Cap. 9

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9. I'm A Mess

Lauren's POV

I minuti sono trascorsi, e i minuti sono diventati ore, e le ore sono diventate giorni, e i giorni sono diventati settimane.

Vuoto totale, neanche un messaggio, nemmeno una telefonata da Camila.
Non so cosa mi aspettassi come reazione dopo averle sostanzialmente rivelato di essere un'assassina, ma la paranoia mi sta uccidendo e come già è noto, le false speranze si insinuano facilmente nel cuore.

Non che le mie giornate fossero piene, prima, ma se dovessi quantificare le ore trascorse a fissare il cielo dalla vetrata del mio attico, o distesa sul letto, o in giro per le strade della periferia, non saprei quale unità di misura adoperare.

Sono ormai mesi che non accetto un incarico, ho eliminato la disponibilità di ogni identità. Anche solo l'idea di dover rifare ciò di cui adesso mi pento tanto, mi fa venire la pelle d'oca.
Prima, uccidere era un'abitudine - per quanto agghiacciante possa suonare - come se fosse la soluzione al grande problema. Non mi ero mai sentita in colpa, tranne la prima volta, ma solo perché avevo paura.
Poi qualcosa è cambiato, e quel qualcosa è rappresentato da Camila.
Lei mi fa sentire in colpa per i miei atti.
Non me ne vogliate, sono consapevole di aver agito contro la legge per sei anni, tuttavia non ci ho mai fatto troppo caso.
In fondo, ho smesso di fare una distinzione tra il bene e il male molto tempo fa.

Comunque, adesso sono rimasta senza nulla a parte il rimorso e un forte desiderio di tornare indietro nel tempo e cambiare gli avvenimenti.
Come contorno rimane la sofferenza della perdita di colei che amo, che dovrebbe essere una folle masochista a tornare da me.
L'ho allontanata io, cosa mi aspetto?
L'ho lasciata con una granata e sono scappata via...
È ironico come mi sia sempre autodefinita una persona coraggiosa quando invece sono solo una codarda che non ha nemmeno avuto il coraggio di rimanere e vedere la sua reazione nello scoprire che razza di fedina penale ho.

La voglia di sapere cosa sta facendo, cosa pensa di me, se ci pensa, quantomeno, è incontenibile.
Ma con che faccia dovrei imporle la mia presenza? Se mi avesse voluta vedere ci avrebbe pensato di sua sponte, in uno di questi ultimi ventidue giorni trascorsi lontana da me.

E invece nulla, tutto è rimasto com'era. Spoglio e vuoto.
Mi sono privata dell'unico bagliore della mia vita, spegnendolo e immergendomi nuovamente nella fitta oscurità del mio animo.
Dio, sono quasi patologica, ma lei era da tempo l'unica motivazione per farmi andare avanti.

Io, che credevo che la mia vita fosse già completa, che non avessi bisogno di altro, in realtà mi ritrovo con un enorme pezzo mancante, sommersa nella miseria come il relitto di una nave precipitata sul fondo marino da un secolo.

Getto un'occhiata alla mia bacheca, dove le foto di Camila sono rimaste nell'esatta posizione in cui le ho attaccate ormai mesi fa e sospiro, sentendo quella fastidiosa fitta al petto, quella che viene ogni volta che la nostalgia o qualsiasi emozione negativa ti assale.

-

Camila's POV

Sono con la testa china su alcune scartoffie di lavoro, la lista dei pagamenti effettuati dalla compagnia negli ultimi due giorni, quando il rumore della porta del mio ufficio mi fa trasalire.
Sto per rimproverare Millie per non aver bussato ma sospiro, perché non si tratta della mia segretaria.

"Mila! Che fai ancora qua, è ora di pranzo" esclama Dinah, entrando.
"Non è tardi" borbotto, senza prestarle troppa attenzione, mentre la mia mente macchina alcuni calcoli.
Dinah sbuffa.
"Immaginavo che avresti risposto così. Sono le due e mezza, è tardi. Ma visto che so che non lascerai l'ufficio prima delle quattro se non ti trascino via con la forza, ho portato il pranzo qui" spiega, avvicinandosi alla scrivania e posandovi una busta sopra.

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