Ed eccomi qui dunque. Dopo poco tempo quel senso di libertà che avevo si è completamente affievolito. Si è spento come una candela che piano piano si consuma, sciogliendosi lentamente.
Chissà a che cosa pensavo, chissà che cosa mi aspettavo veramente.
Davvero avrei creduto che le cose sarebbero andate semplicemente così? Che il mondo non avrebbe ancora cospirato contro di me? Non prendiamoci in giro... a quanto pare è il mio destino essere umiliato costantemente e non potere in alcun modo raggiungere la felicità.
Quando sono partito con le migliori intenzioni non mi sarei mai immaginato di provare questa sensazione: pentimento.
L'immaginazione che mi teneva vivido il desiderio della fuga è velocemente cozzata con quella che è una crudele realtà senza scrupoli.
La pacifica atmosfera del vespro è scandita dal dallo sciabordio delle onde di un mare placido che si infrangono sulla banchina del molo.
Con mio grande sollievo sento le campane che suonano in lontananza. Finalmente sono le 20. Finalmente questo turno massacrante al porto si è concluso.
Appoggio le casse che stavo trasportando dal molo al magazzino e tiro un sospiro per recuperare il fiato.
Non ce la faccio più. È da questa mattina che scarico senza sosta pesanti casse dalle mani. Se solo non fossi così gracile non avrei terminato la giornata con il cuore in fase di collasso.
«Ehi splendido! Non mi sembra tu abbia ancora finito».
Mi volto. In lontananza scorgo Paul, o meglio il signor McCohen - manco si trattasse del Presidente - che mi fa cenno di avvicinarsi.
Mi morsico la lingua per trattenermi. Che diamine avrà ancora? E' tutto il giorno che sto sgobbando per lui, è quasi un mese che sono in questo cesso di posto a farmi il culo per uno così e ancora ha da ridire?
Mi avvicino, sotto gli occhi degli altri operai, stringendo i denti e con un'espressione che mi sforzo di far sembrare neutra.
«Hai ancora un carico da portare in magazzino! Non crederai mica di svignartela così presto?» irride con fare tirannico.
Tutti i giorni è sempre la stessa storia. E' umiliante. Mi dà sempre degli orari che non mantiene. Sono costretto a fare lo schiavo per due spiccioli, a malapena riesco a pagarmi l'affitto di quella topaia in cui vivo.
«Che cazzo mi guardi? Lavora, altrimenti la paga di oggi te la puoi scordare!».
«Ma lavoro come un cane da questa mattina! Avevi detto che il turno finiva alle 20!» cerco di ribattere, trattenendo tutta la rabbia che covo verso quell'essere infimo.
«Il capo sono io! Decido io quando finisci il turno, Connelly! E non osare mai più darmi del "tu". Per te sono il signor McCohen!»
Non ce la faccio più. Sono distrutto dal lavoro di questa giornata. Sono incazzato nero per essere caduto così in basso, per essermi ritrovato a dover lavorare in questo dannato porto! E il pensiero di dovere essere sfruttato ancora fino a tarda notte per due spiccioli mi fa esplodere.
«Ma chi cazzo ti credi di essere? Sei solo un povero stronzo che si diverte a dare ordini! Smettila di darti tante arie!».
Lo scorgo mentre sul suo volto si dipinge un'espressione di collera. Abituato com'era a stare sul piedistallo dando ordini a tutti, sicuramente non ha mai ricevuto un insulto. Beh, c'è sempre una prima volta.
Sento gli occhi di tutti quelli attorno a me che mi fissano. Anche se non posso vedere i loro volti avverto il loro stupore. Davvero nessuno si era mai ribellato a una testa di cazzo simile?
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Nemesi
AvventuraSequel de "Il Prestigiatore" Avete presente quando si dice "essere in conflitto con se stessi"? Beh, Josh Connelly sa meglio di tutti che cosa significa. Il finale de "Il Prestigiatore"non pareva contemplare una possibile continuazione (leggere per...