Capitolo II - Una prova difficile

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Sul momento, pensai a un'allucinazione dovuta alla stanchezza. Scossi il capo per riprendermi. Chiusi gli occhi, li strizzai forte e li riaprii. La falcata al rallentatore era sparita, ma tutto il resto c'era eccome; non si trattava di un miraggio: la cavalleria era arrivata in soccorso di Fort Apache.

Schizzai via dal trolley. Mi misi dritta in piedi come un fuso. L'ozio non mi si addiceva, non vedevo l'ora di mostrare al mondo di cosa fossi capace.

Il geniale e ultracompetente Mariotti, il nostro prof di latino, cominciò a dirigere i lavori assegnandoci dei compiti precisi. Sotto la sua scrupolosa supervisione, io, Sarah e Alex cominciammo a darci da fare. Dopo soli tre quarti d'ora, il nostro nido era in piedi. La nostra tenduccia a tunnel, con la sua verandina deliziosa e perfetta, era pronta ad accoglierci per la notte.

«Grazie Alex, per il tuo aiuto, e grazie prof, non ce l'avremmo fatta senza di voi», dissi con un sorriso grande quanto il pino che ci teneva d'occhio.

«Di nulla, ragazze, sono qui per questo», fece Mariotti con infinita cortesia. «Ah, quasi dimenticavo, per stasera noi insegnanti abbiamo organizzato un falò di benvenuto in riva al fiume. Crediamo sia un bel modo per cominciare una vacanza. Ci ritroviamo tutti lì per cena.»

I miei occhi luccicarono. Il cuore prese fuoco prima ancora di quel falò.

«A dopo, e a stasera», fece Alex sorridendo, poi aggiunse: «Faccio una capatina da Becky, vado ad assicurarmi che da lei sia tutto a posto».

Annuii. «A più tardi, allora.» Sorrisi a mia volta. E quando Alex si allontanò, brontolai: «Perché a me non capitano mai tipi del genere?»

Sarah bisbigliò: «Wow, che ragazzo premuroso, si preoccupa per Becky che è una strega velenosa. Chissà per una ragazza normale che farebbe? A parte le battute, credo che toccherebbe anche a noi vedere come sta, per cortesia, non per affetto, è chiaro.»

«Dici che dovremmo?» Il mio viso si accartocciò in una smorfia. Poi pensai che un contentino, prima della penitenza, me lo meritavo e aggiunsi: «Prima lascia che invii a Riccardo una foto di noi due con la nostra tenduccia sullo sfondo perfettamente montata. Il mio fratellone ingoierà la lingua, oh se la ingoierà!» Sghignazzai.

Ci mettemmo in posa per il memorabile selfie e poi, con cura, cominciammo a sistemare il nostro nido. In poco tempo riuscimmo addirittura a personalizzarlo: stendemmo i sacchi contro i lati lunghi della tenda, in modo che la porzione centrale restasse sgombra, impilammo i bagagli ai piedi dei sacchi e appendemmo la lanterna al gancio centrale.


Come inizio fu esaltante. Eppure decisamente non paragonabile all'evento ultragalattico che capitò quella sera stessa!


Giunse, improrogabile, il momento di andare da Becky. Non eravamo entusiaste d'incontrarla – sarebbe stato da masochiste sentire la sua mancanza – tuttavia era una compagna di classe in difficoltà ed era giusto che le dedicassimo un po' del nostro tempo. Senza alcun dubbio eravamo più generose di lei.

Con un sorriso di circostanza stampato sulla faccia, raggiungemmo il bungalow nel quale ci avevano detto che avremmo trovato Becca. La porta era aperta e ci affacciammo all'uscio.

Becky era raggomitolata su una poltroncina di vimini, stringeva un cuscino a fiori fra le braccia sul quale poggiava il mento. Un alone di sconforto la circondava come la Grande Muraglia cinese. Persino i suoi capelli, che erano sempre stati di un chiarissimo biondo platino, davano sul giallo.

«Ciao, Becky!» esordì Sarah alzando il palmo aperto. «Come stai? Come va la caviglia?» Domanda più che superflua.

«Potrebbe andare meglio», rispose lei con un filo di voce e l'aria seccata. Aveva lo sguardo spento, perso chissà dove.

Il Ciondolo d'Ambra : CrisalidiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora