5.

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Kieran stava a letto ormai da quattro giorni eppure non era ancora guarito.
Quel pomeriggio doveva svolgersi la prima lezione di quel corso avanzato a cui si era iscritto.
Aveva chiamato il coach per poi farsi passare il professore che avrebbe tenuto le lezioni: gli aveva chiesto di dare le cose che consegnava, a uno dei ragazzi e che se fosse stato assente ancora, fino al giorno prima della lezione seguente, di portargli gli appunti a casa o chiamarlo, così che possa mandare uno dei domestici.
Sapeva di chiedere molto, soprattutto a quel ragazzo a cui sarebbe toccato prendersi questa briga, ma gli avrebbe restituito il favore, di questo era certo. Sapeva anche che chiunque fosse il prescelto, era una persona con un minimo di intelligenza dato che seguiva un corso avanzato, di conseguenza poteva fidarsi.
Dopo che lasciarono un po’ di tè e una fetta di torta alla frutta, Kieran era nuovamente solo. Non voleva chiamare i suoi compagni, non avrebbe saputo di che parlare, non voleva nemmeno disturbare i suoi dato che erano insieme dopo tanto che non si vedevano: il padre era tornato il giorno prima, anticipando il ritorno per la salute del figlio, dopo quasi due mesi lontano da casa. Sapeva che prima che la madre lasciasse la casa per dirigersi al lavoro, sarebbero passati da lui.
Mentre fissava il soffitto della sua camera, pensò a come poteva essere se ci avesse fatto dipingere un cielo tempestato da stelle. Sarebbe stato bello perdersi a fissare quello invece che quel soffitto bianco e vuoto, che gli faceva pensare solo ancora di più.
Scosse appena la testa e decise di distrarsi ascoltando un po’ di musica.
Chiuse gli occhi e si lasciò rilassare dalle note delle canzoni che si susseguivano, una dopo l’altra.
Era sul punto di addormentarsi, quando gli balenò l’immagine di “Nik” nella mente.
Aprì di scatto gli occhi: ho davvero bisogno di più amici, dato che non ne ho, escludendo i ragazzi della squadra.
Non capiva perché quel ragazzo lo avesse tanto incuriosito. Era per il suo modo di fare distaccato? Per il fatto che era la prima volta che lo aveva visto giocare?
Il sonno lo abbandonò completamente, mentre la sua mente era occupata da domande simili.

Nicholas si era trattenuto oltre la lezione per accertare una sua ipotesi, ma questo lo aveva portato a lui che correva nei corridoi, cercando di arrivare in tempo alle lezioni avanzate.
Arrivo in contemporanea con il professore, che salutò velocemente, prima di entrare in classe e sedersi nell’unica coppia di banchi liberi nella classe: i due infondo.
Lo trovava sia insolito che scontato: di norma i ragazzi si accaparravano i posti in fondo, per non essere visti, ma in quella classe lì, tra vogliosi di studiare, i posti davanti erano i più gettonati.
A Nicholas non dispiaceva affatto stare da solo e in fondo, poteva benissimo seguire, ma anche perdersi ogni tanto tra i suoi pensieri, senza rischiare di perdersi molte informazioni.
La lezione cominciò e Nik si concentrò su quella che sarebbe stata una delle tante chiavi, nel suo portachiavi personale, che gli avrebbe dato accesso al mondo del successo, il mondo in cui viveva suo padre un tempo.
Erano ormai passate due ore e la lezione stava per giungere a termine.
- Signorino Brunner?
Nicholas sollevò lo sguardo dai fogli:- Sì, prof?
- Il signorino Larson non sta bene e ha chiesto di consegnargli le schede che vi do e magari una copia degli appunti. Essendo da oggi il tuo compagno di banco, sarai tu a portarglieli.
Nicholas guardò male il banco affianco a lui, come se ci fosse il ragazzo a causa del quale ora è nei pasticci.
- Devo proprio?
Il professore, anziano, gentile ma sicuro delle proprie idee, annuì.
Nicholas sospirò rassegnato: non poteva certo rischiare i suoi voti di condotta per una seccatura simile.
- Bene, dove abita?
Erano passati dieci minuti dalla fine della lezione, dove Nik si era procurato un biglietto per il bus, si era armato di cellulare e avviato verso la casa di questo tizio malato.
Aveva cominciato a svoltare angolo dopo angolo, senza badare a dove andava, ma seguendo le indicazioni del cellulare alla cieca.
Fortunatamente era sceso abbastanza vicino e ci mise solo venti minuti per capire dove abitava questo Larson.
Sollevò lo sguardo e si guardò intorno.
Quartiere ricco. Interessante.
Davanti a Nicholas si ergeva una villa a due piani, con grandi finestre interrompevano quelle pareti bianche.
Un giardino curato la circondava, mentre una fontanella, totalmente ricoperta d’edera, zampillava acqua.
Il biondo percorse il sentiero che portava fino alla porta.
Tirò fuori la mano dalla tasca e suonò il gelido campanello.
Attese qualche minuto, prima che un signore sulla cinquantina gli venisse ad aprire la porta.
Questo non è sicuramente il padrone di casa. Maggiordomo?
- Salve, ha bisogno di qualcosa?
Il signore parlò con voce cordiale, mentre guardava il ragazzo davanti a lui. Sicuramente l’aspetto ribelle del ragazzo non aiutava il signore a capire cosa volesse.
- Sono qui per portare dei appunti a… Larson? Non mi hanno detto il nome, ma andiamo nella stessa classe. Hanno detto che era malato e dovev-
- È un suo amico? Prego, entri pure. La sua camera è da quella parte, l’accompagno.
- No, ma io… dovevo solo.
- Prego, di qui.
Nicholas si ritrovò irritato, mentre percorreva i corridoi di quella casa.
Ma non c’è arrivato che non lo conosco? Gli ho detto che non so nemmeno il suo nome.
Il maggiordomo o chiunque esso sia, si fermò, mentre bussava a una porta nera.
- Signorino, c’è qui un suo amico che le ha portato degli appunti. È sveglio?
Nicholas rimase un attimo interdetto: non avrebbe dovuto chiedere prima se era sveglio?
A quanto pare c’era stata una risposta affermativa che Nicholas non aveva sentito, perché il maggiordomo, ormai lo vedeva come tale, lo aveva spinto nella stanza.
Nicolas si voltò verso la porta, proprio quando questa veniva chiusa.
- Ma tu guarda...
Vide della luce arrivare da dietro: qualcuno aveva spostato le tende.
- Scusami ma… tu saresti?
Nicholas si voltò accigliato, mentre effettivamente vedeva i suoi dubbi sparire.
C’era infatti il giocatore di basket mezzo addormentato, le guance arrossate e le sopracciglia aggrottate.
- Ma che scherzi del cavolo… - disse Nik più tra sé e sé.
- Ma tu sei il ragazzo dell’altro giorno…
- Già. Beh, io dovevo solo lasciare degli appunti per, a quanto pare, te.
- Appunti?
Nicholas sollevò un sopracciglio:- Non avevi chiesto tu al prof. di farti portare gli appunti della classe avanzata?
- Frequenti la classe avanzata?
- Non hai risposto alla mia domanda.
- E tu alla mia.
Nik si irritò:- Senti, ti servono o no?
- Io avevo chiesto al prof. di farmeli portare il giorno prima della prossima lezione, sempre se ero ancora malato.
- Beh, la prossima lezione è domani.
I capelli neri del ragazzo che Nik aveva davanti, erano disordinati, eppure pensò che era bello lo stesso.
Indossava una maglietta bianca, mentre era ancora semi coperto dalle varie coperte.
- Ora capisco. Non me lo aspettavo.
La finestra era proprio dietro a Kieran, che, da seduto sul letto, aveva allungato una mano e spostato le tende.
- Già, beh, queste sono le cose che ti dovevo portare - disse Nik porgendogli un fascicoletto di fogli, tra cui il materiale del prof e i suoi appunti fotocopiati.
Kieran li prese annuendo. Cominciò a dare un’occhiata al materiale, mentre guardava i vari argomenti. Arrivò alle fotocopie. La scrittura era ordinata e semplice, forse appena inclinata di lato, ma il tratto era chiaro e sicuro.
- Di chi sono questi appunti? - chiese, sollevando lo sguardo sul ragazzo che aveva di fronte.
Aveva una giacca a vento blu, con la cerniera tirata su fino a metà, mentre sotto si intravedeva una felpa grigia. Una sciarpa nera avvolgeva il suo collo, mentre i guanti dello stesso colore erano ancora a ricoprire le sue mani, ad eccezione delle parti superiori delle dita. I jeans di un azzurro chiaro, quasi tendenti al bianco, erano appena bucati sopra al ginocchio.
I capelli biondi erano tutti incasinati, probabilmente dal vento che tirava fuori:- Sono miei, mi hanno detto “portagli questo e gli appunti della lezione di oggi” - disse scimmiottando la voce del professore.
Kieran accennò una risata:- Beh, grazie, sembrano completi e ordinati.
- Devono esserlo, se no chi ci capisce più - disse con un sorriso appena visibile.
Kieran sorrise:- Già.
Nicholas non aveva osato dare un’occhiata in giro per evitare di sembrare incuriosito, ma aveva colto comunque qualche particolare della stanza. La stanza aveva più parti in vetro che muri, probabilmente, pensò, spostate le varie tende, sarebbe stata inondata dalla fredda luce invernale.
Si riscosse dai suoi pensieri.
- Bene, vado. Ci si vede e riprenditi.
Detto ciò Nicholas si voltò verso la porta, per potersene andare in fretta, ma aperta la porta si ritrovò davanti un signore e una signora, perplessi quanto lui.
- Oh, non pensavamo avessi visite, tesoro - disse Lauren guardando il figlio.
- Non si preoccupi, me ne stavo andando - disse Nik, avendo capito che loro due erano i padroni di casa, nonché i genitori di Kieran.
- Aspetta ti accompagno alla porta - disse Kieran mentre faceva per alzarsi.
- Fermo lì.
Kieran alzò lo sguardo interrogativo verso Nik.
- Come pensi di riprenderti se te ne vai a zonzo per la casa? Non ho intenzione di portarti gli appunti a vita, quindi vedi di riposare e di riprenderti. Ci si vede.
Nicholas non aveva alcuna voglia di passare altro tempo con quel fuoriclasse, soprattutto perché lo stava confondendo non poco.
- Arrivederci - superò i genitori confusi e si diresse verso la porta con calma apparente, mentre voleva solo uscire da quella casa.
Aprì la porta e, una volta fuori, corse lontano da lì mentre il vento gelido gli graffiava il viso, facendolo tornare con i piedi a terra.

Allungando una mano nelle tenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora