Prologo

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Lasciare Mystic Falls è stata la scelta più difficile che io abbia mai dovuto prendere in questi ultimi due anni. Ero combattuto, poiché Stefan era rimasto l'unico legame che mi teneva ancorato alla cittadina in cui sono nato. In cui sono stato felice per qualche anno, finché lei, la mia Elena, non è morta. Ho provato ad andare avanti, rimanendo al fianco del mio adorato fratellino, ma ogni luogo, ogni oggetto ed ogni singolo odore mi rammentavano lei, e questo mi lacerava dentro. Dovevo andarmene via, cambiare aria e iniziare una nuova vita. Ed è quello che ho fatto. Che sto provando a fare. New York, è stata la mia nuova meta, la città in cui tenterò di rinascere. Non ho intenzione di dimenticare Elena o la mia vecchia vita. Non potrei mai farlo, sarebbe ingiusto per me e per la memoria di coloro che mi sono sempre stati vicino. È stato complicato e doloroso salutare Bon Bon, Alaric e soprattutto Stefan. Tutti loro hanno avuto un ruolo davvero importante nella mia vita. Ma per un po' di tempo ho bisogno di vivere per conto mio, purtroppo anche i miei più cari amici mi ricordano ciò che ho perso. Perfino Caroline e il suo fastidioso lato maniacale e perfezionista mi mancherà. Un giorno li rivedrò ne sono certo, ma per il momento ho bisogno di fuggire, di evadere da qualcosa che non potrò mai dimenticare davvero. Entro dentro un locale abbastanza lussuoso di New York, mi siedo sul bancone ed ordino da bere. "Un bourbon"; dico al cameriere di fronte me. Quest'ultimo inarca un sopracciglio, osservandomi pieno di perplessità. "Signore qui serviamo solo cocktail"; mi spiega pulendo il bancone. Roteo gli occhi, imprecando mentalmete. Inizio già a sentire la mancanza di Mystic Falls, la mia villa e la mia scorta personale di bourbon in cantina. "Dammi quello che ti pare, basta che sia alcolico"; replico con aria stanca, sospirando. "Dovresti andare in una vecchia taverna, questo posto non è adatto a chi beve bourbon"; commenta una ragazza al mio fianco. Mi volto verso di lei con aria infastidita, scrutando minuziosamente il suo aspetto. È una ragazzina che probabilmente non ha neanche l'età per bere. Ha dei lunghi capelli mossi e neri come la notte, e dal suo abito firmato ed elegante posso intuire che è abituata ad un tenore di vita molto alto. "Che lingua lunga. I tuoi genitori ti hanno mai insegnato che non dovresti parlare con gli sconosciuti?"; Replico prendendo fra le mani il cocktail che mi ha appena servito il giovane barista, ma non appena lo poggio sulle mie labbra mi rendo conto di quanto sia basso il tasso alcolico dentro questo miscuglio. "Penso proprio che l'avrebbero fatto. Ma mia madre è morta mettendomi al mondo e mio padre ha vissuto solo per il suo lavoro"; mi rivela con noncuranza, senza nemmeno conoscermi. Sposto nuovamente il mio sguardo verso di lei; "mi dispiace"; borbotto sorseggiando la mia bevanda fredda ed insipida. "Con il tempo ci si abitua alla solitudine"; ribatte scrollando le sue spalle scoperte. Trovo insolito che una ragazza così giovane possa conoscere la vera solitudine, eppure è davvero così, basta guardarla attentamente dritta nei suoi occhi dallo sguardo lievemente assente, per comprendere che ha sentito sulla propria pelle la terribile sensazione della solitudine. "Comunque il mio nome è Helene"; si presenta, porgendomi garbatamente la sua mano sottile e affusolata. Per un intenso istante mi acciglio di fronte a quel nome così simile a quello di Elena. Forse il destino o qualcuno di molto più crudele di esso si sta prendendo beffa di me. Con decisione, dopo qualche secondo di smarrimento, stringo la sua mano, accorgendomi in tal modo dei suoi bellissimi occhi dal colore verde smeraldo. "Damon"; dico riprendendo il cocktail tra le mie mani. "Scappi da qualcosa?"; Domanda osservandomi scrupolosamente. La fisso lievemente torvo qualche secondo, studiando scrupolosamente il suo volto dai lineamenti delicati. È una vera ficcanaso, i suoi occhi emanano curiosità e non gradisco affatto il modo in cui mi osserva. Le lancio una fugace occhiata infastidita. Ho attraversato due stati americani con la mia auto per fuggire dal mio passato, quindi non ho la minima intenzione di raccontarlo ad una perfetta estranea. "Hai perso la lingua?"; Chiede con impertinenza. Questa ragazza è alquanto fastidiosa quanto affascinante. Ha un portamento distinto ma al contempo selvaggio e ribelle. Ma non voglio conoscere nessuno, sono venuto qui per stare in solitudine, quindi sarà meglio per lei andarsene all'istante. "Senti non sono qui per fare amicizia"; le spiego con assoluta calma, cercando di essere quantomeno garbato. Sto pur sempre parlando ad una fanciulla. "Va bene. Messaggio ricevuto, sei gay"; afferma alzandosi dallo sgabello su cui è seduta. Spalanco i miei occhi, guardandola adirato. Nessuna ragazza ha mai osato insinuare una cosa del genere nei miei confronti. "È la tua sera fortunata. Ho già cenato"; farfuglio alzandomi pieno d'ira, dirigendomi fuori dal bar. Non avevo mai visto tanta impertinenza racchiusa in una sola ragazza. Poggio il mio corpo sul cofano della mia auto. Non ho ancora un posto dove dormire ed è quasi notte fonda, penso proprio che soggiogheró il direttore di un grande albergo. Sarà rilassante e divertente poter soggiornare in una suite presidenziale. "Aiuto. Lasciami". Il mio udito alquanto sensibile, percepisce distintamente le urla di una giovane ragazza. "Lasciami"; urla una seconda volta, con più fervore e paura. Mi rendo conto che le grida provengono dal vicolo vicino al locale e nonostante le mie perplessità, decido di aiutare quella ragazza. In meno di un secondo raggiungo il vicolo, ritrovandomi di fronte alla ragazza che poco prima mi importunava dentro il locale. Il suo aggressore la tiene stretta a sé contro un muro, mentre lei continua a dimenarsi provando a liberarsi dalla sua presa insistente e rude. "Non è così che si tratta una dama"; esordisco, attirando su di me le attenzioni dell'aggressore. "Cosa vuoi? Vattene ho una pistola"; mi minaccia con aria terrorizzata. Quel disagiato non sarà altro che un povero ubriacone. Questa sera però non è stato molto fortunato, nel suo cammino ha incontrato un grosso vampiro arrabbiato. "Sparami pure, tanto non posso morire"; replico con presunzione avvicinandomi alla ragazza. L'aggressore estrae dalla tasca una pistola, puntandola contro di me. Alzo le mani al cielo, ghignando con soddisfazione. Prontamente compaio alle sue spalle, destando la sua sorpresa ed il suo terrore. Sento il suo cuore battere freneticamente, avevo dimenticato la sensazione di piacere che si prova di fronte ad un uomo impaurito ed implorante. L'adrenalina inizia ad aumentare, il mio corpo n'è pervaso. Affilo i miei canini. I miei occhi si dilatano e si colorano di un rosso intenso. Noto di sfuggita il volto della ragazza, anche lei è impaurita, ma non quanto l'uomo di fronte a me. Con irruenza ed anche molta fame, affondo i miei canini sul suo collo. Il sangue scorre giù per la mia gola, saziandomi. Bere direttamente da una vena non è minimamente comparabile alle sacche di sangue. L'odore della paura, la sensazione di potere e di forza che entra dentro le mie vene è impagabile. Quando percepisco i battiti del cuore farsi deboli decido di lasciarlo andare, prima che la bestia che c'è in me lo divori completamente e divori anche me. "Stai bene?"; Domando alla ragazza di fronte a me che continua a tramare. "Sì. Chi diavolo sei?"; Chiede singhiozzando; "Damon Salvatore, puoi scappare via da me non ti biasimo se lo farai". La ragazza alle mie parola si placa e cessa di piangere avvicinandosi a me lentamente. "Sei un vampiro non è così?". In risposta alla sua domanda mi limito ad annuire mentre lei senza più timore si avvicina a me; "vi immaginavo in modo diverso"; commenta guardandomi con una strana curiosità. "Tendiamo ad essere dannatamente belli"; replico con lieve sarcasmo enfatizzando la parola dannati. "Riportami a casa"; afferma con aria supplicante, prendendo la mia mano. "Sicura?"; Le domando alquanto perplesso, osservando il suo viso delicato come la porcellana divenire all'improvviso senza paure; ""; risponde sorridendomi debolmente. "Ho incontrato mostri peggiori di te durante il corso della mia vita"; afferma come se fosse una donna già matura e con una vita alle spalle travagliata, però quel visino ancora da bambina la tradisce. "Ma io sono un vero mostro. Ho ucciso in passato e potrei farlo ancora, amo la vendetta ed ultimamente ho perso il mio unico barlume di luce". Gli occhi di Helene mi oscurano e per un attimo guardano altrove per poi ritrovare i miei; "Potresti ritrovarlo"; dice scrollando le sue spalle; "non credo"; replico sorridendo amaramente; "niente è impossibile in questa vita"; afferma con determinazione lasciandomi attonito, pur essendo solo una ragazzina conosce il fatto suo, devo ammetterlo. "Forse"; sussurro sospirando pensando ad Elena,  e a quanto sarebbe meraviglioso poter rivedere il suo sorriso. "Amici?"; Mi domanda sorridendomi con entusiasmo. Roteo gli occhi annuendo con meno entusiasmo di lei; "amici"; affermo consapevole che questa è una vera e propria promessa. "Vieni a casa mia"; mi suggerisce incamminandosi fuori dal vicolo; "tuo padre non si arrabbierà?"; Domano presupponendo che abiti insieme a qualcuno; "no, lui non c'è, io qui sono sola"; mi spiega scrollando le spalle, credo che non le importi molto della sua famiglia, diversamente da me che sento profondamente la mancanza di Stefan. Dopo qualche vicolo Helene apre il portone dell'atrio del palazzo in cui vive. È un residence abbastanza lussuoso colmo di quadri antichi lungo tutto il corridoio dell'atrio e inoltre è ben pulito e accogliente. "Benvenuto nella mia umile dimora"; esclama entrando nel suo appartamento, lanciando le sue scarpe con noncuranza sul pavimento in legno. Visto lo stato disastroso della casa deduco che non è un tipo molto ordinato. L'appartamento è colmo di sue foto da bambina insieme ad altri due ragazzi e un uomo che credo sia suo padre. "Questa è la mia stramba famiglia"; afferma alle mie spalle notando il mio sguardo rivolto verso le foto appese sulle pareti; "dove sono?"; Domando un po' perplesso. Io se avessi una sorella sarei iperprotettivo non la lascerei un secondo da sola. "In giro per gli Stati Uniti per lavoro"; mi spiega osservando con un pizzico di nostalgia quelle foto; "anche i tuoi fratelli?"; Chiedo ormai mosso dalla curiosità di conoscerla; "sì è una specie di azienda di famiglia. Solo che io non sono la benvenuta, e poi non sono proprio una di loro, sono una figlia bastarda". Il suo tono diviene improvvisamente acido e si volta camminando verso il suo divano. "Loro sono figli di tuo padre ma non di tua madre"; affermo con certezza avvicinandomi a lei, comprendendo il suo stato d'animo turbato; "anche la loro madre è morta quando erano dei bambini. Mi vogliono bene ma non sono mai stata abbastanza per essere una vera Morgan". Istintivamente prendo la sua mano accarezzandola; "quanti anni hai Helene?"; Le chiedo con aria fraterna; "sedici"; risponde debolmente creando un po' di confusione in me. Non sono la persona giusta per giudicare la famiglia di Helene, però trovo alquanto da irresponsabili lasciare una ragazzina di soli sedici anni vivere completamente da sola. "Se ti va puoi restare"; mi propone con la fervida speranza che io accetti; "sì va bene"; rispondo sorridendole. Conosco Helene da circa un'ora ma sento la necessità di starle vicino, lei potrebbe essere la mia distrazione dal dolore, occuparmi di lei mi aiuterà a lenire le mie sofferenze.

Guardatee il trailer!!!!
Eccomi con una nuova storia! Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate un bacio!

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