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CAPITOLO 20 - L'OSCURITÀ AIUTA

Aprii gli occhi. Era buio e le mie gambe e braccia toccavano il pavimento. Era freddo e sporco, probabilmente c'erano schegge di vetro. Ormai ero abituata a strani luoghi per dormire. Ma la domanda era come ero arrivata lì? Non ricordavo nulla di violento.
Anzi, un bacio. Con Klaus.

Mi guardai attorno e notai che era una piccola stanza buia perché ad illuminarla c'era solo una finestra affacciata ad un corridoio con poca luce. Ero immersa in una nebbia di oscurità ad ogni angolo.

Non era un buon segno, proprio per niente. E non avevo ancora ricevuto il famigerato incontro con gli Originali che, secondo la mia esperienza personale, erano stati a rinchiudere una povera ragazza come me in quel luogo. Poteva essere un sotterraneo di qualche palazzo o casa, soprattutto la seconda ed era lasciato a se stesso.

Un pensiero mi sfiorò la mente. Un ricordo.
Era identico alla stanza dove si trovavano le mie amiche. Si, proprio quella. Non ero sicura fosse la stessa ma era in quel luogo di certo. Ero a casa di Klaus, lui era vicino e forse, con un po' di speranza, anche le ragazze. Magari in una stanzetta accanto ma c'erano. Non vedevo altro ipotesi.

Mi sembrava di essere ritornata a quella notte, quando tutto ebbe inizio. Dopo secoli l'incontro peggiore e così a seguire tutto il resto. Ma non capivo il perché del mio ultimo ricordo della notte o scena che avevo vissuto consciamente: il bacio e quella strana conversazione.

Non volevo scappare o altro. Ero sicura di non aver opposto resistenza ma anche di non aver attaccato nessuno di loro, né fisicamente né verbalmente. Quindi avevo un vuoto enorme o semplicemente non avevo fatto nulla sul serio, ma ero stata punita lo stesso. Magari era progettato da mesi o settimane e io non lo sapevo.

Probabile.

L'importante era resistere ancora, respirare e vivere fino alla fine. Potevo dire di aver vinto la maggior parte delle battaglie nei secoli, di conseguenza non potevo lamentarmi.

« Sei proprio messa male. »

Una voce maschile. Mi girai verso all'oscurità più totale, doveva esserci una porta o qualcosa che io non riuscivo a scorgere nella mia posizione. Non capivo chi fosse ma l'avrei scoperto con un po' di pazienza. Abbassai lo sguardo.

« Ti stanno portando del cibo. O morirai di fame. »

Annuii. Anche se senza un motivo, quasi non ascoltavo le sue parole. Cibo? Avrei fatto di tutto per uscire da lì, anche fingermi morente, così che loro avrebbero dovuto soccorrermi all'istante. Era un momento ma sempre quello buono per darsela a gambe.

« Non ho fame. »

Sentii un respiro profondo. Annoiato.
Mi appoggiai alla parete dietro di me. Sentii la schiena rilassata, quasi mi ringraziava. Almeno potevo tenermi una minima scorta di forze, in caso di fuga immediata o anche solo per sopravvivere.

« Mangia e non replicare. »

Sentii un rumore metallico poi la porta aprirsi. Un'ombra avanzava verso di me ma era troppo buio per vedere chi fosse. La voce sembrava quella di Klaus ma non ne ero così sicura. Sentii un ululato dalla finestra e in quel momento mi tornò in mente qualcosa...

Flashback

Eravamo da cinque giorni in viaggio e sembrava non finisse più il tragitto dalla Bulgaria a Mystic Falls. Tornare al castello dopo anni, ormai non era più casa mia.

Potevo quasi dire di andare verso un castello sconosciuto, qualcosa che non conoscevo e persone che rappresentavano solo un lontano ricordo. Il passo del mio destriero da manto nero carbone, era lento e snervante così da rendere il viaggio ancora più lungo.

Non vedevo altro che boschi e fiumi da giorni, l'umidità nell'aria e il muschio ricopriva il terreno, così il sentiero si riconosceva appena e si confondeva con il resto.

C'erano solo due guardie apparentemente annoiate. Uno sembrava un uomo nobile di mezza età, in carne e montava quel povero cavallo come un vecchio mulo mentre l'altro era più giovane, più pauroso, nei suoi occhi ogni cosa era nuova e spaventosa. Bastava solo un fagiano uscire dai cespugli qua e là che se la sarebbe data a gambe levate.

Formavano davanti di me una graziosa pariglia, sentivo la stanchezza e la noia di quei cavalli. Al posto di galoppare andavamo ad un passo lento che mi faceva addormentare in sella.

È per la vostra sicurezza mi dicevano.
Si, lo capivo in parte ma stare mesi nel bosco non era poi così sicuro e andare ad un passo più cadenzato non era illegale.

Poi il tempo era quasi inesistente: i grandi e alti alberi coprivano interamente il cielo, facendoci dimenticare delle ore che scorrevano. Non riuscivamo a capire nemmeno se ci fosse il sole o il cielo coperto, solo le gocce di pioggia potevano darci una mano.

All'improvviso il cavallo del cavaliere davanti a me si alzò in un impennata. L'altro cavallo non esitò a seguire l'esempio mentre il mio era solo un po' irrequieto. Sapevo gestire la situazione in caso ma la mia preoccupazione era data non da quei due balordi in sella che tiravano le redini senza ottenere risultati, ma che cosa fosse di tanto spettrale da fargli impaurire in tal modo.

Tirai su il cappuccio del mantello per coprirmi il capo e con un gesto silenzioso presi un coltellino dalla cinta in cuoio. Ammetto che ero un po' scettica nell'andare per boschi selvaggi senza armi, potevano dire che c'erano quelle guardie appositamente per proteggermi ma al momento erano troppo occupati.

Decisi di dare una leggera pressione al costato del cavallo e galoppare via di lì. Non era sicuro quel luogo, ma nemmeno andarsene lo era. Non sapevo che fare ma decisi di usare la carta dell'istinto.

Per fortuna il cavallo non era per niente contrariato alla velocità, anzi si era quasi svegliato come se lo avessi colpito con un fulmine. Il solo problema era che non mi sentivo così sola...probabilmente non lo ero affatto ma non avevo il coraggio di fermarmi e guardarmi attorno.

O forse non serviva nemmeno che lo facessi. Il cavallo frenò.

Una figura coperta da un lungo mantello nero si presentò davanti di me e afferrò le briglie del cavallo, impedendomi di proseguire. Decisi di scendere ma guardandomi intorno non era proprio il caso. Non c'era solo quella persona ma altre, sempre coperti di stoffa nera.

Le facce rivolte verso il basso. Non vedevo nemmeno se fossero uomini o donne. Chi diavolo erano?  Pagani? Non mi ricordavo di aver sentito di mantelli e imboscate durante il giorno.

« Cosa vi porta qui? »

Una voce maschile. Pareva giovane nonostante il tono duro e freddo.

« Non voglio farvi del male. Stavo solo tornando dalla mia famiglia, al castello. Sono la figlia del re... »

Non capii perché lo dissi, forse poteva rassicurarli o semplicemente fargli capire che ero ricca abbastanza da pagare loro una cifra per lasciarmi andare. Però non volevo far loro del male, e nemmeno portarli al cospetto di mio padre perché sarebbero stati mandati al rogo per il prossimo banchetto.

Sentivo nell'aria una strana sensazione, quasi di conoscerli. Erano famigliari.

Si tolsero dal capo la stoffa e vidi uno per uno. Erano la maggior parte donne anziane e alcuni giovani ragazzi. Però erano così legati uno all'altro da parecchi elementi: stesso segno sul mento, piccolo ma rossiccio in confronto al colorito della pelle e avevano tutti una collana con una specie di cerchio e all'interno una stella.

« Forse possiamo darvi una mano, Davina. »

Lo guardai negli occhi: erano verdi con sfumature grigie. Non avevo mai visto una cosa del genere, enigmatica ed inquietante allo stesso modo, tanto da non far badare a me stessa quella sua affermazione.

« Come sapete il mio nome? »

Sorrise. Un sorriso amichevole.

« Sappiamo molte cose di voi che nemmeno sapete. Vi aspettavamo da molto tempo, Davina. »

Spazio autrice:
Scusate per l'assenza ma con la scuola avevo tanto da fare. Ditemi se vi piace questo nuovo capitolo e spero di finire presto il prossimo. 💙

Alla prossima!

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