Conobbi mio marito alla fine dell' estate del '78. All' epoca era un ragazzo di appena 21 anni, dall' aspetto avvenente, occhi fulgidi, bel sorriso, ma con abbigliamento un po' troppo demodé per i miei gusti. Organizzammo di darci appuntamento per una cena in assoluta privacy dopo un' assidua frequentazione di due mesi, durante i quali non fummo lasciati soli neanche un secondo dagli amici in comune che ci avevano fatti conoscere.
Durante quelle pallose cene estive in compagnia di Claudio, Carlotta e Armando, mi ero fatta di quest' ultimo un' idea del tutto diversa da quella che poi mi costruii in seguito: ragazzo di grande simpatia e senso critico, ma un po' troppo provinciale, legato alle tradizioni, alla famiglia (quasi in maniera morbosa), forse un po' bigotto e non maturo abbastanza da crearci una famiglia entro i successivi dieci anni.
Mia madre mi aveva ripetuto fino alla nausea che questi prototipi di uomini devono essere lasciati alle rispettive madri, perché altrimenti un giorno oltre ai miei figli a cui badare avrei fatto da balia anche a mio marito. Beth enfatizzava sempre, ma quella volta ebbe ragione: il suo messaggio fu forte e chiaro... non essere mai causa dei propri mali.
Nonostante le basse aspettative a quel ragazzo decisi di dare una possibilità e, dunque, gli concessi una cena, di sottecchi... il patto era che nessuno avrebbe saputo del nostro incontro quella sera di luna calante. Catturò la mia attenzione con uno smoking di velluto blu e un cappello firmato Borsalino.
Aveva appena finito di fumare e l' olezzo di catrame si riversò in tutta la stanza, fino quasi a neutralizzarsi con l' aria. Scoppiai in una tosse imbarazzante e lui, capendo di esserne la causa, fu così cortese da scusarsi per l' inconveniente. Mi aveva raccontato che fumava da quando la madre, tre anni prima, aveva deciso di andarsene di casa e di interrompere i rapporti con tutti i membri della famiglia.
Diceva di voler ritrovare se stessa e il proprio equilibrio interiore attraverso la meditazione religiosa e che, per raggiungere la sua meta, le era più congeniale un distacco da tutto ciò che le suscitava ansie e preoccupazioni... e cioè i figli e il marito. Armando diceva che ad averla "plagiata" fu il capo di una "setta religiosa" che abitava nel loro palazzo e che ogni tanto bussava alla sua porta per parlare con lei, quando il consorte era in fabbrica a lavorare.Si chiudevano in cucina per ore ed ore e sua madre gli confidava tutto, dal rapporto con i figli e genitori agli aspetti più intimi del matrimonio con il signor Bertani. Armando origliava accortamente, senza mai farsi sgamare. A mio marito sembrarono eccessivamente invadenti quei racconti, tanto da domandarsi fino a che punto la madre fosse esasperata e sola da confidarsi soltanto solo con un estraneo.
Soffrì quando questa decise di lasciare il tetto coniugale, ma non biasimò mai la sua scelta: comprendeva il disagio di quella donna e, in segno di rispetto nei suoi riguardi, aveva deciso che mai e poi mai avrebbe parlato male della donna che lo aveva messo al mondo con altri o che avrebbe dato loro occasione di denigrarla. Quella sera con me fu così a suo agio da raccontarmi anche altri aneddoti della sua vita privata, di cui io certamente non avrei mai parlato ad un primo appuntamento.
Mi raccontò persino della sua ex: una carampana, squattrinata, libertina e mentalmente instabile che sconosceva il vero significato della parola "amore". Non si spiegava neanche lui il motivo per cui aveva permesso ad una persona del genere di entrare a far parte della sua vita e precisò che quando si lasciarono sentì come un sollievo, come se si fosse liberato da un grosso macigno che gli opprimeva la mente e il cuore.Mi parve, dunque, che, con un accurato gioco di sguardi reciproci, si fosse creata in poche ore la giusta complicità tra di noi. Scoprimmo di avere molte più affinità di quanto pensassimo e persi la cognizione del tempo, assorta nelle sue parole e nel buon profumo che aveva indosso. La gentilezza di quel ragazzo e i modi aggraziati che mostrava nello rivolgersi a me e agli altri mi fecero cambiare repentinamente idea sul suo conto.
Notai una bellezza interiore non indifferente e la profonda sensibilità di un giovane particolarmente deluso dalla famiglia e disilluso nell' amore. Iniziò a balenarmi in testa l' idea di un fidanzamento... magari senza troppo impegno, quantomeno all' inizio. Mi accorsi dai suoi atteggiamenti che anche io gli piacevo parecchio, ma che non si faceva avanti per discrezione, per non sembrare troppo inopportuno. Io, invece, avrei voluto che, tra un bicchiere di vino e l' altro, si fosse dichiarato quella sera stessa, senza troppi giri di parole, togliendomi dall' imbarazzo.
E invece così non accadde.
Dopo aver pagato il conto mi strinse a sé e mi diede un bacio sulla fronte. Si offrì di accompagnarmi a casa, ma io rifiutai per non dare troppo nell' occhio: dissi di no soltanto perché odiavo l' accesa curiosità di mia madre e la sua fastidiosa vena polemica. Lui comprese e non insistette, ma si offrì comunque di scortarmi con la macchina mentre procedevo a piedi fino a casa... e questa volta non accettò obiezioni. Mi seguì fino alla porta di casa e aspettò che io entrassi dentro prima di andar via. Cosa mi stava succedendo? Mi stavo innamorando? Sì, forse, seppur inconsciamente, i miei sentimenti erano riusciti a sopraffare la mia parte razionale e mi stavo lasciando travolgere da un turbine di splendide emozioni e sensazioni.
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