Capitolo 1.

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-Eleanor Clifford, giuro che la prossima volta non mi lascerò trascinare in un'altra delle tue pazzie!- urlò Cassie mentre si chiudeva la porta di casa alle spalle. Subito il freddo di fine Ottobre la investì facendola rabbrividire, costringendola poi a strattonare i bordi del suo cappotto verde per coprirsi meglio. La salutai con un caloroso sorriso che subito fu ricambiato e in silenzio ci avviammo nelle fredde strade di Morrisville.

Camminammo tra le vie della nostra città, situata nel New Jersey, immerse in una leggera nebbia, che dava un tocco di macabro ma anche di eccitazione a quello che stavamo per fare.
Dopo venti minuti di camminata, Cassie ad io arrivammo alle porte del grande edificio abbandonato, la scritta "Benevnuti al Trenton State Hospital" ci accolse e, una volta superato l'imponente cancello arrugginito, ci ritrovammo davanti alla facciata principale dell'ospedale psichiatrico. Alzai lo sguardo ammirando la maestosità di quel luogo, la pittura ormai decadente così come le finestre consumate erano tutto ciò che i miei occhi riuscivano a vedere tra la foschia.

Quando il professor Bucket aveva chiesto alla nostra classe di fare una ricerca sulla storia del New Jersey, la mente mi aveva subito portato ad uno degli ospedali psichiatrici più famosi al mondo e, destino volle, che si trovava solo a qualche isolato da casa di Cassie quindi mi ero detta: perché no? Dopotutto andavo matta per luoghi del genere e di sicuro la mia ossessione per i thriller e gli horror non aveva fatto altro che aumentare la mia curiosità. Così senza farmi troppi problemi ero riuscita a trascinarmi dietro anche la mia unica amica promettendole, letteralmente, di tutto e di più. 

Dopotutto si sapeva, mai entrare in luoghi abbandonati da soli.

"El, sei sicura sia una buona idea? Voglio dire prendere le foto da internet non è poi una cosa così anomala, non serviva venire qui di persona. Per lo più portare anche me." disse la mia amica con voce tremante mentre io mi sbrigavo ad aprire l'enorme portone in mogano che, dopo una piccola pressione sulla maniglia, si aprì con un lungo cigolio.

"Da brividi." sussurrai ricevendo un'occhiataccia dalla mora accanto a me. "E comunque, mia piccola e spaventata Cassie, usare delle foto fatte da me in persona significa il massimo voto assicurato, su internet puoi trovare di tutto e di più tranne quello che ti serve veramente." finì sorridendole amichevolmente e così rassegnata Cassie dovette darmi ragione e seguirmi all'interno dell'edificio.

Subito del vento gelido fece fermare la mia amica obbligandomi a prenderla per mano e a tirarmela letteralmente dietro. "Stammi vicina, di solito succede sempre che quando un gruppo di amici entra in un posto del genere e si separa muoiono tutti." Dissi usando il tono di voce più tetro possibile e voltando lentamente la testa verso di lei.

"Sei inquietante quando fai così lo sai vero? Poi ti chiedi perché sono la tua unica amica." Borbottò lei piuttosto indispettita obbligandomi  a risponderle subito con "Sto solo scherzando Cassie, prendiamo le scale e andiamo subito al piano superiore."

Nonostante l'atmosfera inquietante che ci aveva avvolto dal primo istante in cui avevamo superato l'entrata, io non mi accontentai delle prime quattro stanze che visitammo.
No, io volevo di più così andai contro le lamentele silenziose di Cassie e continuai a camminare tra quei corridoi pieni di calcinacci,assi di legno e fogli sparsi qua e là.
Nuovamente del vento freddo ci prese alla sprovvista così come un tonfo forte che ci fece letteralmente saltare cinque secondi dopo.

"Cosa è stato?" Urlò Cassie conficcando le sue unghie nel mio braccio e facendomi emettere un piccolo gridolino di dolore.

"Ahia" dissi staccando la sua mano da me "sarà solamente una qualche porta che ha sbattuto con il vento." finì tranquillamente, nascondendo quel poco di agitazione che si stava impossessando di me.

"Possiamo andarcene?" domandò timidamente.

"Senti, facciamo le ultime due stanze e ce ne andiamo. Tu vai in quella a sinistra e io in quella a destra e ti prometto che dopo torniamo a casa. Okay?"

Cassie annuì guardandomi un'ultima volta prima di darmi le spalle per dirigersi nella stanza che le avevo indicato mentre io andai in quella opposta.

Appena varcata la soia della stanza la mia attenzione fu subito catturata dalle innumerevoli scritte che ricoprivano il muro screpolato ed ingiallito dal tempo. Presi il telefono ed iniziai a scattare foto alla stanza, al letto, alla scrivania piena di tagli ed incisioni e alle pareti.
"Non sono matto" "Non dovrei essere qui, perché sono qui?" "Lui fa sembrare tutto così brutto e lei tutto così piacevole" "Non so cosa farei senza Daisy"

Daisy.

Ancora mi sorprende con quanta facilità quel nome si sia impresso nella mia mente e di come non l'abbia più lasciata neanche per un secondo.

Ma torniamo alla storia, stavo immaginando come dovesse essere vivere in un posto del genere quando la voce di Cassie mi riportò alla realtà.

"El, vieni qui un attimo."

Sbuffai spazientita, di sicuro aveva visto un ragno in lontananza, così rimisi il telefono in tasca ed andai nella stanza di fronte dove la mia amica mi stava aspettando.

"Cassie se c'è un insetto non lo voglio vedere." gridai prima di entrare e ritrovarmi davanti uno scenario completamente diverso da quello nella camera precedente.

I muri erano di un colore biancastro, tendente al giallo, e non erano ricoperti da scritte come nell'altra cella ma contenevano solamente incisioni verticali e orizzontali che interpretai come il conteggio dei giorni che quel determinato paziente aveva trascorso in quella stanza.

Ed erano davvero tanti.

Venni nuovamente riportata con i piedi per terra dalla voce pacata di Cassie con la semplice frase "Guarda che cosa ho trovato."

La mia amica mi sventolò davanti alla faccia un vecchio e malandato quaderno rilegato in pelle.
Lo guardai disgustata storcendo il naso chiedendole, con una sola occhiata, cosa accidenti fosse.

"Devi fare una ricerca di storia, questo è un reperto storico, collega tu." asserì altezzosa obbligandomi a prendere quell'ammasso di fogli e polvere tra le mani.

"Mi fa strano ammetterlo ma hai ragione Cas, questo me lo porto a casa." Ammisi stringendo il quaderno tra le mani.

"Beh? Ce ne andiamo adesso?"

Alzai gli occhi al cielo sbuffando sonoramente ed iniziando a camminare verso l'uscita. Ripercorremmo tutto il corridoio e le scale ritrovandoci nell'atrio principale da dove eravamo entrate.
Nonostante avessimo visitato solamente una piccola parte di quel posto, mi era rimasto comunque difficile orientarmi e di sicuro l'immensità di quel luogo, composto solamente da corridoi, ai miei occhi, tutti uguali tra loro, non aveva di certo facilitato il mio senso dell'orientamento già scarso per conto suo.

"El, la porta." bisbigliò Cassie, bloccandosi sul posto.

"È sempre lì, Cas." risposi ovvia indicandola.

"No, tu non capisci, noi l'avevamo chiusa e adesso guarda."

Aperta.
La porta adesso era aperta.

Respira Eleanor respira.

"Sarà stato il vento ad aprirla Cassie, dai andiamocene." farfugliai avviandomi verso il portone.

Cassie non rispose ma sapevo già a cosa stava pensando. Rabbrividì al solo pensiero che forse non eravamo le uniche in quell'ospedale abbandonato.

Solo un matto ci entrerebbe e di matti ce ne erano più che a sufficenza.

Inutile mentire sul fatto che non appena superammo l'uscita sentì subito quella strana sensazione che si ha quando qualcuno ti osserva intensamente, ardentemente.

No El, ti stai solamente immaginando cose che non esistono.

Asylum; Ashton Irwin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora