Capitolo I - Il Ciondolo d'Ambra

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Il ciondolo era un regalo di mia nonna Carmen, la mia adorata nonnina, lei lo aveva ricevuto in dono dalla bisnonna che, a sua volta, lo aveva ereditato dalla trisnonna; apparteneva alla nostra famiglia da generazioni. Era un pendente antichissimo, e originalissimo, che incastonava una grossa pietra d'ambra.

Da bambina squadravo quel ciondolo con diffidenza, e sempre a una certa distanza quando la nonna lo portava al collo. Più tardi, da ragazzina, inaspettatamente cominciai a rivalutarlo, cominciai a riconoscergli qualità terapeutiche. La pietra emanava dei bagliori caldi, rassicuranti e decisamente ipnotici quando la luce del sole la sfiorava o l'attraversava. Il suo fascino era a dir poco magnetico. Talvolta fissavo la goccia d'ambra per quarti d'ora interi nella vana speranza che mi comunicasse qualcosa. Probabilmente anche la nonna condizionava il mio giudizio, lei adorava quella pietra, diceva che era "il suo minuscolo scrigno venuto dal passato".


Se ci pensi, l'ambra è una specie di capsula del tempo. Ha raccolto e conservato fino ai giorni nostri frammenti di un passato lontano migliaia di anni. Non è un minerale, ma resina che cristallizza col passare dei secoli, resina che colava da conifere preistoriche e intrappolava qualsiasi cosa trovasse lungo il suo cammino: piccoli insetti, schegge di legno, minuscole foglie, fili d'erba.


La mia ambra era unica: non aveva catturato un timido rametto, una fogliolina o un banale insetto, bensì qualcosa di ambiguo e indefinibile che continuava a essere un mistero per me e per chiunque la esaminasse. La nonna l'aveva mostrata a gemmologi di fama internazionale, ma nessuno aveva saputo spiegare l'inconsueta disposizione delle sue venature scure, venature che convergevano al centro esatto della pietra come se si tuffassero in un abisso, un abisso di forma ellittica. Gli esperti non avevano saputo spiegare la ragione della sua colorazione inconsueta né avevano saputo dire cosa vi fosse rimasto intrappolato quand'era ancora della resina collosa. Mistero, uguale: cosa mia. Con gli anni il ciondolo era diventato il mio insostituibile portafortuna, riusciva a traghettarmi fuori dai miei periodacci bui col suo innegabile influsso benefico; per di più, quando lo indossavo, era come se mia nonna fosse ancora accanto a me.


Pensi che io sia fuori? Può darsi che tu non abbia torto. Ma se avrai la pazienza di ascoltare la storia sconvolgente che ho vissuto, e che sto per raccontarti, probabilmente cambierai idea.


Sarah scosse la testa. «Diamine, Elo, sveglia! Ieri ho notato che infilavi il tuo ciondolo nello zaino, prova a guardare meglio. Bah, sorellina, ho l'atroce sospetto che in Francia mi toccherà farti da mammina!» E storse il muso in una smorfia.

Feci scorrere la lampo che chiudeva la tasca interna dello zaino. Un bagliore dorato mi costrinse a socchiudere gli occhi. La scatola nella quale abitualmente riponevo il ciondolo era dentro lo zaino. Si trattava di un astuccio di forma ovale, un astuccio d'oro che si chiudeva a conchiglia, poco più grande della goccia d'ambra che conteneva e forse anche più prezioso dello stesso ciondolo. Sul coperchio erano incisi dei simboli, probabilmente solo decorativi, ma molto intriganti.

Il Ciondolo d'Ambra : CrisalidiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora