Prologo.

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Bum-bum-bum-bum-bum. Il suono dei battiti accelerati del mio cuore ha ormai invaso la mia testa.

Il fiato diviene corto; le braccia si ancorano intorno alle gambe; la testa si nasconde tra le ginocchia; l'angolo tra i due muri della mia cameretta diviene un rifugio momentaneo; il mio intento di cullarmi per trovare un po' di sollievo, per provare un po' meno paura, non arriva a destinazione.

Le urla di un uomo qualunque, provenienti dal piano di sotto, e i singhiozzi rumorosi di mia madre lacerano la porta serrata della mia camera.

Sento rumori sordi ma ovattati, che mi testimoniano che l'uomo sta picchiando mia mamma.

E io so perché. Ho solo 8 anni, non dovrei saperlo, non dovrei capire niente di tutte queste cose, ma, con una madre come la mia, a 8 anni già sai come va il mondo.

Aspetto che tutto finisca, continuando a cullare me stessa mentre il mio corpo decide di voler iniziare a tremare. E più tremo più ho paura, immaginandomi come sarebbe se un giorno le cose non andassero a finire come vanno sempre, e cioè con la vita normale che riprende a funzionare come prima. E se un giorno finisse tutto? Se un giorno questi avvenimenti portassero alla morte di mia madre? Perché sì, ho 8 anni, ma già so che cose come quelle che girano in casa mia possono portarti al collasso.

Aspetto e aspetto. Tutto finisce, il silenzio, ancor più gravoso dopo momenti di terrore, come quando arriva il sereno dopo una rovinosa tempesta, invade la stanza e le mie ossa.

Ora posso muovermi, ma non lo faccio, non lo faccio subito: rimango immobile ad ascoltare il silenzio ancora per abbondanti minuti, finché non decido che devo pur dare una svolta alla mia condizione attuale.

Con le gambe ancora tremanti, mi alzo da terra e mi faccio coraggio ad avanzare, anche solo a piccoli passi, verso la porta della camera, poi verso le scale, poi verso la cucina al piano di sotto.

Ed è lì, è lì, che lo vedo. Sempre lo stesso spettacolo, sempre la stessa scena: mia madre stesa a terra con ancora i segni delle percosse evidenti sul suo esile corpo. Il braccio sinistro incastrato sotto di lei, quello destro steso verso una bustina.

Una bustina con dentro qualcosa, qualcosa di bianco.

La rovina della mia intera esistenza.

Non conosco mio padre, forse era uno dei tanti spacciatori con cui mia madre va a letto, non avendo molto denaro con cui riuscire a pagarsi la droga da cui è dipendente.

E poi accadono cose come questa che è accaduta oggi. Lei e l'uomo di turno, completamente fuori dalle loro stesse teste per via di quella maledetta sostanza, litigano, arrivano alle mani, e mia madre continua a prendere quella roba, forse per non sentire il dolore, o fisico o mentale.

Non so perché lo fa, non gliel'ho mai chiesto. So solo che ogni volta esagera, e finisce per avere una crisi che la porta a questo: un cadavere con gli occhi buttati all'insù e la bocca aperta, priva di sensi e di alcun tipo di cognizione.

Provo ad avvicinarmi, ancora una volta a passi lenti. Mi siedo sui talloni e poggio delicatamente una mano sul suo braccio steso, provando a smuoverlo un po'. Ma non accade nulla, e lei continua a non svegliarsi. Allora aumento l'intensità della forza, arrivando a strattonarla nell'intento di farle aprire gli occhi.

Forse dovrei chiamare l'ambulanza.

E se non si svegliasse?

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