XI - Rinascita (Parte 2)

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La sua voce distrugge il mio flusso di pensieri. Ha un tono irritato, quasi esasperato. Lo stesso tono che ho dovuto sorbire per tutto questo tempo.
Rimango impietrito di fronte la sua apparizione. Non avevo previsto che le cose andassero in questi termini. Secondo il mio piano avrei dovuto semplicemente prendere lo stretto necessario e andarmene, senza dovere rendere conto a nessuno e senza avere complicazioni di alcunché.
Invece sono faccia a faccia con mia madre, famelica di spiegazioni, che di certo non mi lascerà andare così tanto facilmente.
Cerco di temporeggiare e di sviare il discorso. Assumo un'espressione sicura e esordisco a mia volta con una domanda.
«Come mai già sveglia?».
«Ero già sveglia da un'ora. Non cambiare discorso: mi vuoi dire dove stai andando?». Ripete la sua domanda con un tono sempre più caustico.
Cerco di articolare qualche parola che possa reggere. «Andavo... Andavo a fare un giro». Immediatamente mi mordo la lingua. Che razza di scusa sarebbe "vado a fare un giro?". Davvero, Josh? Davvero non sai inventare di meglio?
Lo sguardo che mi rivolge mia madre non lascia alcun dubbio: nemmeno lei ci crede alle mie parole. Ma d'altronde chi potrebbe crederci?
«Un giro... Con chi?». Il suo tono duro e concitato mi fa capire che non può essersela bevuta.
«Amici...» rispondo io a testa bassa e senza troppa convinzione.
«Amici...» ripete in modo meccanico. «E chi sarebbero questi amici?» chiede con una punta di sarcasmo.
Non posso sopportare questa situazione. Mi altero leggermente e rispondo sgarbato. «Amici miei, non li conosci!».
Mi rivolge uno sguardo di ghiaccio. Pare ignorare il modo con cui mi sono rivolto e continua a tempestarmi di domande, sicuramente per mettermi alle strette e farmi cedere.
«Ah sì? E dove andrete? Prenderete un treno? Con quali soldi andrai?».
Rimango in silenzio, senza sapere cosa dire. Non avevo considerato una cosa del genere.
Mia madre non proferisce parola e noto i suoi occhi che si spostano dal mio volto a qualcos'altro. Qualcosa che avrei fatto meglio a nascondere subito. Il foglio con il messaggio.
La vedo che si avvicina e allunga la mano per afferrarlo. D'istinto io, più vicino e più rapido, riesco a precederla. Accartoccio il foglio in mano e lo nascondo dietro la schiena.
«Cos'era quel biglietto?» chiede gelida.
«Niente di importante...» biascico, senza nemmeno guardarla in volto. Provo vergogna e mi continuo a maledire per come sono andate le cose. Non avrei mai dovuto indugiare così a lungo scrivendo quel dannato messaggio.
«Josh, dammi quel foglio!». Il suo tono è perentorio.
Io stringo ancora di più il biglietto nella mia mano. Di una cosa sono certo: non voglio consegnarglielo, altrimenti non mi lascerebbe andare mai e poi mai.
Devo escogitare qualcosa alla svelta. Se non glielo do immediatamente capirà che ho qualcosa da nascondere. Se invece glielo porgo leggerà tutto ciò che ho scritto. Avrebbe dovuto leggerlo sì, ma quando io sarei stato lontano e irraggiungibile.
«Josh! Voglio vedere il foglio!». Questa volta la sua voce squarcia violentemente il silenzio del primo mattino.
Mi sento in scacco. Sono bloccato all'angolo. Un vortice di pensieri si genera nella mia mente. Percepisco la tensione che continua ad aumentare, invadendo ogni spazio del mio corpo.
Sto per aprire bocca per riuscire a rompere quell'assordante silenzio, quando una voce dall'aria innocente irrompe nell'ingresso.
«Che cosa sta succedendo?».
La figura di Mary si staglia nel mio campo visivo. Tiene gli occhi sgranati, come stesse  assorbendo a suo malgrado tutta la tensione che si è venuta a creare intorno a noi. Ciononostante non appare spaventata o preoccupata. Al contrario di me, che sto sudando freddo, mantiene un fare fermo. Che invidia.
«Perché urlate? Che cosa sta succedendo?» ripete con la sua solita voce angelica.
«Niente, tesoro, niente...».
Per l'ennesima volta assisto a questo improvviso cambiamento di umore da parte di mia mamma. Come è sempre accaduto in questi casi, sfodera un sorriso che rivolge prontamente a Mary, dimenticandosi che un secondo prima mi urlava contro.
Anche in questo caso il fato si prende gioco di me, facendomi sopportare fino alla fine questo dislivello che sussiste tra me e Mary, tra il fratello problematico e la sorella perfetta.
Avverto per un istante la rabbia montarmi addosso. Qualcosa nella mia mente scricchiola. I filtri che mantenevo prima ben saldi si stanno sgretolando a causa di quella scena così ripetitivamente nauseante.
Sempre Mary, sempre lei in mezzo, sempre lei che costantemente viene portata sul palmo di una mano senza alcuna ragione.
Portato al limite della mia sopportazione mi do dell'idiota: perché continuare a fingere? Perché continuare a mentire? Avevo previsto di scrivere un biglietto. Se voglio guadagnarmi la libertà devo tirare fuori le palle e porre fine io stesso a questa situazione.
«Allora, Josh... Mi dai questo biglietto?».
Non è una richiesta quella di mia madre, è un ordine dato con un tono indispettito. Sembra proprio che quando levi gli occhi da Mary e li ponga su di me seppellisca tutto l'affetto e la compassione che per lei erano erogate liberamente.
Mi raddrizzo la schiena e assumo un espressione truce, che mi riesce spontaneamente.
«Perché vuoi questo biglietto? Che cosa te ne fai?» domando in un tono carico di disprezzo.
Lei è sorpresa da questa reazione, sicuramente non si aspettava un atteggiamento del genere da parte mia.
«Lo voglio leggere» afferma con una calma apparente.
«Non è necessario! Te lo riassumo io». Faccio una pausa per assaporare per l'ultima volta la tensione che cresce sempre più.
«Me ne vado!».
Tre parole che riecheggiano nell'ingresso risuonano come delle catene spezzate. Catene che mi tenevano ancorato a questa casa e che non mi lasciavano andare. Da adesso non si torna più indietro.
Poso gli occhi sul volto di mia madre. Assume un'espressione divertita, come se non mi prendesse sul serio.
«Dai, Josh, mi sa che stai ancora dormendo! Prendi quella valigia e torna a letto!».
In cuor mio sento che quelle parole sono solo un palliativo. Sono certo che in fondo lei sappia che non sto assolutamente scherzando.
Non mi scompongo. Rimango fermo e le rivolgo uno sguardo di ghiaccio, segno che non sto scherzando.
Come avevo previsto, immediatamente l'espressione di ilarità che aveva dipinta in volto si dissolve, lasciando spazio alla sorpresa.
«Ormai ho diciotto anni e non sono più legato a te, anzi a voi» sentenzio, rivolgendomi anche a Mary che, in disparte, assiste alla scena con impassibile preoccupazione.
«Che cosa stai dicendo?!». Mia madre alza il tono di voce, visibilmente allarmata.
«Sto dicendo che vado per la mia strada» rispondo io, freddo.
Cala il silenzio. Una strana sensazione mi pervade. Non l'avevo mai provata prima, non avevo mai sperimentato qualcosa di simile.
Per la prima volta, da tempo praticamente immemore, avverto un senso di leggerezza. Il peso che mi portavo dentro grava sempre meno. Sto liberando finalmente tutto quello che da anni tenevo rinchiuso nella mia anima sofferente.
Mi sento possente, ed è una sensazione meravigliosa, come un vulcano inattivo da mille anni, che scatena la sua eruzione sprigionando tutto il suo potenziale distruttivo.
Senza ulteriori domande decido di andare fino in fondo e di liberarmi completamente di quel peso. Non mi interessano le conseguenze che scatenerò, non mi interessa come andrà a finire.
«Sono stufo di essere quello problematico, quello da giudicare. Per tutto questo tempo ho sopportato il fatto che perfino qui, in quella che dovrebbe essere la mia famiglia sono stato trattato come un cane. Non ho avuto sostegno, non ho avuto compassione, sono sempre stato considerato come uno da evitare, da denigrare, da escludere. Quindi, entrambe, andatevene direttamente a fanculo!».
Se fossi ancora prigioniero delle mie preoccupazioni, di certo avrei i sudori freddi, aspettando con ansia una replica brutale da parte di mia madre.
Invece inspiegabilmente mi sento tranquillo. Prendo qualche momento per osservare i loro volti. Occhi sgranati, bocca semiaperta. Sono indubbiamente stupite delle mie parole. Sembrano cadere dalle nuvole. Davvero non avevano idea di quello che avevo intenzione di fare? Davvero sono stati così cieche per tutto questo tempo da non vedere che cosa stava capitando?
Questo carica ancora di più la rabbia che ho in corpo e che, sfogandola man mano, mi alleggerisce l'animo.
Osservo impassibile i loro volti che si tingono piano piano di lacrime. Sinceramente non nutro compassione, non riesco a immaginare nemmeno un istante di pentirmi delle mie parole. È la mia rivincita, è la mia rinascita, e quello che provo ora è pura e semplice euforia.
Distolgo lo sguardo dai loro volti e faccio per voltarmi, quando avverto la mano di mia madre che si posa sulla mia spalla.
«Josh, io...».
Immediatamente una voce interiore interviene. "Sta cercando di dare delle giustificazioni, sta cercado disperatamente di farti restare! Bloccala immediatamente, se non vuoi che ti costringa a farti desistere!".
Obbedisco senza discutere.
«No. Non voglio giustificazioni, ormai ho deciso! Non voglio essere fermato!».
Le rivolgo un'occhiata di ghiaccio che la costringe ad allontanarsi.
«Che cosa sei diventato...» sussurra Mary con tangibile orrore.
«Quello che sono ora sono solo cazzi miei!».
Di nuovo quell'adrenalinica sensazione di piacere mi pervade.
Qualcuno potrebbe dire che sono un mostro a trattare così i miei stessi familiari. Sbagliano. Sbagliano e non se ne rendono conto. I mostri sono coloro che mi hanno portato a questo punto!
Se mia madre mi avesse trattato come ha sempre trattato Mary, adesso starei dormendo beatamente nel mio letto, ansioso di trascorrere un'altra giornata all'insegna delle agognate vacanze estive.
Invece eccomi qua, in procinto di una svolta vitale, costretto a prendere in mano il mio destino. Eppure, assaporando il mio riscatto, questa situazione pesa molto meno. Anzi, a tratti é piacevole.
Il sorriso che ho ora non lo avevo mai esternato. L'euforia mi invade del tutto e vedo finalmente uno spiraglio di luce.
Mi rivolgo per l'ultima volta verso la porta di ingresso e la apro, incurante del pianto che odo alle mie spalle. Lacrime di coccodrillo, nient'altro. Sono sicuro che non mancherò a nessuno e che nessuno mi cercherà.
«Josh...». L'ultimo tentativo dell'arpia per riuscire a farmi rimanere nella gabbia. Non ci casco, non mi farò ingannare. Sono libero.
Chiudo finalmente la porta alle mie spalle e mi dirigo verso il mio destino, respirando a pieni polmoni l'odore delle catene spezzate che mi tenevano ancorato a questa triste esistenza.

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