XV - Baratro

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Questo locale non sembra di certo pieno. Ai tavoli non ci sono più di tre persone in tutto, chine su dei bicchieri riempiti con un qualcosa che non so identificare.

Mi siedo con calma al banco e rimango in silenzio.

Sento gli sguardi degli altri clienti trafiggermi da parte a parte. Evidentemente sono fuori luogo per i loro standard, ma più di tanto non mi importa.

«Che cosa ti porto?». Una voce grave ma apparentemente cortese mi fa ridestare.

Sollevo lo sguardo. Quello che pare essere proprio il barman è comparso davanti a me con i palmi poggiati sul bancone. Una rapida occhiata mi suggerisce che siamo pressocché coetanei, anche se la folta barba che gli maschera il viso lo fa sembrare più vecchio.

«Boh» faccio io incerto. «Dammi un'aranciata!». Nemmeno il tempo di avere finito di dire la frase che tutto il locale esplode in una fragorosa risata, manco avessi raccontatato la battuta più esilarante della storia moderna.

Vorrei alzarmi e urlare: "fatevi i cazzi vostri! Oggi non sono in vena!", invece rimango seduto a testa china. Mi dico che più di tanto non ne vale la pena.

«Sei sicuro, amico?». Il barman, l'unico che non ho sentito ridere mi rivolge uno sguardo indagatore. «Con quella faccia ti consiglierei qualcosa di più forte!».

«Che cosa mi proponi dunque?» chiedo, cercando di nascondere il mio imbarazzo per la sua osservazione.

Lui prende un minuscolo bicchiere e ci versa un liquido trasparente. Posso bene immginare che non contenga della semplice acqua.

Afferro il bicchierino con un sorriso beffardo e inizio a berne il contenuto. Immediatamente avverto un bruciore in gola, che si intensifica ad ogni sorso. D'istinto sputo il contenuto sul bancone. Questo succede quando è la prima volta che bevi della vodka e ti vuoi dimostrare un bevutore esperto.

Di nuovo una risata fragorosa invade il Black Cafè, immergendomi nel ridicolo più totale. La reazione più prevedibile potrebbe essere quella di me che scappo via a testa bassa verso casa, per via dell'imbarazzo. Tuttavia oggi non va così. Non cerco nemmeno di mascherare emozioni, semplicemente non le provo. Sono talmente apatico che tutto quello che mi sta intorno, mi sembra senza significato. La realtà stessa ha perso di significato, figuriamoci dunque la mia vita.

«Ehi! Dammene un altro». Il mio tono fermo ammutolisce tutto il locale, che sicuramente si aspettava la mia reazione come descritta poc'anzi.

Il barista non discute sulla mia palese inesperienza in fatto di bevute e mi dà un altro bicchierino pieno. Questa volta lo butto giù tutto d'un fiato e riesco a trarne giovamento, avvertendo come un'onda positiva che mi riscalda.

«Giornataccia?» mi chiede il tizio dietro il bancone.

«Non puoi nemmeno immaginare quanto».

«Che ti è successo?».

Non sono certo che raccontare i fatti miei a un completo sconosciuto sia corretto, ma, fanculo, per oggi non mi importa niente.

Improvvisamente il cellulare che ho in tasca emette il suono di una notifica. Sblocco lo schermo e vedo il nome di Celeste con sotto un messaggio: "Mi dispiace che tu te la sia presa! Se sei a casa passo in modo che ne possiamo parlare".

Decido di ignorarla completamente e inizio con la confessione al barman. Inizio a raccontargli ogni singolo avvenimento accaduto oggi, senza tralasciare nessuna premessa iniziale, anche riferita a eventi passati. Gli parlo di Celeste, di come l'ho conosciuta e di come mi abbia "tradito", di mia sorella, di mia madre, della mia fuga da casa e del fatto che io, Josh Connelly sono il figlio di Jacob Connelly, il famigerato Prestigiatore.

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