XII- L'Olimpo

884 59 0
                                    

La mattina dopo mi sveglio grazie a un martellante mal di testa. Il letto mi sembra improvvisamente piccolo e scalcio via le coperte incontrando una resistenza. Una mano che non è la mia mi colpisce il naso e un'imprecazione metà in italiano e metà in greco mi esce dalla bocca. La vista si schiarisce e d'improvviso metto a fuoco la figura che mi affianca e si collega con un unico nome: Davide. Mentre dorme ha un'espressione quasi angelica e un ciuffo di capelli neri gli è scivolato sugli occhi. Con sollievo noto che indossiamo gli stessi vestiti di ieri sera e cerco di alzarmi senza svegliarlo. Ma non ho tenuto conto del comodino e sbatto il mignolo contro l'angolo del mobile. Inizio a saltellare per la stanza tenendo il piede dolorante maledicendo la mia sbadataggine e accidentalmente faccio cadere il comodino che fa un rumore nitido contro il marmo. Il ragazzo si sveglia ancora annebbiato dal sonno dicendo "Chi attacca? Cos'è successo?" Sbuffo e maledico il Fato per essere così crudele. Gli spiego brevemente cos'è successo e mentre lui torna a ronfare mi cambio. Esco dalla cabina e per poco non mi scontro con un Will selvatico parecchio affrettato.
Il biondo mi urla "Dov'eri finita? Ti aspettano alla Casa Grande. Sbrigati che è tardi. Sai per caso dov'è finito Davide?"
Gli indico la cabina 13 e Will si avvia verso essa. Aumento il passo e in poco tempo raggiungo la Casa Grande. Davanti alla porta trovo Chirone, Nico e un gigante biondo con occhi sparsi per tutto il corpo. Chirone cerca di nascondere il suo disappunto per il mio ritardo "Finalmente ci siete tutti. Argo per favore accompagna i ragazzi sull'Olimpo. E in bocca al lupo." Argo ci fa salire su furgone molto anonimo. Il viaggio lo facciamo tutto in silenzio e il gigante ci scarica di fronte all'Empire State Building. Nico mi raccomanda di non far arrabbiare gli dei e soprattutto di non parlare se non vengo interpellata. Poi entriamo e ci avviciniamo alla reception. Nico chiede al portiere la tessera d'accesso per il seicentesimo piano. L'uomo ci risponde "Non esiste un piano del genere giovanotto."
Il ragazzo replica "Ho un'udienza dal re degli dei. Si sbrighi."
L'uomo gli da una tessera d'accesso e mi scruta con sospetto. Con un sorriso trasformo il mio ciondolo in spada e poco dopo la faccio tornare normale. L'uomo mi guarda spaventato e Nico mi trascina in ascensore con un'occhiataccia di rimprovero. Appena le porte dell'ascensore si chiudono, il ragazzo infila la scheda nella serratura. Un attimo dopo scomparve e sulla console apparve un nuovo pulsante, di colore rosso, con su scritto "600".
Lo preme e con ansia aspettiamo. Una musica si diffonde come sottofondo e con sollievo riconosco "Black or white" di Michael Jackson.
"Finalmente Zeus ha deciso di cambiare musica" mormora Nico.
Poi finalmente un ding annuncia l'aprirsi delle porte scorrevoli. Usciamo e le vertigini mi assalgono. Ci troviamo su uno stretto vialetto di pietra sospesa in aria. Sotto di noi c'è Manhattan, vista dall'altezza di un aeroplano. Di fronte, una candida scalinata di marmo si attorciglia attorno a una nuvola, librandosi verso il cielo. La seguo con lo sguardo fino in cima e una forte sensazione di "questo non può essere qui" mi attanaglia. Sopra le nuvole si erge il picco decapitato di una montagna, con la sommità coperta di neve. Abbarbicate lungo i versanti ci sono dozzine di eleganti palazzi-una città di ville- tutti provvisti di portici e colonnati bianchi, terrazzi dorati e bracieri di bronzo che scintillano di migliaia di fuochi. Le strade si arrampicano con un tragitto folle e tortuoso fino in cima, dove il palazzo più grande di tutti brilla sullo sfondo candido di neve. Qua e là, appollaiati precariamente, spuntano giardini rigogliosi di ulivi e cespugli di rose di tutti i colori. Riesco a distinguere un mercato pieno di tende colorate, un anfiteatro di pietra incastonato su un fianco della montagna, un ippodromo e un colosseo eretti su quello opposto. È una città dell'Antica Grecia, solo che non è in rovina. È nuova di zecca e piena di vita come doveva essere Atene duemilacinquecento anni fa. È una cosa illogica l'esistenza di questo posto sopra la testa di milioni di persone inconsapevoli. Il viaggio è una cosa strana. Le Ninfe dei boschi si nascondono nei loro giardini, gli ambulanti del mercato fuggono impauriti, le nove muse stanno offrendo un concerto a un capanello di spettatori: satiri, Naiadi e un gruppetto di bei ragazzi, forse delle divinità minori, che al nostro passaggio si fermarono fino a che non oltrepassiamo l'angolo. L'oro e il bianco scintillano iniziando a darmi fastidio agli occhi. L'ultima scalinata termina su un cortile interno. Superato questo, siamo nella sala del trono. Ma "sala" non è la parola giusta. È enorme e massicce colonne si levano fino a un soffitto a volta, ornato da costellazioni dorate in movimento. Dodici troni, concepiti per esseri dalle dimensioni enormi sono disposti a U capovolta, proprio come le cabine del Campo Mezzosangue. Un fuoco enorme crepita nel braciere centrale. I troni sono vuoti tranne per quattro posti. Gli dei sono giganti e guardandoli avverto un formicolio di immensa potenza. Su un semplice trono di platino massiccio Zeus indossa un completo gessato blu scuro. Ha una barba curata, percorsa da striature grigie e nere come una nuvola temporalesca. Il volto è fiero, bello e cupo con un paio di occhi di un grigio carico di pioggia. Al suo fianco Poseidone indossa dei sandali di cuoio, un paio di bermuda color kaki e una camicia hawaiana straripante di pappagallini e noci di cocco. La pelle è abbronzatissima e le mani sono scorticate come quelle di un vecchio pescatore. I capelli sono neri e in volto ha un'espressione ombrosa. Ma gli occhi verde mare sono circondate da piccole rughe d'espressione scavate dal sole. Il trono sembra una sorta di sedia per la pesca d'altura. È una di quelle semplici, girevoli, con la seduta di pelle nera e una fondina incorporata per la canna da pesca, ma invece di una canna la fondina custodisce un tridente di bronzo, con le punte scintillante di luce verde. La dea Atena è appollaiata su un trono argento con inserti di ametista viola decorato con delle civette in rilievo. Gli occhi sono grigio tempesta come quelli di Annabeth e i capelli mossi a tratti biondi e a tratti neri le cadono morbidi sulle spalle. Indossa un semplice chitone greco grigio drappeggiato sulla spalle e gioca con un elmo. Apollo è immobile su un trono d'oro massiccio e si tormenta le mani con nervosismo. Una ragazzina dai capelli e gli occhi color fuoco ravviva il focolare. È vestita con un semplice abito color cioccolato e alla vista di Nico lo saluta con entusiasmo, tornando subito dopo al suo compito. Zeus ci guarda come aspettando qualcosa e quando questa non avviene inizia a fulminarci con gli occhi. Apollo continua ad implorare con lo sguardo il re degli dei e Poseidone senza un apparente motivo. Atena ci osserva come se fossimo cavie da laboratorio. Tutti sono in attesa di qualcosa e Zeus interrompe il silenzio "Figli degli Inferi. Siete qui perché dobbiamo decidere il vostro destino."
"Padre, sono troppo pericolosi. Sono figli di un giuramento infranto e sono troppo potenti..."
"Atena anche mio figlio era nelle loro stesse condizioni ed è ancora vivo."
"Poseidone ti ricordo che tuo figlio doveva morire. Ragazzi niente di personale. È solo logica"
E noi dovremo stare fermi mentre decidono di ucciderci? E non possiamo parlare?
Non lo fare Serena. Percy ha fatto la stessa cosa che vuoi fare e c'è mancato poco che Zeus lo fulminasse. Sentire i pensieri di Nico nella testa è inquietante. Intanto gli dei stanno litigando per decidere se ucciderci o no quando la porta della sala del trono si spalanca ed entra una figura sinuosa ed elegante, come una pantera. Gli dei ammutoliscono ed Estia inizia a canticchiare. Poi ridacchia "Ciao Thanatos da quanto tempo non ci si vede."

Dei Dell'Olimpo: I Gemelli Della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora