22.Non arrenderti

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Salgo sul letto infischiandomene dei suoi stupidi tentativi di mandarmi via, facendomi piccola piccola e infilandomi sotto le coperte, accanto a lui. «Non aspettarti che ti dia ascolto».

Jack s'irrigidisce totalmente, mostrandosi contrariato. «Rubi, no ... vattene».

Appoggio il capo contro la sua spalla, sospirando. «Risparmia il fiato, non me ne andrò di qui per nulla al mondo».

«Ragazzina cocciuta», borbotta, restando immobile come una statua. «Il letto è troppo piccolo, cadrai».

«No se tu mi tieni stretta», sussurro dolce. «Jack, stringimi a te», gli ordino, poco dopo, vedendo che lui non accenna a voler prendere l'iniziativa.

«Non posso», si nega ancora, emettendo un gemito frustrato. «Perché non vuoi darmi ascolto, almeno una volta? »

«Perché tu dici un mucchio di stronzate», rispondo, raggiungendo il suo bel volto e regalandogli un sorriso timido.

«Non permetterò che tu perda del tempo a occuparti di me», dice, così serio da farmi rabbrividire. «Tra l'altro, tu mi odi. Quindi esci subito da questo dannato letto e vattene per la tua strada».

«Odiarti? », replico, sconvolta. «Lo vedi che dici un mucchio di stronzate? Io non ti odio».

Sbuffa, tornando con lo sguardo sul soffitto. «Hai scoperto la verità, ti ho mentito ancora, certo che mi odi. Quello che stai provando adesso nei miei confronti è solo pena. E io non sopporto di farti pena».

Appoggio un gomito sul cuscino, mettendomi comoda a contemplarlo, mentre ascolto tutte le sciocchezze che dice. «Mi hai mentito, sì. Di nuovo, esatto. Ma che posso fare? Ti amo troppo».

«Se non mi trovassi qui, in un letto d'ospedale, non saresti mai tornata, né mi avresti mai perdonato», precisa.

«Vuoi sapere la verità? », chiedo, arrossendo. «Mi sono pentita di averti lasciato appena uscita dalla porta di casa».

«Non ti credo».

Porto una mano ad accarezzargli l'ampio petto muscoloso, e il suo respiro inizia a farsi sempre più affannato a quel semplice tocco. «Ero arrabbiata a morte con te, non lo nego», confesso, chinandomi su di lui per baciargli i pettorali. «Ma già dopo un paio d'ore mi mancavi da impazzire».

«Smettila», mi intima, per niente convincente, lasciandosi sfuggire un gemito roco. «Rubi, ti prego ... basta».

Continuo a ricoprirlo di baci caldi, portando un dito sulle sue labbra per zittirlo. «Voglio solo farti stare meglio».

«Mi farai stare meglio solo quando sarai uscita da quella porta», insiste, tremando. «Smettila di toccarmi».

«Perché? », domando, fermandomi per guardarlo negli occhi. «Permettimi di prendermi cura di te».

«No», dice in tono secco, facendomi esasperare. «Va via, Rubi. Accidenti a te».

A quel punto, rassegnata al fatto che non mi voglia con sé, anzi, che finga di non volermi con sé, i miei occhi iniziano a farsi lucidi e, di lì a poco, una lacrima scivola via lungo il mio profilo, cadendo sulla sua mano e attirando così la sua attenzione.

«Oh, no, ti prego», brontola, rovesciando la testa all'indietro e serrando le palpebre con forza. «Non piangere».

«E' colpa tua», lo accuso, asciugandomi gli occhi.

«Non sopporto quando piangi», ammette, sofferente. «Quindi smettila subito».

Un sorrisetto diabolico s'impossessa delle mie labbra, mentre penso di prendere la palla al balzo. «E mi farai restare con te, stanotte? »

Purple Conjuction - Shades of LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora