Capitolo 5

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Frank era molto felice di andare nel tendone, era ansioso di fare le prove con Firefly, o meglio, G.

Non riusciva a smettere di pensarci e ormai si era abbandonato all’idea di essere completamente senza cervello.

Ovviamente, appena raggiunto un obbiettivo doveva trovarsene un altro ed era ovvio che con lui aveva decisamente alzato il livello.

Adesso non vedeva l’ora che arrivasse sabato e si era pentito di aver scelto una data così distante, anche se in fondo era consapevole di essere un completo demente per anche solo pensare di avere una chance con Firefly.

Aveva supplicato Mikey per giorni di rivelargli il suo nome, ma lui l’aveva congedato, blaterando qualcosa sulla privacy e che se non voleva dirglielo era libero di farlo.

Però lui era determinato, voleva sapere il su nome e avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscirci.

“Geltrude!”. Lo salutò, entrando nell’arena.

Lui alzò lo sguardo, rispondendo al saluto con un cenno della testa.

“Cosa facciamo oggi? Balliamo ancora? Facciamo cose coi nastri? Cosa?”. Chiese, energico come sempre, saltellando in giro.

“Dobbiamo cominciare a mettere su qualcosa”. Rispose a voce bassa.

“Cosa succede?”. Chiese, Frank, diventando immediatamente più serio.

“Non mi sento molto bene”. Rispose.

Aveva pianto tutta la notte come una ragazzina dal cuore spezzato.

“Non dobbiamo per...”.

“Dobbiamo”. Lo interruppe.
Voleva stesse zitto, che finissero quella sessione e basta, lui si sarebbe ritirato nella sua roulotte e Frank nella sua e lui sarebbe andato avanti comunque.

Era arrivato lì prima, si era avvolto in quei nastri come se ne valesse della sua vita, annullandosi completamente nella stanchezza, cercando di alleviare la sua tristezza.

“Sei sicuro?”. Chiese, cercando di non lasciar trasparire la preoccupazione dalla sua voce.

Lui annuì vigorosamente.

“Prometto che cercherò di non essere irritante”. Rise, Frank, sollevando la mano destra.

Firefly gli passò accanto, urtandogli la spalla ed ignorandolo completamente.

Frank doveva ammettere che il suo comportamento era strano ma lo attribuì al suo malessere.

“Mi dici cosa c’è?”. Insistette.

“Sta’ zitto, dannazione! Sai stare zitto per due minuti?”. Sbottò.

“Ok, scusa”. Mormorò, Frank, spiazzato dalla sua reazione.

“No, piantala, non devi chiedermi scusa”. Rispose sull’orlo di una crisi di nervi.

Non ce la faceva, non riusciva nemmeno a tollerarlo minimamente, quasi non lo sopportava.

Gli avrebbe volentieri infilato un tappo in bocca pur di farlo stare zitto o fargli perdere il dono della parola a suon di schiaffi.

Frank rimase in silenzio, guardandolo con timore e preoccupazione.

“Sei sicuro che sia tutto apposto?”. Chiese, dubbioso.

“Dio, perché non ti ficchi la lingua nel culo e stai un po’ in silenzio?”. Rispose, Firefly, con evidente irritazione.

Ebbene si, il rosso poteva anche essere leggero ed aggraziato nei movimenti ma nel linguaggio era uno scaricatore di porto, senza offesa per gli scaricatori di porto.

Gravity// FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora