Zugzwang

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Don't tell me the truth
Tell me that it didn't happen
There's been a mistake
There's been a misunderstanding

Mary scivolò sul materasso e fissò gli occhi sul baldacchino. Azzardò uno sguardo alla propria sinistra, dopodiché tornò a guardare dritto davanti a sé. Cercò di concentrarsi sulle ombre che si formavano tra le pieghe delle tende vermiglie, ma accanto a sé avvertiva chiaramente il calore della pelle di Sirius e nella stanza c'era un silenzio tale da permetterle persino di contare i respiri che lui esalava pian piano.
Fece vagare la mente su ciò che era appena successo, mentre sentimenti e pensieri totalmente opposti iniziavano a ronzarle in testa, schiacciandola con il loro peso. Euforia, confusione, piacere, preoccupazione... e la cosa peggiore era che non sapeva quale fosse a prevalere.
Anche sforzandosi, riusciva a malapena a dare un ordine cronologico agli eventi di quel pomeriggio. Era corsa lì alla ricerca di James, per sfogarsi con lui su ciò che era accaduto con Dylan, ma al suo posto aveva trovato Sirius. Poco alla volta, tutto aveva finito per confondersi nello sfondo e l'unica cosa che era rimasta nitida, dannatamente trasparente, era la sensazione delle mani di Sirius prima sulle sue ginocchia, poi sulle sue spalle e infine sul suo viso. E quando lui aveva posato le labbra sulle sue, si era lasciata andare ed aveva smesso di pensare razionalmente.
Bastò un secondo, e tornò tutto a galla. Aveva perso il conto di tutte le volte che si era guardata allo specchio e si era ripetuta che finiva lì, che qualunque stupida cotta avesse avuto per Sirius era morta e sepolta. Gli aveva dato consigli su dove portare la ragazza di turno, come convincerla ad uscire con lui e addirittura come lasciarla. Perché era così che si comportava un'amica.
Un'amica non si lasciava stringere come aveva fatto lei, non si lasciava baciare come aveva fatto lei. Alla fine, dopo anni passati a negare e a nascondersi, aveva finito per commettere l'errore in cui si era ripromessa di non cadere. Era bastato che lui la baciasse, per farle sentire uno strano calore partire dal punto che lui aveva sfiorato con le sue labbra e arrivarle al petto ad una velocità disarmante. Non lo aveva fermato, ma si era stretta a sua volta a lui, aggrappandosi alle sua spalle come ad un'ancora, e non l'era neanche venuto in mente di scansarsi e dirgli di no. Era stato tutto così naturale, baciarlo e scordare tutto il resto. Era stato così facile e non riusciva a capire perché, ora, dovesse sembrarle tutto così dannatamente complicato.
Si girò sul fianco sinistro e fece scorrere gli occhi sul profilo di Sirius, sdraiato a pancia in su con le palpebre abbassate. Sembrava quasi che stesse dormendo, ma sapeva che non era così. Ne ebbe la certezza quando lui aprì piano gli occhi, rimanendo immobile per qualche secondo prima di voltarsi a sua volta verso di lei. I loro volti erano così vicini, entrambi appoggiati sul cuscino candido, che il respiro di Sirius si andava ad infrangere contro il suo viso.
Lui non disse nulla, e lei non sebbene dire se fosse meglio o peggio.
In fondo, non sapeva neanche in cosa sperava. Una parte di lei non desiderava altro che chiudere gli occhi e rimanere lì, accanto a lui, un'altra parte di lei avrebbe voluto alzarsi in fretta e e scappare via, il più lontano possibile da Sirius. L'unica cosa che riuscì a fare, sotto lo sguardo placido di Sirius, fu tirare leggermente più su il lenzuolo, coprendosi meglio.
Lui seguì i suoi movimenti in silenzio, ma alla fine non riuscì a trattenere un sorriso. Mary sapeva che non la stava prendendo in giro, ma lei sentì la voglia di scomparire accentuarsi.
«Cos'abbiamo fatto?» esalò infine, senza cercare una risposta vera e propria.
«È una domanda a trabocchetto?» ribatté Sirius, e la sua voce le sembrò stranamente incerta.
Mary non aggiunse altro, ma si girò nuovamente sulla schiena e riprese ad osservare i ghirigori dorati delle tende. Prese un respiro e chiuse gli occhi, ma quando li riaprì non era cambiato nulla e le emozioni che stava provando erano ancora lì.
Sirius si mosse appena e involontariamente le sfiorò la coscia con il ginocchio. Bastò quello a farle tornare in mente la sensazione delle dita di Sirius sulla sua pelle: sul suo viso, sulla sua schiena, sui suoi fianchi, sulle sue gambe... Mary chiuse nuovamente gli occhi, stavolta con più forza.
Tra le braccia di un ragazzo, non aveva mai provato nulla che si avvicinasse a ciò che aveva sentito quando Sirius l'aveva stretta a sé. Non c'era stata fretta, né smania, anzi, il tutto era stato più dolce di quanto avrebbe potuto immaginare. Si era sentita come in una bolla, una bellissima e dolcissima bolla, e le sarebbe piaciuto potersi sentire in quel modo di nuovo.
Cercò di regolarizzare il proprio respiro, di tranquillizzarsi, ma improvvisamente sentì dei rumori prima farsi sempre più vicini e infine attutirsi un po' alla volta.
Il motivo che l'aveva portata in quella stanza le tornò in mente e in quel momento desiderò solo sparire. Teoricamente non aveva tradito Dylan, ma questa consapevolezza non bastava a placare i suoi sensi di colpa. Erano stati insieme sette mesi, e dopo neanche due ore da che si erano lasciati lei si era gettata tra le braccia di Sirius. Di Sirius.
Aveva provato in tutti i modi a smettere di pensare a lui se non come amico. In fondo conosceva Sirius, e sapeva che non era mai stato particolarmente interessato ad avere una relazione: aveva sempre preferito non buttarsi in qualcosa di serio, così che una volta finita ognuno potesse andare avanti per la propria strada in tranquillità. L'unica ragazza che avesse mai messo su un piedistallo era sempre stata lei, perché la reputava la propria migliore amica.
Mary si passò una mano sugli occhi, chiedendosi perché non potesse bastarle essere quello per lui: la migliore amica. E la risposta a quella domanda la conosceva già, in realtà, e ciò non faceva che peggiorare le cose.
Cercando di mostrarsi tranquilla, Mary si tirò lentamente a sedere. Individuò i propri pantaloni a terra insieme al maglione, mentre tutto il resto era sopra le coperte. Si allungò in avanti per afferrare il proprio reggiseno, dopodiché si sporse fuori dal letto per prendere anche il maglione, tentando di non fare a caso allo sguardo di Sirius fisso sulla sua schiena.
Senza dire nulla Mary si infilò il reggiseno, e non appena ebbe qualche problema con il gancio Sirius ruppe il silenzio che era sceso tra di loro.
«Vuoi una mano?» le domandò, solo vagamente ironico, ricevendo in risposta solo una rapida occhiata.
Sembrava così calmo, tranquillo, e lei desiderò con tutta se stessa poterlo emulare. Si ritrovò a pensare che, forse, quello non era che un segno di quanto fosse diverso il valore che loro due davano a ciò che era appena successo.
«Qual è il problema?» chiese Sirius, tirandosi a sua volta a sedere e posandole una mano sull'avambraccio.
Lei si irrigidì all'istante, mentre sentiva le dita di Sirius premere appena contro la sua pelle, e girò il viso verso di lui.
«Nessun problema» rispose, usando il tono più indifferente possibile.
«Fino a un attimo fa sembrava che avessi appena visto un Thestral» le fece notare lui, aggrottando le sopracciglia. Per quanto stesse cercando di mostrarsi distaccato come suo solito, non ci riusciva: non con Mary lì, a pochi centimetri da lui, con gli occhi grandi e la pelle arrossata dove l'aveva baciata e accarezzata.
«Diciamo che non mi succede ogni giorno di andare a letto con uno dei miei migliori amici» ribatté Mary, sfuggendo alla sua presa ed infilandosi il maglione. Questo le ricadde largo sul busto, ma la coprì ai suoi occhi come lei aveva sperato.
«Questo neanche io» ammise Sirius, piegando un ginocchio e poggiandovi il gomito. Affondò il mento sul palmo della mano e piegò il viso verso di lei. «Però non è stato male...»
Mary alzò gli occhi al cielo, evitando che lui potesse leggervi alcun turbamento.
«Vuoi dirmi che non ti è piaciuto?» indagò Sirius, nel tentativo di riempire il silenzio che continuava ad avvolgerli fin troppo spesso.
«Non sto dicendo-» sbottò lei, prima di sbuffare. «Oh, non è quello il punto!» continuò, cercando di calmarsi. Certo che le era piaciuto, ma non lo avrebbe mai ammesso.
«Qual è il punto, allora?»
«Il punto è che noi due siamo migliori amici» gli fece notare Mary con tono ovvio. «Questo complica le cose, non dovrebbe succedere tra migliori amici».
«Veramente il tuo migliore amico è James» ribatté Sirius, facendo un cenno con il capo verso il comodino di James: c'era una foto incorniciata, in cui Mary era a cavalcioni sulla sua schiena e teneva alto un Boccino d'Oro, impedendo a James di prenderlo.
«Haicapito cosa intendo» sospirò Mary, guardando dritto davanti a sé.
«Sì» disse Sirius, senza staccare gli occhi dal suo volto. «Ma non deve complicarsi nulla. Non voglio che qualcosa cambi, tra noi due, non voglio rovinare niente».
Lei girò il viso verso di lui e piegò le labbra in un piccolo sorriso. «Qualcosa è già cambiato, però. Siamo andati a letto insieme».
«Lo so, ma questo non deve per forza essere un problema» ribatté Sirius con enfasi. «Questo non cambia...». La voce si affievolì all'improvviso, quando si rese conto che quello aveva cambiato tutto. Perché anche guardandola in quel momento, le gambe ancora sotto le lenzuola e il maglione infilato alla bell'e meglio, avrebbe voluto solo stringerla un altro po' a sé e no, non come avrebbe potuto fare un amico.
Il sorriso di Mary si fece un po' più triste. «Sì, Sirius» mormorò lei, arrivata alla sua stessa consapevolezza e ignorando il fatto che anche lui, in realtà, era combattuto. «Questo cambia le cose».
«E quindi?» domandò lui.
«Quindi dobbiamo cercare di comportarci normalmente e dimenticarci cos'è successo» rispose Mary, stringendosi le ginocchia al petto. «E nessuno dei due deve farne parola con nessuno, va bene? Con nessuno, neanche con James».
Sirius rimase in silenzio per qualche secondo, spostando lo sguardo dietro di lei, come se ci stesse pensando su. Ed effettivamente era proprio quello che stava facendo.
Per quanto avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno, soprattutto con James, sapeva di non poterlo fare. Forse se le circostanze fossero state diverse sarebbe andato da James e con un sorriso gli avrebbe detto cos'era successo, ma di certo non poteva andarci a dire «Ehi, sono andato a letto con Mary, però adesso amici come prima, eh». Non poteva farlo per due motivi: innanzitutto perché James lo avrebbe buttato dalla Torre di Astronomia se avesse anche solo osato torcere un capello dalla testa di Mary, figuriamoci andarci a letto, e in secondo luogo perché lui comunque non avrebbe trovato le parole giuste. Definire Mary come una semplice amica già non era stato facile, nell'ultimo periodo, ma adesso gli sembrava assolutamente impossibile.
«Perché, cos'è successo? Di cosa dovrei parlare con James?» disse allora, nonostante tutto. «Io non ricordo nulla. Forse non era chissà cosa».
Mary gli lanciò un'occhiata in tralice prima di sbuffare e alzare gli occhi al cielo. «In effetti, non è che sia stato qualcosa di memorabile» mentì, mordendosi il labbro inferiore per nascondere un sorrisetto.
«Bene...» sussurrò Sirius, guardandola tirare distrattamente su i capelli, scoprendo il collo pallido, prima di farli ricadere sulle spalle. «Facile da dimenticare, quindi».
«Semplici amici tra cui non è mai successo nulla» ribadì Mary, il viso rivolto verso il suo.
«È quello che siamo sempre stati» convenne Sirius, annuendo. «No?»
Mary annuì e sospirò, sollevata, rendendosi conto solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. «Grazie» bisbigliò, un lieve sorriso sulle labbra ancora arrossate.
Lui ricambiò quel suo sorriso, prima di raddrizzarsi e poggiare la schiena alla testiera del letto. Mary seguì i suoi movimenti con gli occhi, studiando con attenzione la sua espressione alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, potesse aiutarla a capire cosa stesse pensando. Avrebbe voluto sapere cosa avesse pensato e provato mentre la baciava o gemeva contro la sua spalla, ma non glielo avrebbe mai chiesto. Non poteva farlo, o sarebbe stato come ammettere che per lei tutto ciò aveva significato molto più di quanto gli avesse lasciato intendere.
Sirius tornò a guardarla dritta negli occhi, un guizzo strano nello sguardo.
«Lo fai per Goldstein?» le chiese, senza alcuna inflessione nella propria voce, riportandola alla realtà.
«Come?» fece Mary, presa in contropiede.
«Non vuoi che si sappia perché non vorresti che lui lo venisse a sapere» le spiegò, e sembrava più un'affermazione che una domanda. «Ha senso» ammise poi, sebbene anche solo l'idea di una loro rappacificazione gli facesse venir voglia di prendere a calci qualcosa.
Lei sgranò gli occhi, e parlò prima di riuscire a trattenersi. «Non è per questo».
Sirius inclinò il capo e da come la guardò Mary capì di averlo stupito. Il suo viso era rimasto immobile, impassibile, ma i suoi occhi lo smentivano.
«Come no?» domandò lui, curioso. «Allora perché non vuoi che si sappia?»
Mary aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse quando capì che le parole non volevano saperne di uscire ed insinuarsi tra di loro.
Più domande lui le poneva, e meno risposte lei era in grado di dargli. Più lui parlava, più lei sentiva l'adrenalina abbassarsi e trasformarsi pian piano in stanchezza. Non voleva che si sapesse, perché non parlarne avrebbe potuto aiutarla a far finta che non fosse successo nulla. Forse sarebbe stato più facile andare avanti come se nulla fosse, in quel modo.
«Dylan non c'entra» si limitò a dire, parlando a voce bassa, mentre abbassava lo sguardo sulle coperte rosse. «Se siamo arrivati ad un punto del genere... non so quanto si possa fare... non so come si potrebbe tornare indietro da una cosa del genere».
«Be', posso capirlo» ribatté lui, mentre un sorrisetto dei suoi si faceva largo suol suo volto. «Perché accontentarsi di una Stellafreccia, quando hai provato una Nimbus 1100?»
Mary rimase interdetta e chiuse gli occhi, cercando di trattenersi in ogni modo, ma fu del tutto inutile.
«Sei la più grande testa di cazzo che io abbia mai conosciuto» sibilò, furiosa e amareggiata al contempo, scostando con decisione le coperte e poggiando i piedi a terra.
Raccattò le proprie mutande dal fondo del letto e se le infilò velocemente, facendo attenzione a non esporsi troppo davanti agli occhi di Sirius per l'ennesima volta nell'arco di quel pomeriggio.
In quel momento aveva solo una gran voglia di buttarsi sul proprio letto, tirare le tende del baldacchino e nascondersi dal resto del mondo. Sentiva il nodo allo stomaco farsi più stretto secondo dopo secondo, con l'amarezza che cresceva di pari passo. Per un attimo, guardandolo negli occhi mentre le chiedeva perché non volesse farlo sapere a nessuno, aveva pensato che forse avesse avuto un significato anche per lui. Per un attimo ci aveva creduto. Per un solo, dannatissimo attimo... lei ci aveva sperato.
«Dai, Mary, scherzavo...» disse Sirius, tentando di difendersi, mentre scattava di nuovo dritto e si spostava dal lato del letto su cui era seduta lei. Quando allungò una mano e le sfiorò il braccio, Mary se lo scrollò di dosso e scattò in piedi con una rapidità disarmante.
«Per una volta potresti evitare di scherzare?» lo riprese, abbassandosi velocemente per raccogliere i propri pantaloni e infilarseli in fretta. «Tu scherzi sempre, va benissimo, ma almeno per questa volta... non potresti evitare? Ti sembro divertita, forse? Sto ridendo?»
Sirius scosse la testa e si mise seduto sul bordo del letto, i piedi poggiati alla moquette e i gomiti sulle ginocchia. Si passò le mani tra i capelli, prima di affondare il mento su un palmo e tornare a guardarla.
«Scusami, ma neanche io so come gestire questa cosa!» sbottò, sbuffando una risata. «Ho fatto una battuta perché stavo solo cercando di alleggerire tutta questa tensione. Era solo una battuta, per Merlino!»
Mary strinse i pugni, le braccia tese e rigide lungo i fianchi, non riuscendo a ribattere in alcun modo. Sapeva che se avesse aperto bocca avrebbe finita per prendersela con Sirius, e non era giusto. «Vuoi che non ci scherzi?» domandò Sirius dopo un po', scandendo bene le parole e cercando di non alzare la voce. Era perfettamente consapevole che, se avessero davvero litigato, poi l'avrebbe ricercata per chiarire e forse era meglio se per qualche giorno si tenesse a distanza da lei.
«Voglio che non se ne parli più» rispose Mary, atona, sentendosi vuota come mai prima di allora. «Ne abbiamo già parlato. Oggi non è successo niente. Dimenticatelo».
«Oh, smettila!» la riprese Sirius, iniziando ad infastidirsi. «Non posso mica dimenticarlo con un semplice schiocco delle dita!»
«Provare non ti costa nulla» ribatté lei, cocciuta.
«Quando fai così vorrei davvero prenderti e sbatterti la testa contro la parete» replicò Sirius, sbuffando una risata allibita mentre scuoteva la testa.
«Sta' tranquillo, la cosa è reciproca» ci tenne a precisare Mary, che nel frattempo aveva preso le sue scarpe e se le stava infilando. «Mettiamoci una pietra sopra e basta. Se non vuoi dimenticarlo, va bene, fai come vuoi, ma non una parola con nessuno».
Sirius sospirò e sentì le proprie spalle afflosciarsi. All'improvviso sentì l'impellente necessità di sdraiarsi di nuovo e rimanere sotto le coperte per ore, perché più parlava con lei e più si sentiva strano, pesante.
La voce di Mary gli giunse quasi ovattata: «Sirius, per favore».
Lui poggiò le mani sul materasso, stringendone i bordi, ed annuì senza guardarla.
«Ti ho già detto che non ne parlerò con nessuno» disse, mentre afferrava la maglietta del proprio pigiama e la indossava. «Ora dovresti andartene. Gli altri dovrebbero tornare a breve» aggiunse dopo aver visto l'ora sull'orologio del comodino.
Mary lo guardò fisso, gli occhi quasi sbarrati, sentendosi la gola secca.
Le parole di Sirius e il suo tono distaccato le fecero venire voglia di correre e fuggire via, ma non ci riusciva. Era come se i suoi piedi non volessero saperne di muoversi e portarla via da lì. Continuò a guardarlo, mentre lui si rivestiva con movimenti lenti e misurati, e dovette sbattere più volte le palpebre per fermare le lacrime che stavano minacciando di uscire.
Forse avrebbe potuto rimettersi sul letto, seduta accanto a lui, posare di nuovo le labbra sulle sue e vedere se sarebbe cambiato qualcosa. Avrebbe potuto provare a dare un ordine ai propri pensieri e parlarne con lui, per togliersi quel fardello e, soprattutto, per avere un qualche tipo di risposta da lui. Sirius alzò nuovamente gli occhi su di lei, e Mary deglutì a fatica.
Nessuno dei due disse nulla, e tutte le parole non dette cominciarono a pesare sulle loro spalle come macigni.
«Oggi ho visto Evans ad Hogsmeade. Sembrava che le fosse morto il gatto» disse Sirius dopo qualche tempo. «Dovreste chiarire. Ci state male entrambe, ed uno come Piton non ne vale la pena». Mary si riscosse e, una volta che ebbe metabolizzato quanto le aveva detto, annuì.
«Lo farò» rispose, la voce roca. «Grazie».
«Dovere» fu la sua semplice replica, accompagnata da un sorriso sardonico. «Dopotutto siamo amici, no?»
Sentirselo dire fu ancora peggio che pensarlo. Amici.
«Certo» fece lei, abbozzando un sorriso incerto, mentre si avvicinava alla porta. «Amici».
Sirius alzò un piede e si sbilanciò in avanti, come se volesse seguirla, ma alla fine rimase dov'era. Si appoggiò ad una delle colonne del suo letto ed alzò una mano in segno di saluto.
«Ci vediamo a cena» le disse, le braccia incrociate al petto.
«Sì... ci vediamo dopo».
E con quelle ultime parole, Mary uscì e si chiuse la porta alle spalle.

Sotto La Pelle [Malandrini, 1977-1978]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora