Capitolo 21

80 7 12
                                    

Frank aveva smesso di sentire il dolore e, se doveva essere sincero, questo lo spaventava, lo portava un passo più vicino alla morte.

L’ultimo ricordo era Gerard che premeva le mani sulla sua ferita.
Gerard.

Era stato così difficile lasciarlo andare, così doloroso, ma lo avrebbe rifatto, perché lo amava, lo amava più di qualsiasi altra cosa.

Gerard era diventato l’unica cosa per cui valeva la pena continuare a vivere, per cui valeva la pena lottare.

E pensare che lui nell’amore non ci aveva mai creduto, aveva sempre pensato fosse una scusa per non restare da soli e poi aveva scoperto questo sentimento totalmente nuovo, devastante e piacevole allo stesso tempo.

Non avrebbe mai pensato che Gerard sarebbe diventato tanto importante per lui quando lo aveva conosciuto, e adesso, eccolo lì, disteso sul letto di un ospedale per essersi preso un proiettile al posto suo.

Non poteva farlo morire, non poteva sottrargli il diritto di essere felice, non dopo tutto quello che gli aveva detto, dopo tutto il male che gli aveva fatto, il minimo per rimediare era salvargli la vita, anche se non si sentiva un eroe, né un martire, si sentiva solo un uomo vicino alla morte, che lotta per restare in vita anche sono per un istante, solo per vedere di nuovo i suoi occhi bellissimi.

Non voleva lasciarlo.

Non di nuovo.

E dopo essersi sforzato di continuare a far battere il suo cuore, aveva aperto gli occhi.

La luce era accecante, così tanto che per un istante credette di essere morto.

Non riusciva a mettere niente a fuoco, sentiva solo qualcosa di caldo stringergli la mano.

Forse il diavolo, pronto a tirarlo giù negli inferi dopo avergli fatto vedere ciò che si stava perdendo, giusto per aumentare l’agonia.

Sorprendentemente scoprì che il paradiso aveva un soffitto, un soffitto bianco con delle luci a neon, e scoprì che Dio aveva degli angeli davvero belli al suo servizio, come ad esempio quello che stava dormendo sul bordo del suo letto tenendogli la mano.

Mosse piano le dita.

La pelle delle sue mani era morbida, morbida come quella di… Gerard.

Lentamente realizzò di non essere morto, di essere ancora vivo ed il dolore torno a farsi sentire.

Sorrise debolmente.

Aveva vinto.

Era ancora lì.

“Ti chiamo appena si sveglia, Mikey”. Biascicò nel sonno.

Frank sorrise, accarezzandogli la mano, cercando di non svegliarlo.

“Frankie, altri cinque minuti”. Mormorò.

Frank non riuscì a non trattenere una risata debole ma sincera.

“Aspetta. FRANK!”. Urlò, mettendosi in piedi e guardandolo per un silenzioso secondo prima di scoppiare in lacrime.

“Non fare così”. Sorrise con un filo di voce.

“Mi hai fatto morire di paura, brutto idiota!”. Pianse, stringendolo delicatamente tra le braccia. “Ho temuto di averti perso”. Mormorò, tirando su col naso.

Frank sospirò, passando una mano tra i suoi capelli.

“Allora, stai… stai bene? Ti fa tanto male?”. Domandò, allontanandosi e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

“Sono stato meglio, dolcezza”. Rispose con un flebile sorriso.

Gerard sorrise di rimando, sedendosi sul bordo del letto e prendendogli la mano che i dottori gli avevano fasciato.

“Hai rischiato la vita per me”. Sussurrò. “Sei… sei venuto a salvarmi”. Aggiunse, sentendo le sue guance infiammarsi.

“Ho molte cose da farmi perdonare”. Rispose.

“Sei un cretino! Non dovevi farti sparare! Dio, se tu fossi… non voglio nemmeno pensarci”. Pianse, tenendo lo sguardo sulla sua mano.

“Gerard, sto bene e lo farei altre mille volte per salvarti”. Rispose, stringendo la presa sulle dita del maggiore.

“Dio, quanto ti odio”. Borbottò.
L’espressione di Frank diventò più cupa e triste e dovette distogliere lo sguardo per non crollare e cercare di controllare il dolore lancinante che aveva nel petto.

“Penso tu abbia tutte le ragioni per farlo”. Gli diede ragione, ma senza guardarlo.

“Frank… non dicevo sul serio, tu… tu ti sei fatto sparare per me, voglio dire… hai idea di quanto tu sia importante?”. Cominciò.

Frank tornò a guardarlo e Gerard riuscì a vedere una leggera e traballante fiammella di speranza nel suo sguardo.

“Tu pensi sempre di non valere niente ma io… io sarei perso senza di te. Io mi sono perso senza di te. A volte mi bastava un  tuo sguardo per migliorarmi la giornata”. Ammise, sollevando la sua mano e lasciandovi un bacio sopra.

“Mi dispiace per tutto, Gerard e se tu non… se non provi più niente per me io lo capisco, solo che… io non posso e non voglio smettere di amarti”. Disse piano, trovando il coraggio d’incrociare il suo sguardo per imprimerselo bene in mente, con il terrore di non poterlo più vedere da un momento all’altro. “Quando ero piccolo avevo una palla di vetro, ci… ci giocavo sempre perché sembrava una bolla di sapone e non riuscivo a capire perché non volasse via come le bolle. Un giorno sono salito sul terrazzo e ho lanciato la palla, convinto che volasse”. Cominciò. “Dio, che stupido. Ovviamente la palla si frantumò in mille pezzi ed io piansi per giorni, perché quella era la mia palla preferita. Allora mia madre mi disse una cosa che non avevo mai capito fino ad adesso. Mi disse che le cose più belle sono le più fragili”. Ammise con pochissima voce, stanca e dolorante. “Tu sei come la mia palla di vetro, sei bellissimo ed io ti adoro ma ho provato a farti volare e tu… tu ti sei rotto”. Concluse.

“Cosa stai cercando di dirmi?”. Domandò con confusione.

“Sto dicendo che tu sei troppo bello e fragile per stare in mano ad un bambino come me. Non voglio che tu ti rompa ancora”. Disse a malincuore, il dolore udibile dalle sue parole tremanti ed insicure.

“Frank, io… io sono resistente, sono di vetro pirex e non mi hai rotto, magari mi hai scalfito un po’ ma niente che non si possa aggiustare”. Sorrise.

“Gerard, non prendiamoci in giro. So quanto tu sia…”.

“Non me ne frega un cazzo di quello che sai!”. Urlò, alzandosi in piedi. “Sono stanco di soffrire, Frank. Tu dici di avermi lasciato perché volevi che io fossi felice ma quello che non sai, quello che non capisci, è che quello che mi rende felice sei tu!”. Ammise con rabbia e anche un po’ di timidezza. “Voglio essere egoista per una volta nella mia vita e fregarmene di quello che dici. Tutti gli uomini che ho conosciuto mi hanno fatto del male ed io sono stanco di tutto questo. Tu sei l’unico che mi abbia trattato con rispetto e per quanto mi riguarda prenderò quello che hai fatto come un atto d’amore, visto che è così che lo hai concepito. Non voglio avere rimpianti, Frank”. Confessò.
Frank gli strinse la mano, sorridendogli.

“Tutti meriterebbero di avere qualcuno come te accanto”. Sorrise, Frank.

Gerard rimase in silenzio, guardandolo quasi in shock.

“Devo… devo andare a… uhm… a chiamare Mikey, gli ho promesso che lo avrei chiamato appena ti fossi svegliato”. Balbettò, allontanandosi dal letto.

“Ok, io resto qui, non vado da nessuna parte”. Sorrise, indicando la flebo attaccata al suo braccio.

Gerard si sforzò di ricambiare il sorriso, correndo in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro.

“Mikey, devi venire immediatamente”. Ordinò, camminando su e giù per il tunnel bianco.

“È sveglio?”. Chiese con sorpresa.

“Fin troppo!”. Esclamò, poggiandosi al muro.

“Che intendi?”. Domandò, confuso.

“Non lo so, io… io non voglio restare da solo con lui”. Piagnucolò, sfregandosi una mano sugli occhi per togliere i residui di sonno che gli facevano desiderare di dormire un altro po’.

“Ok, porto anche Ray, stiamo arrivando”. Borbottò, Mikey, con confusione prima di terminare la chiamata.

Adesso Gerard era di nuovo da solo e dovette far ricorso a tutto il suo coraggio per tornare dentro.

“Eccomi”. Annunciò in modo parecchio pacato.

Frank non rispose ma gli rivolse un piccolo sorriso, cercando di mascherare il dolore al fianco che stava tornando più forte di prima.
“Va tutto bene?”. Chiese, Gerard, avvicinandosi al letto.

Frank annuì, temendo che la sua voce potesse sembrare troppo sofferente.
Gerard mise le mani sui fianchi, fissandolo dall’altro lato della stanza con aria irritata.

“Farai meglio a non mentirmi piccolo pezzo di merda, giuro che… “.

“Sto bene”. Insistette con tono dolorante, cercando di mettersi seduto.

“Ehi, no, sta fermo, non…”. Per un attimo Gerard si zittì, fissando il viso pallido e sofferente di Frank. “…il dottore ha detto che non devi sforzarti”. Continuò con voce più fievole, aiutandolo a stendersi con gentilezza.

Avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli quanto era importante per lui, quanta paura aveva avuto in quei giorni in cui lui era rimasto incosciente e solo stringerlo tra le braccia per assicurarsi che fosse davvero ancora vivo.

“Gee”. Sussurrò il ragazzo ferito, asciugandogli una lacrima riversati sul suo zigomo. “Mi dispiace”. Ammise piano.

“Di cosa?”. Chiese, asciugandosi rabbiosamente le lacrime. “Hai un buco nel fianco per colpa mia, non hai niente di cui scusarti”. Aggiunse. “È solo che… io…”. Si strinse nelle spalle con timidezza. “…io non potrei sopportare di… perderti, non di nuovo”. Pianse, evitando in tutti i modi lo sguardo di Frank.

“Dovresti odiarmi”. Suggerì Frank.
A Gerard scappò una leggera risata impregnata di tristezza.

“Si, e invece ho continuato ad amarti anche quando hai fatto di tutto per spezzarmi il cuore”. Confessò.

Frank doveva ammettere di essere sorpreso, Gerard non poteva essere ancora innamorato di lui, non poteva.

“Non essere così sorpreso. Forse sei l’unica scelta giusta che ho fatto in quasi trent’anni”. Sorrise, e Frank sapeva che quello era un sorriso sincero e avrebbe detto qualcosa per convincerlo del contrario se qualcuno non avesse bussato.

“Mio Dio, Frank, come stai?”. Chiese Mikey, entrando a passo deciso mentre Gerard si spostava dal letto per nascondere le sue lacrime.

A quella domanda il ragazzo avrebbe voluto rispondere sinceramente e dire che stava uno schifo ma sapeva di non poterlo fare, non con Gerard lì.

“Come se mi avessero sparato”. Rispose con una risata dolorosa.

“Sei uno stronzo! Hai idea di quanto ci hai spaventati?”. Disse arrabbiato, Ray.

Frank lo guardò per qualche secondo, chiedendosi se il suo amico ce l’avesse davvero con lui oppure no.

“Abbiamo pensato di averti perso”. Aggiunse, stavolta malinconicamente.

“Scommetto che avete già organizzato una festa per ballare a turno sulla mia tomba”. Rispose col tono più giocoso in suo possesso.

“Non è divertente!”. Lo ammonì Mikey. “In ogni caso…”. Si schiarì la voce per prendere tempo, era arrabbiato con Frank per come aveva trattato suo fratello, ma doveva ammettere che salvandogli la vita aveva di certo guadagnato punti, in ogni caso gli pesavano le parole che stava per dire. “…grazie per… essere intervenuto e… e mi dispiace di averti picchiato e di non averti più parlato”. Si scusò con più fatica di quella che aveva preventivato.

“Non essere così duro con te stesso, a volte mi hai parlato per dirmi he ero un figlio di puttana”. Rispose Frank, stringendosi nelle spalle.

Gerard non stava ascoltando, si era perso nei suoi pensieri guardando fuori dalla finestra. C’era un campo da calcio proprio vicino alla stanza di Frank e riusciva a vedere dei ragazzi giocare mentre il cielo era ormai tendente al viola.

Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse mettersi davanti ad un proiettile per salvarlo, non che il pensiero di farsi sparare gli avesse mai sfiorato la mente, ma ormai era abituato a non essere importante per nessuno e, per quanto lui è Mikey si volessero bene, doveva ammettere che non avrebbe mai fatto quello che Frank aveva fatto per lui e gli venne da sorridere perché realizzò di essere importante per qualcuno, e non c’era sensazione migliore.

“Buonasera, ho portato da mangiare, da bere e dei palloncini per ravvivare l’atmosfera”. Sorrise Jessie, munita di buste di plastica e stringendo i fili dei palloncini svolazzanti con una scritta in francese che Frank non sapeva nemmeno come leggere.

“Ciao”. Risposero tutti in coro.
Gerard la guardò storto per un attimo.

“Che c’è? Sono gli unici che ho trovato!”. Protestò Jessie, poggiando le buste sui piedi di Frank.

“C’è scritto “è una lei”, Jessie”. La ammonì.

“Non fa niente, apprezzo il gesto”. Sorrise il ragazzo ferito, tirandosi dolorosamente a sedere.

“Oh, non ci siamo presentati l’altro giorno, io sono Jessie”. Sorrise la ragazza, porgendomi la mano.

“Io sono…”.

“L’idiota”. Lo interruppe, facendo avvampare Gerard e lasciando Frank sorpreso. “Lo so che ti chiami Frank ma, per qualche strana ragione, la principessina qui presente ha salvato il tuo numero così”. Sorrise, diabolica, guardando Gerard con un ghigno.

“È… ehm… una lunga storia”. Si giustificò.

“In realtà…”. Cominciò Frank.

“Era il loro modo di dirsi “ti amo”.
Adorabile, non trovi?”. Intervenne Ray.

“Vomitevole”. Rispose Mikey.

“Nessuno ha chiesto la tua opinione, signor Hoilcuoredipietra”. Lo zittì il riccio.

“In ogni caso, io ho fame, ho preso quattro porzioni di patatine fritte e un’insalata”. Tagliò corto Jessie, tirando fuori il cibo dalla busta.

Gerard prese la sua insalata, aprendo la confezione di plastica e fissandola a lungo con lo sguardo da tortura medievale che Frank conosceva fin troppo bene.

“Ehi, ehm… dolce… Gerard, mi cederesti la tua insalata?”. Chiese con disinvoltura. “Sai meglio non esagerare con il cibo”. Sorrise.

Ray, poggiatosi con la schiena al muro, emetteva strani suoni, ingozzandosi di patatine mentre Mikey lo guardava male.

“Magari se nutro la dodicenne che c’è in me lei non noterà che lo stava per chiamare dolcezza e che non l’ha fatto perché non stanno più insieme e perché sarebbe imbarazzante per tutti”. Rispose alla domanda implicita dell’amico, terminando con un acuto proveniente direttamente dalla fangirl dentro di lui.

Mikey alzò gli occhi al cielo mentre Frank abbassava lo sguardo.

Era ovvio che non stessero più insieme ma sentirselo dire, e da Ray per giunta, lui che era stato sempre il primo sostenitore della loro relazione, bè, gli aveva fatto male più di quanto pensasse.

“Se… se preferisci questo va bene”. Mormorò Gerard con sguardo basso, evidentemente scosso anche lui, allungandogli la sua insalata.

“Grazie”. Rispose, sforzandosi di non aggiungere altro.

Gerard gli mancava come l’aria che respirava, chissà se qualcuno se n’era accorto, chissà se avevano notato quanto fosse triste e solo senza di lui.

Durante la loro cena, in cui Frank si era sforzato di mandare giù un po’ d’insalata anche se non aveva per niente fame, avevano chiacchierato, Frank aveva scoperto che Jessie e Gerard vivevano insieme da quando il più grande era arrivato in Francia e che lo aveva aiutato parecchio a superare la rottura.

“Ti avrà detto cose orribili su di me, immagino”. Mormorò Frank, preparandosi al peggio.

“In realtà no, non è mai stato davvero arrabbiato con te”. Sorrise Jessie.

“Si che lo sono stato”. Borbottò Gerard.

“Si, per qualche secondo”. Protestò la rossa a cui Gerard rivolse uno sguardo di fuoco. “Gli ex dal mio punto di vista sono una vera spina nel fianco, Frank, ma devo ammettere che hai avuto le palle di andare ad aiutarlo e di farti sparare quindi, tanto di cappello, nessuno dei miei ex l’avrebbe fatto”. Aggiunse.

“Non sarebbe meglio lasciarlo riposare, adesso?”. Chiese Mikey, notando la stanchezza sul volto di Frank.

“Oh, no, mi piace stare in compagnia”. Protestò, Frank, che negli ultimi tempi era rimasto sempre più solo.

“No, Mikey ha ragione, devi riposare”. Concordò il fratello maggiore.

Frank doveva essere sincero, non voleva che se ne andasse, sarebbe rimasto sveglio tutta la notte se fosse servito a farlo restare con lui. Temeva che, una volta varcata la soglia, non sarebbe più tornato e non l’avrebbe più rivisto e si aggrappò alla sua manica come un gatto spaventato, fissando lo con gli occhi spalancati di chi sa che sta per perdere qualcosa d’importante.

“Tornerò domani”. Sorrise.

“Davvero?”. Domandò con un tono così speranzoso che fece sciogliere il cuore sbrandellato di Gerard.

“Certo, ma adesso riposati. Ti… ti lascio il cellulare sul comodino, per qualsiasi cosa, chiamami e se stai male chiama l’infermiera, non fare come fai di solito, che preferisci morire piuttosto che chiedere aiuto”. Gerard suonava come una mamma apprensiva mentre snocciolava i suoi suggerimenti, e gli altri, pensando che volessero stare un po’ da soli, uscirono in silenzio.

“Buonanotte, Frankie”. Disse con un piccolo sorriso, spostandogli i capelli dal viso.

“Buonanotte, Gee”. Rispose con gli occhi ormai chiusi. “Ah, prima che lo dimentichi, stai benissimo coi capelli neri”. Sorrise quando Gerard era ormai sulla soglia.

Era sempre il solito, tutto quel tempo lontani e persino uno sparo non avevano nemmeno scalfito la sua attitudine da romantico don Giovanni.

Gerard rimase piantato sull’uscio della porta, meditando su ciò che avrebbe dovuto scegliere tra andare dagli altri e tornare indietro per baciare quel piccolo stronzetto che gli aveva salvato la vita.

“Hai chiaramente perso diottrie in tutto il tempo il cui non ci siamo visti, buonanotte”. Disse uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.

Hello, sono tornata, più o meno, volevo solo dire che questa sarà la mia ultima storia e che finita questa non ne verranno altre.
Sono superimpegnatissima e per questo aggiorno a velocità bradipo dormiente ma spero di finire questa estate.
Grazie per la pazienza.

The Black Parade

Gravity// FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora