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CAPITOLO 26 - INCUBO PEGGIORE

Oggi novità! Cambiamo punto di vista..
Al prossimo capitolo e buona lettura!

Quel ciondolo.

Mikeal in città.

Davina accanto a me.

Non capivo più nulla.

Ero confuso e troppo coinvolto da questa terribile situazione. E meno male che non mi ero cacciato in qualcosa di peggio,ad esempio un altro accordo con chissà chi.

La scena che mi proponeva era allettante: la mia famiglia riunita e la donna della mia vita pronta a rimanere. Costretta più che pronta. Lei era quello che si vuol dire un effetto collaterale.

C'era l'essere che odiavo di più nella vita davanti a me e questo mi confondeva.
Ero scappato così tante volte da lui che guardarlo direttamente negli occhi era una sorta di incubo misto a sogno.

Vedevo solo tanto autocontrollo in lui, non pietà o rancore. Pareva quasi si stesse trattenendo dal fare qualcosa: forse abbracciare sua figlia o ucciderci.

Lo conoscevo bene ma a volte mi sembrava non fosse abbastanza, mancava quella parte che mi serviva per distruggerlo.

Pensavo a una parte debole, quella che avrebbe fatto di tutto per una determinata persona. Ma chi era questa persona?

Sapevo solo di essere circondato dal bene e male, dalla sicurezza contro l'incertezza, la famiglia vera e quella che si era dimostrata essere una falsità.

Iniziai a tenere ancora di più il braccio di Davina tra le mani: quel contatto sulla sua pelle nuda e calda mi dava una sensazione di protezione. O forse meglio dire qualcosa di vissuto, che potevo capire e domare.

Ma nemmeno più di tanto, visto che molte volte mi aveva lasciato spiazzato. Vedevo solo la sua figura perfetta andare via a testa alta, fiera di sé e senza tanti giri di parole.

« Allora, vogliamo entrare? Non credo proprio che rimarrò qui fuori per il resto della notte. »

Ribatté Mikeal, accennando ad un passo; i suoi occhi guardavano ogni nostra mossa, le sue mani erano intrecciate alla catenina della collana ma erano agili abbastanza da respingere ogni tipo di attacco e quella giacca aveva molte tasche che potevano contenere di tutto, persino un paletto.

Pensai per un secondo di andare verso di lui e, con tutta la forza che avevo in corpo, colpirlo. Il mio corpo, con ogni sua singola cellula, bramava il suo cadavere ai piedi e voleva sentire il sangue che sporcava le mani e a gocce raggiungeva il suolo.

Non ritenevo sensato quel pensiero, anzi, era un suicidio in piena regola. Ma per fortuna sognare era uno dei miei hobby preferiti, e anche su una realtà così amara in bocca mi concedevo un lusso del genere.

Sentivo il bisogno di farlo ma non dovevo.

« Devi essere invitato per entrare... E nessuno vuole farlo, Mikeal. »

Disse Davina in un sussurro. Una punta di amarezza rendeva quel tono inquieto. Guardai l'uomo alzare lo sguardo al cielo, come offeso o semplicemente irritato dalla già conoscenza di quel vincolo.

Era seccato del fatto che sua figlia -mi veniva difficile dirlo, persino a me stesso - gli avesse negato così in cattivo modo l'accesso in casa nostra. Coraggiosa ma anche stupida, poiché ignorava la forza che Mikeal poteva esercitare su tutti noi.

Era forte, armato da qualche parte in quella macchina spaziosa e quel vestiario elegante e purtroppo un perfetto e addestrato cacciatore di vampiri e lupi mannari.

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