♣️19♣️

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Tre giorni senza mangiare, senza bere. Senza veder la luce del sole, solo quella della lampadina che ad intervalli mi permetteva di vedere. Stavo seduta con le gambe al petto per ore, sul pavimento, senza scarpe, con solo il completo che avevo messo credendo di andare in un nightclub. Il freddo si faceva sentire. Aspettavo. Non sapevo neanche io cosa o chi, ma attendevo. Discutevo con me stessa ad alta voce, per farmi compagnia e riflettere, ricevendo sguardi  di disprezzo da parte della guardia, che mi guardava dalla grata della porta. Ero costretta a stare nella stessa posizione per ore per colpa delle catene. Al minimo movimento i polsi e le caviglie mi bruciavano.
Sentivo che le forze mi stavano abbandonando pian piano. Non volevo dormire, perché volevo tenere tutto sotto controllo. Avevo delle occhiaie violacee sotto gli occhi a provare le ore di sonno perse.

Avevo chiuso per pochi secondi gli occhi per il mal di testa martellante, quando sentii due voci discutere dietro la porta. Riuscii a distinguere la voce di Max e allora chiamai il suo nome. I due uomini smisero di parlare e poco dopo la porta si aprì.
-Grazie di farmi visita Max!- dissi scrutandolo. Aveva come sempre il completo nero con la giacca per indicare la sua appartenenza al gruppo di Manuel. Mi guardava con occhi spenti, come se guardasse attraverso di me, per non guardarmi negli occhi.
Volevo fare la spiritosa, per dimostrare che non stavo soffrendo, ma dalle mie labbra uscii un sussurro.
-Aiutami- dissi cercando il suo sguardo.
-Non posso.- rispose lui schivando il mio sguardo girando il capo.
-Sono tua amica, siamo una squadra noi due. Quante cose che abbiamo fatto insieme in così poco tempo! Non mi puoi lasciare a marcire qua dentro senza fare nulla, io ti ho aiutato quando ne avevi bisogno.- dissi tirandomi su appoggiandomi alla parete. Era vero, lo avevo aiutato. Era dipendente da azzardo. Voleva vincere sempre di più, ma puntualmente ogni volta perdeva sul più bello. Imbrogliavamo come nessuno aveva mai fatto dentro al casinò. Nessuno ci aveva mai beccati. Eravamo una squadra della truffa, come diceva lui.
-Addio Harley.- mi rispose lui impassibile.
-Non puoi lasciarmi qui!- ribadii scioccata dalla sua risposta.
Lui però si girò dandomi le spalle e uscii dalla porta. Non smisi di gridare di liberarmi, finché capii che non sarebbe ritornato indietro e quelle richieste d'aiuto diventarono insulti.
-Sta zitta.- mi ammonì la guardia.

Dovevo andarmene da quel posto. Dovevo escogitare un piano al più presto. Continuai a gridare finché non mi fece male la gola. Mi accasciai sul pavimento, provocandomi altri tagli sui polsi per il movimento improvviso. Mi venne in mente un'idea geniale, ma pericolosa. Dovevo fingermi svenuta. Forse mi avrebbero buttato
nell' inceneritore credendomi morta, ma valeva la pena rischiare per la libertà. Mi accasciai a terra. Le braccia erano trattenute in aria dalle pesanti catene. Sentii i passi pesanti della guardia arrivare vicino me, allora chiusi gli occhi e mi lasciai andare totalmente.

Dovevo stare immobile e non dovevo fare strani movimenti per non destare sospetti, ma quando sentii le mie braccia e le mie gambe libere, non c'è la feci a resistere. Un' energia si impossessò del mio corpo. Appena la guardia mi tirò su dal pavimento riaprii gli occhi e con velocità mi liberai dalla sua presa. Mi sentivo bene, come se avessi ripreso miracolosamente le forze.
Mi puntò la pistola alla testa, ma fui ancora più veloce di lui e gliela presi dalle mani e sparai io il colpo, facendolo cadere a terra in una pozza di sangue.
Manuel era proprio sicuro della mia morte e che non sarei mai scappata, se aveva messo a controllarmi una guardia così debole e lenta. Uscii dalla stanza con passo svelto e mi ritrovai in un corridoio più illuminato rispetto alla stanza. In fondo al corridoio era presente una porta con un cartello che indicava l'uscita.

Pochi passi e sarei uscita dal capannone, se non fosse stato per la presenza di Manuel davanti a me.
-Dove credi di andare zuccherino.- mi disse lui, prendendo dalla tasca una pistola.
-Oh, stavo scappando.- dissi ingenuamente, prima di corrergli addosso. Schivai il primo proiettile e anche il secondo e mi ritrovai sempre più vicino all'uscita, sorpassando Manuel con un salto.

Ero troppo elettrizzata all'idea di scappare che non mi accorsi dell'ultimo colpo di Manuel. Il proiettile mi si conficcò nel retro della coscia. Gridai dal dolore e la follia che si era impossessata del mio corpo diminuì sempre di più. Mi fermai e mi toccai la ferita, tingendo la mano di rosso. La gamba cedette. In casi migliori ce l'avrei fatta a resistere, ma ero troppo debole.
Manuel approfittò della situazione e mi trascinò dai capelli fino alla cella. Mi rimise le cinghie, senza curarsi della scia di sangue che usciva copiosamente dalla mia gamba.
-Adesso morirai dissanguata stronza!- mi urlò in faccia, sputandomi addosso.

Mi ero fatta comandare dalla pazzia e come tutte le volte, avevo perso.

• ROTTEN •  {Harley & Joker}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora