Capitolo 34.

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"ehi, come è andato l'allenamento?" salutai Alex raggiungendolo alla fermata. Era seduto sulla panchina con le dita della mano sinistra che tamburellavano sulle sue ginocchia mentre la mano destra passava ritmicamente tra i capelli scuri, disordinati e completamente scompigliati.

"alla grande! La tua lezione?" rispose voltando il viso verso di me e spostandosi sull'estremità della panchina per dar modo anche a me di sedermi di fianco a lui. 

"bene ma non benissimo. È stato sfiancante però sono abbastanza soddisfatta di me stessa" risposi a mia volta sedendomi sulla panchina e poggiando la borsa a terra. Aspettammo l'autobus in silenzio, inaspettatamente senza un filo di imbarazzo ad aleggiare tra noi.

All'arrivo del mezzo ci alzammo in simultanea e salimmo per poi prendere posto in due sedili vicini verso il fondo del bus.

"allora, hai letto il mio tema?" mi chiese Alexander abbassando la testa verso il suo borsone rosso ai suoi piedi mentre io cercavo di nascondere il mio rossore immergendo il naso nella soffice lana della sciarpa fatta ai ferri da mia nonna. 

"sì, sei stato molto bravo. Non l'ho letto proprio tutto, diciamo che ho letto con molta attenzione soltanto una parte"

"grazie. Anche io ho letto il tuo tema." Continuò alternando lo sguardo dal finestrino al mio viso.

"e?" lo invitai a continuare sempre più in ansia da quello che mi avrebbe potuto dire.

"e... e credo che sia davvero bellissimo e che hai scritto delle cose sensate"

"ho scritto cose sensate? Davvero? È questo il tuo commento? Ho messo praticamente il cuore in quel testo e tu mi vieni a dire che ciò che ho scritto è sensato? Lo sapevo già questo, grazie mille!" risposi delusa scuotendo la testa. Non me lo aspettavo per niente, o forse sì. Forse una parte di me era già pronta alla delusione. Ma era una parte troppo piccola per far si che non ci restassi troppo male. Non riuscivo a capire ciò che provavo in quel momento: ero arrabbiata, delusa, triste e... sconfitta. Aspettai una sua reazione che però non arrivò, abbassò lo sguardo e strizzò gli occhi come a voler provare a scomparire e in quel momento lo avrei piacevolmente aiutato.

"ciao Alexander, siamo arrivati. Ci vediamo domani a scuola. Scusa per la mia reazione esagerata" lo salutai prima di voltarmi e scendere dal pullman. Tenevo troppo alla nostra amicizia per non scusarmi, non volevo perderlo e, se l'unico modo era incolpare me stessa e mettere da parte il mio orgoglio scusandomi l'avrei fatto.

Camminai il più velocemente possibile verso casa, le lacrime minacciavano di scendere da un momento all'altro e non avevo intenzione di mettermi a piangere come una stupida in mezzo alla strada. Giunta davanti a casa presi le chiavi dalla tasca e con non poca difficoltà, causata dai miei occhi appannati, le inserii nella serratura e aprii la porta. Fortunatamente ero ancora sola a casa, entrambi i miei genitori avevano un meeting per i rispettivi lavori mentre mio fratello sarebbe arrivato a momenti. Mi lavai la faccia cancellando le tracce delle lacrime e rimandai la doccia a più tardi: mio fratello non si portava mai le chiavi e non volevo rischiare di lasciarlo fuori al freddo.

Indossai i pantaloni del pigiama e una felpa della vecchia squadra di basket di mio fratello, sciolsi lo chignon per poi raccogliere nuovamente i capelli in una treccia molto larga, giusto per dar loro un senso. Mi lanciai sul divano con indosso i miei calzettoni antiscivolo blu e, con la tenuta completa da serata antidepressiva, accesi la tv su un canale musicale e presi tra le mani uno dei libri che avevo lasciato incompleto. Dopo un paio di pagine suonarono al campanello e svogliatamente mi alzai dal divano con il libro in mano per tenere il segno con l'indice. Schiacciai il bottoncino del citofono per poi aprire la porta di casa: quello davanti a me non era di certo il viso maturo di mio fratello, era Alex che entrò come una furia in casa dirigendosi automaticamente in salotto dove cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro.

"senti, non volevo farti piangere quindi sono venuto qui per scusarmi. Perché sono io che devo farlo non tu, non hai nulla per cui chiedere scusa, non è colpa tua se sono il più grande coglione d'Europa. Quindi sono piombato qui a casa tua per dirti un paio di cose. A proposito, dovresti rispondere al citofono, magari era un maniaco!" provai a rispondere ma non feci in tempo, bloccata da Alex che aveva ricominciato a parlare. 

"ecco, sono un idiota. Ho detto davvero 'sensate'? Beh, non volevo dire quello. Non sapevo cosa dire, durante tutto l'allenamento mi sono preparato un discorso degno di Shakespeare ma non me lo ricordo più. Non sapevo da cosa cominciare. Hai letto il mio tema e, giuro, volevo dire tante cose lì ma non ne sono stato in grado. Ho letto il tuo compito e mi è mancato il fiato: tutto quello che tu provi era scritto lì, nero su bianco. E io avevo una dannatissima paura a leggerlo, avevo paura di quello che avrei potuto trovare. Però era una paura inutile, hai scritto tutto quello che io provavo a tirar fuori dalla mia testa, dal mio cuore senza riuscirci. Non sono bravo a parlare, non sono bravo a scrivere, se sapessi cantare probabilmente ti dedicherei una canzone ma non so fare neanche quello. Quindi ora dico le cose come stanno senza convenevoli o giri di parole. Mi piaci Elisa, non sai quanto." Concluse tirando un respiro e guardandomi con il volto rosso per il freddo o, forse, per l'imbarazzo aspettando una risposta da parte mia. 

Avevo perso tutte le mie parole, non riuscivo a far altro che sorridere, un sorriso che contagiò anche il suo viso che si rilassò e cominciò a ridere di gusto causando in me la stessa reazione.

Dopo essermi calmata definitivamente sollevai il volto e incastrai lo sguardo con il suo: "mi piaci anche tu. Non sai da quanto avrei voluto sentire queste parole uscire dalla tua bocca"

"okay, sono felice" rispose sorridendo e avvicinandosi sempre di più "credo che il giorno della partita abbiamo lasciato qualcosa in sospeso"

"dici davvero? A me non sembra" risposi mentendo, era ovvio che lo ricordassi benissimo. Piegò la testa di lato e avvicinò le labbra alle mie, le sfiorò per poi premerle dolcemente contro di esse e in quel preciso istante mi sentivo la ragazza più felice del mondo.

"Elisa! Sono tornata prima. Ma guarda chi c'è!" sentii dall'ingresso: non solo mia mamma ma anche quella di Alex ci stavano osservando curiose.

"ciao mamma" salutammo contemporaneamente noi due. 

"mi chiedevo quanto avreste aspettato a baciarvi. Ci avete messo del tempo eh!" sentenziò Eva rendendo me ed Alex uno più imbarazzato dell'altro.

"oh Dio mamma! Non ci posso credere che tu l'abbia detto veramente" rispose Alex scuotendo la testa leggermente divertito per poi voltarsi verso di me "io vado a casa, devo studiare per la mia verifica di recupero di latino. A domani" mi salutò baciandomi una guancia per poi salutare le due signore curiose in cucina e scomparire dietro la porta d'ingresso. Mi aspettava un lungo interrogatorio, non con una ma con due donne fin troppo interessate all'argomento. 

Il cestista e la ballerinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora