XXIII- Viaggio

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Il mio orologio biologico è sempre stato puntuale quando si tratta di sonno, lentamente apro gli occhi e fisso il soffitto stellato. Man mano che il cervello si accende e la vista si sistema riconosco intorno a me la cabina 13 e cerco di dimenticare il sogno fatto. Un sogno brusco e terribile dove una normale gita si è trasformata in un'apocalisse con la A maiuscola, con tanto di devastazione, figure mostruose, maremoti, terremoti e vulcani che esplodono, tutto colorato di nebbia grigio cenere e rosso. Per la prima volta da quando sono qui sento la nostalgia del college, o meglio della vita normale non tanto normale di prima. Desideriamo ciò che non abbiamo scambiandolo per la felicità e non ci accorgiamo che siamo già felici. Guardo l'orario sul telefono fatto da Leo: 5,59. Passa un minuto e una musica assordante si sparge per la cabina. Aspetto che Nico si svegli ma la musica continua imperterrita. Se c'è una cosa che odio del mattino sono le sveglie, di qualsiasi tipo: sono fastidiose e seccanti, dovrebbero renderle illegali.
Mi copro le orecchie con il cuscino e urlo "Nico la sveglia! Spegnila!"
In risposta ricevo solo un mugugno soffocato. Con immensa fatica mi alzo e mi avvio verso il letto, trovando il ragazzo infagottato nelle lenzuola, con la testa sotto il cuscino e la bocca leggermente aperta. Stizzita spengo l'aggegio infernale e cerco di svegliarlo con le buone, senza successo. Seccata gli tiro via il cuscino e le lenzuola e cade per terra con un sonoro tonfo. Nico si raggomitola in posizione fetale e i capelli gli scivolano sugli occhi, oltre ad essere schiacciati con il segno del cuscino sul lato destro del volto. Visto che continua a dormire afferro la bottiglia d'acqua sul mobiletto e gliela rovescio sulla testa. Il ragazzo si sveglia di colpo e scatta in piedi con l'aria assonnata e infuriata.
"Perchè mi hai svegliato così?"
L'acqua gli cola lentamente dai capelli alla maglietta nera.
"Ci ho provato in tutti i modi. Hai detto che ci vogliono sedici ore per arrivare a Firenze."
Con malavoglia si dirige in bagno e dopo un po' esce in perfetto ordine: jeans neri, maglia azzurra, felpa nera e sneaker nere. Al mio sguardo curioso risponde con un "Meglio non dare troppo nell'occhio." Il suo portachiavi è allacciato alla fibbia dei pantaloni, e l'anello gli luccica al dito: vestito così sembra un normalissimo ragazzo, tranne per la pelle troppo pallida.
"Sei ancora qui? Non abbiamo tempo da perdere."
"Non è colpa mia se neanche le cannonate ti svegliano!" Gli rispondo mentre mi sistemo. A volte mi sembra di parlare con mio fratello. Indosso i leggins neri, con la maglia e le AllStar rosse e dopo che abbiamo preso gli zaini usciamo dal campo in silenzio. Il cielo è ancora scuro, con tenui tinte verdastre che preannunciano l'alba e un leggero venticello mi fa rabbrividire. Arriviamo in un giardino circondato da alberi e lì un enorme cane nero è accucciato al centro. Al nostro arrivo apre un occhio rosso e annusa l'aria, si alza e corre festoso incontro a Nico, travolgendolo e riempiendolo di bava mentre scodinzola. La sua coda abbatte accidentalmente un albero e all'ordine "Giù, Signora O'Leary" l'animale indietreggia e si siede sulle zampe posteriori, osservando me con sguardo vigile.
"Non ti farà alcun male, è solo molto affettuosa. Avvicinati lentamente e fatti annusare. Ci darà un passaggio fino a una stazione del Portogallo, da lì proseguiremo in treno fino a Firenze."
Il ragazzo è di fianco al cane e con voce tranquilla gli parla come se fosse una persona. "Signora O'Leary lei è mia sorella. Trattala bene, ok cucciolona?"
Il segugio infernale si avvicina lentamente e dopo un'attenta annusata inizia a scondizolare, segno della sua felicità.
"È sicura come mezzo di trasporto?"
"Sì, l'ho usata un sacco di volte. Salta su."
Qualche minuto dopo sono in groppa al segugio infernale dietro a Nico, aggrappata al pelo nero dell'animale, che si getta nell'ombra di un albero. Il tempo si dilata mentre intorno a me vi è l'oscurità tipica dei viaggi ombra e le urla dei morti non sono invadenti come l'altra volta, ma più ovattati, quasi sussurrati e quando torniamo in superficie il sole fa sembrare più chiara la mia pelle. La Signora O'Leary si accuccia facendo scendere me è Nico, scomparendo poco dopo. Solo ora noto che siamo in una stradina laterale con case variopinte di colori accesi, come in una cartolina, e seguo il ragazzo davanti a me fino a una grosso palazzo beige con un cartello blu con la scritta in bianco "Lisboa, Lisbona". Entriamo e il rumore sferragliante dei treni e il vociare delle persone contraddistinguono il palazzo come una stazione ferroviaria. La folla è variegata e le aure dei mortali sono come l'acqua: inodori e incolore e quelle dei rari mortali dotati di Vista sono percorse da venature verde chiaro. Un display elettrico indica l'orario e la data: le 8.00 del dodici giugno, e di fianco vi sono gli orari con i codici dei treni. Nico mi trascina su un binario e saliamo sul primo treno che arriva, conciato da buttare via.
"Controlla la tua aura, fino alla Francia, da lì in poi l'odore semidivino si confonderá con quello delle Antiche Terre." Mi sussurra e il viaggio continua senza intoppi: i cartelli delle località si confondono con il paesaggio circostante e ogni stazione è identica alla precedente, con lo stesso via vai di gente, punti di arrivi e partenze. Le uniche stazioni che mi comunicano qualcosa sono Milano Centrale, con il suo caos, i suoi diciannove binari e situata in un ex palazzo, a me familiare per i viaggi di vacanza compiuti con la mia famiglia. Da li prendiamo un treno Frecciarossa e il viaggio viene fatto in comodità, con i sedili imbottiti e i tavolini, e velocità: in due ore arriviamo finalmente a destinazione, dopo le ore infinite di viaggio. Giunti a destinazione, la Stazione di Santa Maria Novella ci dà il benvenuto e sembra una città in miniatura, con tanto di negozi e farmacia. Nico è spaesato a tutta quella confusione.
"Se ti stupisci adesso aspetta a vederla fuori! Benvenuto nella patria degli scrittori del Trecento famosi in tutto il mondo, come Dante, Petrarca e Boccaccio! Forza andiamo, non stare li impalato!"
Il ragazzo scuote la testa alla mia esuberanza e mi segue nella piazza. Tra la folla i fantasmi si mischiano ai Mortali e ai Legati, discendenti degli dei inconsapevoli. Una scia luminosa rosa scuro profumata di gelsomino e rosa si distingue dalle auree dei Mortali.
Hai visto...
La scia? Sì, deve essere il semidio di cui Chirone ci ha parlato. Non è passato da molto...
Facciamo ancora in tempo a trovarlo. Andiamo prima che svanisca la traccia.
La telepatia è utile in questi casi e di comune accordo la seguiamo attraverso la città è rimango stupita come ogni volta alla vista della chiesa di Santa Maria Novella, con la sua facciata distintiva, e della piazza principale, dominata dal Battistero di San Giovanni con la porta distintiva, e dal Duomo con la cupola rosso mattone del Brunelleschi e il campanile di Giotto. La scia continua in una via dietro al Duomo in una strada a me familiare e si ferma davanti a un palazzo azzurrino con la porta rossa, segno distintivo della casa. Nico bussa alla porta per tre volte e quando sta per sfondarla qualcuno apre. Il mio cuore manca un battito e si riempie di odio alla vista del ragazzo dai capelli biondo cenere e gli occhi impossibili da dimenticare: castano rossastro con pagliuzze rosso fuoco.
"Che cazzo vuoi e perché mi stavi sfondando la porta? Non faccio la carità, puoi anche smammare."
"Non sono qui per la carità se vuoi saperlo. Hai l'odore da semidio e sei in pericolo se rimani qui, damerino inamidato."
Nico punta i suoi occhi ossidiana in quelli dell'altro iniziando un confronto silenzioso.
"Hai l'odore di quello schifoso di Eros o Cupido, quindi ci lasci qui fuori o ci fai entrare?"
L'odio traspare da ogni parola del moro.
"E tu sai di morto, quindi sei figlio degli Inferi e di Ade. Mio padre mi aveva avvertito che sarebbero venuti a prendermi, ma pensavo più a un satiro non a uno come te. Se proprio ci tieni entra, anche se mi appesti la casa con il tuo odoraccio."
Il biondo si sposta facendo vedere l'ingresso.
"Forza Serena, facciamo quello che va fatto e andiamocene." Nico entra urtando il biondo e lo seguo, con lo sguardo del padrone di casa puntato sulla mia schiena. La porta si chiude dietro di me e il figlio di Eros mi sussurra nell'orecchio "Da quanto tempo, avevi giurato di non tornare più da me e invece sei di nuovo qua, tra le mie braccia, in casa mia. Bentornata." Un brivido di terrore mi percorre. Prevedo guai.

Dei Dell'Olimpo: I Gemelli Della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora